La pianta del glicine è davvero commestibile? - Facta
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La pianta del glicine è davvero commestibile?

Da qualche giorno, gli utenti italiani dei principali social media si stanno interrogando circa la tossicità di una pianta rampicante che abbiamo imparato a conoscere come complemento dell’arredo urbano, ma che qualcuno ha deciso di proporre in veste di gustosa ricetta vegana. Stiamo parlando del glicine, pianta ornamentale dai fiori di colore lilla, e di un video pubblicato il 28 aprile 2023 dalla food influencer di Instagram nota con il nickname cucinabotanica, nel quale veniva presentata la ricetta del «glicine fritto». 

Cucinabotanica, pseudonimo della scrittrice e youtuber Carlotta Perego, è un progetto dedicato alla cucina vegetale e allo stile di vita sostenibile, che mentre scriviamo ha superato i 900 mila follower su Instagram. La ricetta dello scorso 28 aprile ha fatto molto discutere, dal momento che in tanti hanno messo in dubbio la commestibilità del glicine e accusato l’influencer di aver esposto il proprio pubblico a qualcosa di potenzialmente pericoloso. Le accuse hanno spinto Perego a modificare il post che accompagna il video, aggiungendo la nota finale: «NOTA BENE: solo i fiori di glicine si possono mangiare. Attenzione ai rami più grossi e ai semi, quelli NON sono commestibili».

La polemica è arrivata su tutte le testate principali il 3 maggio, dopo che cucinabotanica ha rivelato in una storia Instagram di aver sperimentato «un’intossicazione alimentare allucinante».

Ma quindi, la pianta del glicine è realmente commestibile? E può essere stata la causa dell’intossicazione alimentare descritta da Carlotta Perego? Andiamo con ordine. 

Innanzitutto, il glicine è un genere di arbusto rampicante della famiglia delle Fabacee, noto anche con il nome scientifico Wisteria in onore dello scienziato statunitense Caspar Wistar, morto nel 1815. Il glicine cresce avvolgendosi attorno ai supporti che trova nell’ambiente e in primavera fiorisce dando origine a grappoli di profumati fiori lilla.

Veniamo ora alla sua presunta tossicità. L’Enciclopedia di tossicologia, una delle più complete pubblicazioni sul tema, descrive il glicine come una pianta tossica in tutte le sue parti – inclusi dunque i fiori – e in particolar modo nei semi e nei baccelli. Secondo la voce, curata nel 2005 dalla tossicologa clinica e direttrice dell’Alabama Poison Information Center Ann Slattery, gli avvelenamenti gravi da glicine possono essere provocati dall’esposizione ad appena due semi, sebbene questo caso non sia molto comune. I sintomi dell’intossicazione da glicine includono bruciore orale, mal di stomaco, diarrea e vomito, ma in alcuni casi i pazienti hanno sperimentato anche confusione, sincope, vertigini, debolezza e un aumento dei globuli bianchi. L’esposizione al fumo derivante dalla combustione della pianta provoca invece mal di testa. 

Una ricerca pubblicata nel 1993 sul Journal of Clinical Toxicology contiene un’esaustiva revisione dei casi di avvelenamento da glicine studiati dalla scienza. In particolare, lo studio riporta la storia di una donna di 50 anni che aveva ingerito 10 baccelli di glicine e di due giovani italiani che ne avevano ingeriti 5-6 a testa. Tutti i casi citati condividevano sintomi gastrointestinali risolti nell’arco di 24-48 ore e vertigini persistenti fino a 5-7 giorni. L’autore della ricerca concludeva spiegando che i casi e i sintomi sono abbastanza simili da poter parlare di una «sindrome da Wisteria». 

Per questo motivo il governo del Queensland, stato nordorientale dell’Australia, ha classificato il glicine come «potenzialmente tossico, a seconda del livello di esposizione» e consiglia di consultare un medico nel caso di ingestione di qualsiasi sua parte. Nonostante le parti del glicine in grado di provocare sintomi gravi siano i baccelli e i semi in essi contenuti, infatti, anche i fiori contengono (seppur in misura minore) sostanze chimiche potenzialmente dannose come lectina e glicoside glicine, che se ingerite in grandi quantità possono causare i sintomi gastrointestinali sopra descritti. 

In Italia, il sistema informativo dell’Istituto superiore di sanità annovera il glicine tra le sostanze potenzialmente tossiche e fino all’anno 2015 ha monitorato annualmente il numero di casi di avvelenamento ad esso collegati.

Ma per quanto riguarda il caso Perego sembra improbabile che la sua intossicazione alimentare possa essere dovuta all’ingerimento di glicine. Sebbene i sintomi siano simili a quelli descritti negli studi scientifici sul tema, questi si sono presentati a distanza di quattro giorni dalla pubblicazione del video che, in una successiva storia pubblicata su Instagram, l’influencer ha spiegato di aver girato addirittura dieci giorni prima del malessere. I sintomi gastrointestinali da avvelenamento da glicine si risolvono normalmente in uno o due giorni. 

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