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Il mistero della “sindrome dell’Avana”, la strana malattia che colpisce i diplomatici statunitensi

Da anni centinaia di diplomatici e agenti statunitensi si sarebbe ammalati senza un preciso motivo. C’è chi parla di attacchi fatti con armi futuristiche, e chi invece di disturbi psicomatici

4 aprile 2024
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di Leonardo Bianchi

Diplomatici e agenti segreti statunitensi che si ammalano improvvisamente, senza un motivo apparente. Una potenziale arma segreta e futuristica che funziona con «l’energia sonora» o «l’energia a microonde pulsate». E un’immensa cospirazione ordita ai danni degli Stati Uniti da una «potenza straniera» – una minaccia che la stessa comunità dell’intelligence fatica a riconoscere come tale.

Questa non è la trama di un libro di Tom Clancy o di una serie televisiva ambientata durante la Guerra Fredda. Sono alcuni degli elementi dietro al mistero della «sindrome dell’Avana», una presunta malattia che avrebbe colpito un migliaio di funzionari statunitensi in tutto il mondo dal 2014 in poi. Il nome deriva dal fatto che i primi casi si sono registrati all’ambasciata statunitense a L’Avana, la capitale di Cuba. 

Chi ne soffre ha riportato i sintomi più disparati: vertigini, emicranie, acufene, danni all’udito, nausea, vomito, nebbia cognitiva, riduzione della vista, insonnia e addirittura disfunzioni cognitive permanenti. Il governo statunitense li cataloga come Anomalous Health Incidents, traducibile in italiano come «eventi sanitari anomali». Nel 2021 il Congresso ha approvato l’HAVANA Act, una legge che istituisce un fondo di garanzia per risarcire i dipendenti federali vittime di «attacchi neurologici».

Ad oggi non c’è una spiegazione univoca sulle cause di questa condizione; e anzi, l’esistenza stessa della «sindrome dell’Avana» è oggetto di dispute e controversie diplomatiche, politiche e scientifiche – anche dentro la stessa intelligence statunitense. Da un lato c’è chi, a partire dalle vittime, è convinto che si tratti di «attacchi» coordinati dalla Russia. Dall’altro, invece, chi pensa che l’intera vicenda sia un caso di isteria di massa e di condizionamento psicologico collettivo.

Negli ultimi giorni il tema è tornato d’attualità grazie a un’inchiesta congiunta tra la trasmissione televisiva statunitense 60 Minutes, il sito indipendente russo The Insider e la rivista tedesca Der Spiegel. Ma prima di parlarne, è utile ricostruire brevemente come si è arrivati a questo punto.

Cos’è la «sindrome dell’Avana»
Stando a un articolo del sito investigativo ProPublica, il primo caso risale all’autunno del 2016. È in quel periodo che un dipendente che lavorava all’ambasciata americana a Cuba – riaperta nel 2015 dopo decenni di ostilità diplomatica tra i due Paesi – sostenne di essere stato colpito da un «potente raggio sonoro acuto» mentre si trovava nella sua abitazione. Un problema analogo venne riscontrato da un altro dipendente dell’ambasciata, che raccontò di aver sentito strani «rumori metallici» dentro e fuori casa. Entrambi dissero di aver notato una riduzione del proprio udito, poi diagnosticata da alcuni esami medici condotti a Miami.

Nell’arco di qualche mese, altre ventidue persone all’ambasciata raccontarono di aver sentito rumori simili e dissero di aver sofferto sintomi debilitanti – tra cui danni all’udito, nausea e altri. Diversi di loro furono richiamati d’urgenza negli Stati Uniti.

Secondo un articolo di Associated Press del 2017, un’indagine preliminare del dipartimento di Stato affermava che «i diplomatici sono stati colpiti da un apparecchio tecnologicamente avanzato a ultrasuoni, utilizzato dentro o al di fuori delle loro abitazioni». La malattia dei diplomatici, aggiungeva l’indagine, avrebbe pertanto «un’origine non naturale».

Non è però chiaro se questo «apparecchio» sia stato usato dai cubani o da persone di altre nazionalità. L’amministrazione Trump accusò Cuba di non aver garantito la sicurezza del personale dell’ambasciata, e a maggio del 2017 espulse due diplomatici cubani dall’ambasciata a Washington. Dal canto suo, il governo cubano respinse con forza le accuse: in una nota ufficiale si legge che «Cuba non ha mai permesso, né permetterà, che il territorio cubano sia usato per compiere azioni contro diplomatici accreditati e le loro famiglie».

L’ambasciata americana a L’Avana. Foto via Wikimedia Commons.

Oltre a ridurre ai minimi termini il personale, la crisi dell’ambasciata portò anche a un deciso inasprimento delle relazioni tra Cuba e Stati Uniti. L’amministrazione Trump ripristinò infatti l’embargo commerciale e alcune sanzioni che erano state cancellate dall’ex presidente Barack Obama nell’ambito della normalizzazione tra i due Paesi. Lo stesso Trump, durante la campagna elettorale, aveva duramente criticato la politica di distensione inaugurata dal suo predecessore.

Negli anni successivi, la «sindrome dell’Avana» si è diffusa ben oltre Cuba. Episodi simili si sono infatti registrati in Colombia, Kyrgyzstan, Uzbekistan, Austria, Germania, Cina, India, Georgia, Vietnam e negli stessi Stati Uniti. Secondo un lungo articolo del New Yorker pubblicato nel maggio del 2021, sarebbero stati colpiti anche quattro funzionari dell’amministrazione Trump – due dei quali nei paraggi della Casa Bianca.

Sempre per il New Yorker, funzionari di alto livello delle amministrazioni Trump e Biden «sospettano privatamente che la Russia sia la vera responsabile» dell’insorgere della «sindrome dell’Avana». La loro ipotesi, riporta la testata, è che il GRU – il servizio segreto dell’esercito russo – «abbia usato degli apparecchi a microonde per captare informazioni dai computer e dai cellulari dei funzionari americani, e che quegli apparecchi siano dannosi per la salute».

Le presunte responsabilità dei servizi segreti russi
Si tratta di una tesi molto simile a quella avanzata dall’inchiesta di 60 Minutes, The Insider e Der Spiegel.

Stando alle tre testate, alcuni casi di «sindrome dell’Avana» sarebbero stati causati da operazioni clandestine dell’Unità 29155 del GRU – una divisione segreta a cui è stato attribuito l’avvelenamento nel Regno Unito della spia russa Sergej Skripal e della figlia, oltre a svariati omicidi e sabotaggi.

Analizzando gli spostamenti degli agenti dei servizi russi, i giornalisti hanno individuato la loro presenza nei pressi dei luoghi in cui si sarebbero verificati alcuni episodi. Una vittima – la moglie di un dipendente dell’ambasciata statunitense di Tbilisi, in Georgia – avrebbe anche riconosciuto Albert Averyanov, figlio di Andrey Averyanov, il capo dell’Unità 29155.

Un altro agente dell’Unità sarebbe stato identificato da un’altra vittima, un dipendente del consolato americano a Francoforte che nel 2014 sarebbe svenuto dopo essere stato colpito da «qualcosa di simile a un forte raggio d’energia». In base all’inchiesta, dunque, quello tedesco sarebbe il vero primo caso di «sindrome dell’Avana».

Il coinvolgimento del GRU emergerebbe anche da un’altra circostanza: a essere presi di mira sarebbero agenti, diplomatici e funzionari che – a vario titolo – si sono occupati di questioni inerenti alla Russia o all’Ucraina. A farlo notare alle telecamere di 60 minutes è stato Greg Edgreen, un ex militare che ha coordinato un’indagine sul tema lanciata dalla Defense Intelligence Agency (DIA, l’agenzia di intelligence dell’esercito).

«Analizzando una vasta quantità di dati», ha spiegato Edgreen, «abbiamo visto che [a essere colpiti] era tra il 5 e il 10 per cento del personale più efficiente della DIA. E c’era sempre un legame con la Russia. [Questi funzionari] avevano lavorato contro la Russia o si erano occupati di Russia, e avevano prodotto ottimi risultati».

L’inchiesta ha poi scoperto che un membro dell’Unità 29155, il colonnello Ivan Terentiev, ha condotto delle ricerche su «armi acustiche». Nel 2017 ha ceduto i diritti delle sue ricerche al ministro della Difesa russo; tra queste, sottolineano gli autori dell’indagine giornalistica, ne figura una sulle «potenzialità delle armi acustiche non letali nel contesto di combattimenti urbani».

Al di là di queste coincidenze, le tre testate non sono riuscite a trovare la misteriosa arma che sarebbe stata utilizzata dal GRU – ossia la proverbiale «pistola fumante». Ciò nonostante, nell’articolo di The Insider si afferma esplicitamente che «l’intera vicenda ha tutti i segni di un’operazione bellica ibrida russa». Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha tuttavia parlato di «accuse senza prove e senza fondamento».

Infine, secondo le vittime della «sindrome dell’Avana», il governo e l’intelligence statunitense avrebbero in loro possesso molte più informazioni sulla malattia e i presunti attacchi che la provocherebbero. Ma non le divulgherebbero per non spaventare troppo l’opinione pubblica, e soprattutto per non scoraggiare il reclutamento di diplomatici e funzionari. 

Cosa dicono la comunità scientifica e l’intelligence statunitense
Questa teoria è però in netto contrasto con quanto hanno stabilito l’intelligence statunitense e diversi studi scientifici.

Nel marzo del 2023, un rapporto dell’Office of the Director of National Intelligence – Odni, l’Ufficio del direttore dell’intelligence nazionale, un ente governativo che coordina e supervisiona l’intelligence statunitense – ha stabilito che è «altamente improbabile» che una «potenza nemica» sia la responsabile degli “eventi sanitari anomali”.

Nella valutazione dell’Odni firmata da sette agenzie federali si legge che «con ogni probabilità i sintomi riportati dal personale statunitense sono il risultato di fattori che non implicano un Paese nemico, ma piuttosto di condizioni mediche preesistenti, malattie convenzionali e cause ambientali».

L’anno precedente, nel 2022, la CIA era arrivata alle stesse conclusioni: la maggior parte dei casi segnalati è dovuta a malattie non diagnosticate e allo stress. Non esiste nemmeno alcuna prova che dimostri l’esistenza di un’arma a energia diretta, pulsata, sonica o a microonde (come sono state variamente descritte nel corso degli anni). Né, tanto meno, c’è la prova che un Paese ostile agli Stati Uniti ne possegga una.

Del tema si sono occupati anche i National Institutes of Health, NIH, l’equivalente statunitense del nostro Istituto superiore della sanità. Nel marzo del 2024 sono stati pubblicati due studi, condotti per cinque anni su più di 80 pazienti che dicono di soffrire della «sindrome dell’Avana». Le risonanze magnetiche e altri esami non hanno tuttavia riscontrato «lesioni al cervello o anormalità biologiche». A livello clinico non c’è dunque alcuna traccia di contusioni o di ferite causate da presunte armi sonore o di altro tipo, né segni di declino cognitivo.

A circa il 28 percento dei pazienti è stata invece diagnosticata una condizione chiamata instabilità posturale-percettiva persistente (o Pppd, acronimo di Persistent Postural-Perceptual Dizziness), un disturbo vestibolare che può causare vertigini, emicranie e perdita di equilibrio. Altri invece hanno mostrato sintomi compatibili con la spossatezza, lo stress post-traumatico e la depressione. Leighton Chan – il dottore dell’NIH che ha coordinato gli studi – ha affermato in una conferenza stampa che «queste persone hanno sintomi reali e stanno attraversando un periodo molto difficile delle loro vite».

Tuttavia, non esiste una spiegazione univoca per le condizioni di questi pazienti. Alcuni esperti ritengono che «la sindrome dell’Avana» sia invece la manifestazione di disturbi psicosomatici, tra cui il disturbo di conversione (o disturbo funzionale da sintomi neurologici) e la malattia psicogenica di massa – più comunemente nota con il nome di “isteria di massa”.

Come ha spiegato al Corriere della Sera il sociologo medico statunitense Robert Bartholomew – autore di un libro e diversi articoli scientifici sul tema insieme al professore emerito di neurologia Robert Baloh – si tratta di un «disturbo nervoso caratterizzato da un rapido diffondersi di sintomi di malattia all’interno di un gruppo sociale coeso, e per il quale non viene riscontrata una causa organica».

Una malattia psicogena di massa, spiega Baloh in un pezzo sul sito The Conversation, solitamente inizia in un «ambiente stressante» quando un «un individuo con una malattia non collegata crede che i sintomi siano causati da qualcosa di misterioso». A quel punto la persona «diffonde l’idea a chi gli sta intorno», e si verifica una sorta di «contagio psicologico». La storia dell’umanità, puntualizza Baloh, è piena di casi del genere.

In questo senso – scrivono i due in un articolo pubblicato nel 2023 sulla rivista International Journal of Social Psychiatry – la «sindrome di Havana» è una sorta di «vino vecchio in una botte nuova». La vicenda racchiude infatti almeno due elementi chiave di ogni panico morale di lunga data: la paura del «nemico alle porte» e la fobia per le nuove tecnologie, che talvolta può sfociare in malattie psicosomatiche – come la «sindrome delle turbine eoliche», di cui abbiamo parlato in questo articolo.

Per Baloh e Bartholomew, insomma, la «sindrome dell’Avana» è l’ennesimo «allarme sanitario» infondato. E invece di affidarsi a «spiegazioni esotiche», concludono, bisognerebbe sempre «seguire la scienza».

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