“A fuoco”, parlare di clima non significa parlare solo di clima - Facta
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“A fuoco”, parlare di clima non significa parlare solo di clima

di Simone Fontana

È in libreria “A fuoco. Crisi climatica e disinformazione” (Mimesis Edizioni), nato dall’esperienza dell’omonima newsletter collaborativa di Facta, Pagella Politica e Slow News, che riporta al centro del dibattito gli interrogativi che riguardano l’emergenza climatica. Il libro, che raccoglie i contributi di nove autrici e nove autori, è stato presentato al Salone Internazionale del Libro. Simone Fontana, giornalista e responsabile editoriale di Facta, racconta in questo estratto come è maturato il progetto di “A fuoco” e cosa vuol dire, oggi, fare informazione sul cambiamento climatico.


Quando parliamo di clima non parliamo quasi mai solo di clima. Come racconteremo meglio nel seguito di questo volume, le conseguenze della crisi climatica sono drammatiche e reali per tutti, certo, ma non colpiranno tutti con la stessa intensità. Questo perché parlare di clima, oggi, significa soprattutto parlare di noi, delle nostre società, di come le abbiamo costruite e – diciamocelo – di tutti gli errori che abbiamo commesso nel governarle.

La crisi climatica che stiamo vivendo si intreccia infatti indissolubilmente con le disuguaglianze sociali, economiche e politiche esistenti, amplificando il loro impatto sulle comunità marginalizzate e sulle popolazioni vulnerabili. Genere, etnia, classe, età, disabilità e tutte le altre identità umane modellano il modo in cui gli individui sperimentano e affrontano le sfide ambientali: riconoscere queste differenze non è solo una questione di giustizia sociale, ma l’unico modo possibile per sviluppare soluzioni efficaci che non lascino indietro nessuno.

La popolazione nera degli Stati Uniti, ad esempio, ha il 75 per cento di probabilità in più rispetto agli altri gruppi demografici di vivere vicino a impianti che producono rifiuti pericolosi. Le radici di questa ingiustizia sono strettamente collegate alla storia di discriminazione sperimentata dalla comunità afroamericana, che nella prima metà del Novecento è stata vittima di una pratica segregazionista nota come redlining, studiata per confinare le minoranze etniche in quartieri lontani da quelli bianchi e ricchi. Oggi quella pratica discriminatoria non esiste più, ma per decenni le aree adibite a quartieri-ghetto sono state percepite come di minor valore e la svalutazione dei terreni ha attratto impianti industriali, arterie autostradali e siti di stoccaggio dei rifiuti. In altre parole, la razza (nella sua accezione sociologica, mentre è ormai noto che dal punto di vista scientifico il termine non abbia alcun fondamento) continua a influenzare negativamente la qualità della vita di chi abita quei quartieri, figli e nipoti di persone sottoposte a una discriminazione sistemica e che oggi sono maggiormente esposti all’inquinamento atmosferico e in ultima analisi alle conseguenze della crisi climatica.

Una dinamica molto simile riguarda anche la fascia di popolazione a basso reddito, costretta a vivere nelle cosiddette “isole di calore”, ovvero in quelle aree normalmente poste all’interno dei grandi centri urbani che si caratterizzano per un microclima più caldo. La differenza di temperatura rispetto alle zone circostanti è principalmente legata alla maggiore densità abitativa, ma influiscono in modo cruciale anche i materiali di costruzione generalmente più economici – e dunque meno termoisolanti – e la scarsa disponibilità di aree verdi. Le statistiche rivelano infatti che le comunità a basso reddito godono di una copertura arborea nettamente inferiore rispetto a quella dei quartieri ad alto reddito, che possono quindi beneficiare di una migliore qualità dell’aria e della salutare ombra degli alberi, in grado di abbassare la temperatura percepita. Nel prossimo futuro le ondate di calore diventeranno sempre più frequenti ed è evidente che quello che all’apparenza può sembrare un semplice particolare urbanistico diventerà un fattore determinante per la qualità della vita. 

L’emergenza climatica avrà effetti dirompenti anche sulla vita delle donne, andando a peggiorare quella questione di genere che già alle attuali condizioni necessiterebbe, secondo le stime degli esperti, di altri 131 anni per essere appianata. Il 43 per cento delle donne nei Paesi in via di sviluppo lavora infatti nel settore agricolo, ma solo il 12,6 per cento delle donne a livello globale possiede un terreno. Ciò significa che i cambiamenti climatici, se non adeguatamente mitigati, potrebbero compromettere l’unico mezzo di sussistenza di una fetta enorme della popolazione femminile. 

Ma non è tutto, perché ad oggi alle donne è demandato il 75 per cento del lavoro non retribuito di assistenza e cura a livello globale e questo dato è destinato a crescere con l’aumentare della frequenza di eventi meteorologici estremi in grado di provocare disastri naturali. Una vulnerabilità economica che avrebbe come prevedibile conseguenza l’abbandono scolastico e una maggiore ricattabilità, inducendo le donne a dipendere maggiormente dai loro partner – anche nei casi di violenza domestica – o a sposarsi in cambio di una dote. Questa differente percezione delle conseguenze della crisi climatica basata sul genere non è solo teorica, ma è già realtà: oggi le donne costituiscono l’80 per cento delle persone sfollate a causa del cambiamento climatico e durante la siccità del 2021, in Somalia, è stato registrato un incremento degli stupri di gruppo dovuti a conflitti e tensioni sociali collegate all’emergenza.

Credo che arrivati a questo punto sia chiaro a tutti il nodo del discorso: l’entità della crisi climatica in corso è indissolubilmente legata all’identità di chi ne sperimenterà le conseguenze e affrontare questa sfida sarà ancora più difficile per le persone che si trovano all’intersezione di discriminazioni diverse. Questo approccio teorico è comunemente definito “intersezionalità” ed è quello scelto anche dalle Nazioni Unite, che a partire dal 2019 riconoscono ufficialmente il cambiamento climatico come un “moltiplicatore di rischio”, ovvero come un fattore in grado di inasprire diseguaglianze economiche e sociali già esistenti. Ma è anche il concetto alla base delle rivendicazioni di Fridays for Future, ad esempio, la sola organizzazione ambientalista realmente in grado di attivare un processo di mobilitazione popolare e di massa. 

Il movimento internazionale fondato da Greta Thunberg ha scelto da tempo di abbracciare la lotta intersezionale, condividendo le istanze di movimenti femministi, antirazzisti e queer. Un’alleanza degli oppressi che a ottobre del 2022 è sfociata nella manifestazione “Convergere per insorgere” di Bologna, che ha visto Fridays for Future e decine di migliaia di persone scendere in strada fianco a fianco con gli operai del colosso britannico dell’automotive Gkn, licenziati via mail nel 2021 dallo stabilimento toscano dell’azienda e da quel momento autori della più lunga occupazione di fabbrica nella storia italiana. Una saldatura tra rivendicazioni climatiche e lotte operaie del tutto inedita sul suolo italiano.

Nel nostro piccolo, abbiamo scelto di applicare la stessa filosofia anche alla newsletter “A Fuoco”, di cui questo libro è la diretta conseguenza. Una linea editoriale multidisciplinare, che potesse trattare le sfide del cambiamento climatico sotto molteplici aspetti e ambiti accademici differenti, ma anche e soprattutto che potesse parlare a tutti e a tutte, nel tentativo di coprire l’intero spettro delle sfide offerte dalla crisi climatica. Per fare ciò abbiamo scelto di affidarci a nove autori e nove autrici, diciotto tra le personalità più preparate nei rispettivi campi. Abbiamo deciso di coinvolgere giornalisti scientifici, docenti universitari, scienziati e comunicatori della scienza, con l’ambizione di mettere al centro l’aspetto divulgativo di ogni singolo tema. Perché i cambiamenti climatici coinvolgono complesse questioni di carattere scientifico, è vero, ma come abbiamo visto sono anche e soprattutto cose che accadono nel nostro mondo, nel mondo reale, e hanno conseguenze estremamente reali.

Abbiamo iniziato il nostro viaggio nella disinformazione climatica parlando di alcune trappole cognitive che ostacolano gli sforzi per affrontare l’emergenza climatica e abbiamo proseguito parlando di transizione energetica, ecoansia, teorie del complotto, rifugiati climatici e del reale costo ambientale del cibo che arriva sulle nostre tavole. Abbiamo affrontato il tema del consenso all’interno della comunità scientifica e quello del finto dualismo tra ambiente e lavoro che da anni monopolizza il nostro dibattito politico. Abbiamo discusso di privilegio, di questione di genere, di false balance e di eventi meteorologici estremi. Abbiamo ospitato un reportage in diretta da Cop28, la conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico che, pur con tutti i suoi limiti, ha sancito il primo passo verso il definitivo tramonto delle fonti fossili. E abbiamo chiuso questo ciclo di approfondimenti con la domanda delle domande: la crisi climatica è davvero responsabilità della specie umana? (Spoiler alert: sì, lo è).

È stata una cavalcata appassionante ed estremamente stimolante dal punto di vista professionale. Abbiamo dato ai nostri autori tempo e libertà, due cose che di solito sono rare nel panorama giornalistico italiano, e abbiamo potuto fare tutto questo anche grazie ai tanti lettori che hanno seguito la newsletter e hanno condiviso con noi dubbi e perplessità. In questo libro abbiamo messo tutta la nostra idea di giornalismo, che è un giornalismo lento e ragionato, basato sulle fonti e sugli esperti. Un giornalismo che si prende cura degli individui e delle comunità umane, ma che ha senso solo nella misura in cui riesce a raccontare il mondo con il proposito di cambiarlo, rendendo consapevole una persona alla volta dell’importanza di affrontare la sfida più importante del nostro tempo: quella per la sopravvivenza della specie umana.


“A fuoco. Crisi climatica e disinformazione” (Mimesis Edizioni), a cura di Simone Fontana, è in vendita online e in libreria. Contributi di Silvia Kuna Ballero, Emanuela Barbiroglio, Leila Belhadj Mohamed, Leonardo Bianchi, Carlo Canepa, Andrea Coccia, Ferdinando Cotugno, Eleonora Degano, Simone Fontana, Marina Forti, Serena Giacomin, Federico Grazzini, Stefano Liberti, Sara Manisera, Jessica Mariana Masucci, Luca Mercalli, Tommaso Perrone, Telmo Pievani, Alberto Puliafito, Massimo Sandal, Antonio Scalari, Anna Toniolo, Giovanni Zagni.

Immagine di copertina: Presentazione di “A fuoco” al Salone Internazionale del Libro. Da sinistra: Anna Toniolo, Sofia Pasotto, Alberto Puliafito, Simone Fontana
Photo credits: Fulvio Nebbia, IK Produzioni

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