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L’esercito degli Stati Uniti ha diffuso propaganda antivaccinista durante il periodo peggiore della pandemia

Secondo un’inchiesta di Reuters, il Pentagono ha condotto un’operazione clandestina per screditare il vaccino di Sinovac nelle Filippine e in altri Paesi del Sud-est asiatico

21 giugno 2024
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Di Leonardo Bianchi

All’apice della pandemia di Covid-19, l’esercito statunitense ha condotto un’operazione clandestina di disinformazione per screditare il vaccino CoronaVac, prodotto dall’azienda farmaceutica cinese Sinovac e approvato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS).

La campagna antivaccinista – che si è concentrata soprattutto sulle Filippine, un Paese particolarmente colpito dall’epidemia – è stata scoperta da un’indagine giornalistica di Reuters pubblicata il 14 giugno del 2024. Attraverso centinaia di account falsi attivi su varie piattaforme social, l’esercito statunitense e i suoi contractor (ossia appaltatori) hanno cercato di mettere in dubbio l’efficacia del vaccino, nonché delle mascherine e di altri dispositivi sanitari provenienti dalla Cina.

Gli account in questione sono stati creati nell’estate del 2020, poco dopo l’avvio delle sperimentazioni cliniche da parte di Sinovac. Su Twitter, la maggior parte dei tweet disinformativi erano raccolti sotto l’hashtag #Chinaangvirus, che in Tagalog (la lingua più diffusa nelle Filippine) significa «il virus è la Cina».

Uno di questi, riportato da Reuters, recitava: «Il COVID viene dalla Cina e anche il VACCINO viene dalla Cina, non fidatevi della Cina!» Altri post sostenevano falsamente che CoronaVac contenesse della gelatina di maiale come stabilizzante, e dunque che le persone di fede musulmana non potessero assumere il farmaco, visto che il consumo di carne di maiale è proibito in ogni forma dal Corano. Già nel 2021, per rassicurare le autorità indonesiane (un Paese a larghissima maggioranza musulmana), Sinovac aveva spiegato che il vaccino era prodotto «senza derivati del maiale».

Stando a quanto riporta Reuters, la campagna è stata autorizzata dall’amministrazione di Donald Trump e ha coinvolto diversi Paesi del Sud-est asiatico, dell’Asia centrale e del Medio Oriente. È continuata anche per i primi mesi dell’amministrazione di Joe Biden, salvo poi essere interrotta nella primavera del 2021 su ordine del Consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America – l’organo che assiste il presidente statunitense in materia di sicurezza nazionale e politica estera.

L’operazione clandestina del Pentagono ha preso di mira soprattutto le Filippine, che all’epoca erano guidate dal presidente Rodrigo Duterte – un politico populista dalle tendenze autoritarie, da sempre su posizioni fortemente anti-americane.

Per provare ad arginare il dilagare dell’epidemia, nel luglio del 2020 Duterte aveva annunciato che il Paese non si sarebbe più opposto all’espansione militare della Cina nelle aree contese del Mar Cinese Mediterraneo. In cambio, Pechino aveva promesso che le Filippine avrebbero avuto un accesso preferenziale ai vaccini prodotti dalle aziende farmaceutiche cinesi.

La campagna vaccinale ha però stentato a decollare, e a lungo le Filippine hanno avuto uno dei più bassi tassi di vaccinazione contro il Covid-19 dell’intero Sud-est asiatico. Nel giugno del 2021, quando appena 2 milioni di cittadini su 114 milioni avevano ricevuto le prime due dosi, Duterte fece un drammatico appello televisivo in cui minacciava di arrestare chiunque si fosse rifiutato di vaccinarsi.

L’esitazione vaccinale ha avuto pesanti ripercussioni in termini di infezioni e decessi, ed è stata esacerbata dall’operazione dell’esercito statunitense che – scrive Reuters – ha sostanzialmente «ignorato i danni collaterali che questo tipo di propaganda poteva avere su cittadini innocenti». Come ha inoltre confermato all’agenzia di stampa un funzionario coinvolto nella campagna, la preoccupazione del Pentagono non era certamente la salute pubblica: era piuttosto quella di «trascinare la Cina nel fango».

La disinformazione come arma geopolitica
Non è la prima volta che l’esercito statunitense ha utilizzato la disinformazione contro la Cina – e più in generale contro i propri avversari geopolitici.

Nel 2019, rileva sempre l’agenzia di stampa, l’ex presidente Donald Trump aveva autorizzato un’altra campagna clandestina – questa volta gestita dalla CIA, il servizio segreto statunitense – volta a mettere in cattiva luce il segretario generale del Partito Comunista cinese Xi Jinping, il governo di Pechino e la cosiddetta “nuova via della seta”, un’iniziativa economico-infrastrutturale promossa dalla Cina in vari Paesi.

La pandemia di Covid-19 avrebbe spinto l’esercito e l’amministrazione Trump a intensificare questo tipo di operazioni, anche per reagire alla disinformazione proveniente dalla propaganda ufficiale (e ufficiosa) cinese. Sin dalle prime fasi dell’emergenza sanitaria, funzionari governativi e reti di account falsi avevano infatti promosso la teoria infondata dell’origine statunitense del virus: Sars-Cov-2 sarebbe stato creato nel laboratorio militare di ricerca biomedica a Fort Detrick, nello Stato del Maryland, che da decenni è al centro di speculazioni complottiste di ogni genere.

L’altro obiettivo della campagna antivaccinista del Pentagono era quello di contrastare la «diplomazia vaccinale» cinese, considerata come un tentativo di attirare i Paesi del Sud-Est asiatico nell’orbita di Pechino.

Questa mossa, stando a Reuters, è stata però avversata dai diplomatici in servizio nelle Filippine e in altri Paesi coinvolti, nonché da alcuni funzionari del dipartimento di Stato. A loro avviso, era del tutto irresponsabile e controproducente lanciare un’operazione di tale portata nel mezzo di una gravissima emergenza sanitaria.

Questo giudizio è stato condiviso anche da alcuni esperti sentiti dall’agenzia di stampa. L’infettivologo Daniel Lucey ha sottolineato che questa campagna «non è difendibile in alcun modo», e si è detto «sconcertato, dispiaciuto e deluso dal comportamento del governo statunitense». Lo stesso ha aggiunto che la diffusione di propaganda antivaccinista non si limita a colpire i vaccini, ma può avere l’effetto di vanificare altre misure di sanità pubblica.

Il precedente della falsa vaccinazione della CIA in Pakistan per individuare Bin Laden
È esattamente quello che è successo in Pakistan a causa di una falsa campagna di vaccinazione contro l’epatite B organizzata nel 2011 dalla CIA per individuare Osama Bin Laden, il leader di Al-Qaeda che aveva ordinato e pianificato gli attentati dell’11 settembre 2001.

Il servizio segreto statunitense aveva scoperto che uno dei corrieri di Bin Laden si recava spesso in un complesso di palazzi fortificato nella città di Abbottabad, dove si sospettava che fosse nascosto il terrorista. La CIA aveva così incaricato un medico pakistano, Shakil Afridi, di allestire una falsa vaccinazione per recuperare i campioni di DNA di almeno un familiare di Bin Laden e avere prove certe della sua presenza.

Il finto programma fu effettivamente lanciato a marzo del 2011. Per non destare sospetti partì da una zona periferica di Abbottabad e poi arrivò al complesso in cui c’era Bin Laden. Secondo il Guardian, tuttavia, Afridi e i suoi collaboratori non riuscirono a prelevare alcun campione genetico. Il leader di Al-Qaeda si trovava comunque all’interno del complesso, e venne ucciso nella notte tra l’1 e il 2 maggio dello stesso anno dai Navy Seals statunitensi nell’ambito dell’operazione “Neptune Spear”.

Nei giorni successivi al raid, i servizi segreti pakistani (ISI) scoprirono le false vaccinazioni e arrestarono Afridi. Il medico venne poi condannato a 33 anni di carcere per attività sovversiva e alto tradimento. Il programma della CIA fu fortemente criticato da esperti, medici e anche all’allora portavoce della Croce Rossa in Pakistan Michael O’Brien. «Tutto ciò che compromette la reputazione e l’imparzialità degli operatori sanitari ostacola la loro attività dappertutto, specialmente nei luoghi in cui le cure mediche servono maggiormente», disse all’epoca.

I risultati di quell’operazione della CIA furono disastrosi soprattutto nelle province Nord-Occidentali del Pakistan che confinano con l’Afghanistan, alcune delle quali sotto il controllo del movimento dei talebani pakistani. Nel 2012 questi ultimi proibirono le vaccinazioni contro la poliomielite – che era a un passo dall’eradicazione – sostenendo che fossero una macchinazione della CIA. Decine di operatori sanitari che somministravano i farmaci furono aggrediti e uccisi, e nel 2013 le Nazioni unite sospesero il programma di vaccinazione in quelle zone. A oggi il Pakistan rimane uno dei due Paesi al mondo (l’altro è l’Afghanistan) in cui la poliomielite è ancora endemica.Taimur Khan Jhagra, l’ex ministro della Salute pakistano della provincia Nord-Occidentale di Khyber Pakhtunkhwa – dove si sono verificati molti attacchi a operatori sanitari e forze dell’ordine – ha detto in un’intervista a VICE del 2021 che le finte vaccinazioni della CIA «ci hanno riportato indietro di un decennio», hanno regalato «le munizioni a complottisti e antivaccinisti per danneggiare la salute di tutti» e hanno minato la fiducia nei confronti dei vaccini e della scienza.

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