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I repubblicani stanno usando l’attentato a Trump per promuovere retoriche misogine

La propaganda repubblicana sta sfruttando l’attentato a Trump per attaccare le leggi sull’inclusività

26 luglio 2024
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Di Enzo Panizio

Il tentato assassinio di Donald Trump e il dibattito sulla tutela delle minoranze sono due cose apparentemente molto diverse. Alcuni politici repubblicani stanno però sfruttando la sparatoria per attaccare le leggi sull’inclusività.

Gli spari che il 13 luglio hanno ferito Donald Trump, ora candidato repubblicano alla Casa Bianca, che aveva da poco iniziato un comizio elettorale a Butler, in Pennsylvania, è già entrato nella storia americana. Oltre che sulle conseguenze per la campagna politica interna degli Stati Uniti, l’opinione pubblica – non solo oltre oceano – si è concentrata sulle responsabilità del Secret Service, l’agenzia federale tra i cui incarichi c’è quello di salvaguardare la sicurezza di presidenti e altri leader di alto profilo.

Proprio la discussione sulle inefficienze del Secret Service nell’attacco subìto dall’ex presidente statunitense, che per questione di millimetri non gli è costato la vita, ha riacceso un dibattito su donne e gruppi minoritari che nei meandri del web e da alcuni politici repubblicani viene caricato di messaggi sessisti e misogini, ora comparsi anche in Italia.

Il peggiore fallimento da decenni
La facilità con cui l’attentatore è riuscito ad avere sotto tiro Trump e lo schema di protezione che è risultato fallace sono stati i principali motivi per cui il Secret Service è stato oggetto di critiche aspre nelle scorse settimane, che hanno portato alle dimissioni della direttrice Kimberly Cheatle. La stessa Cheatle ha definito quanto accaduto in Pennsylvania come «il peggiore fallimento operativo del Secret Service da decenni», assumendosi «la piena responsabilità per qualsiasi falla nella sicurezza», durante un’audizione al Congresso, il Parlamento statunitense, poche ore prima di lasciare il suo incarico.

Durante la stessa audizione, il rappresentante repubblicano nel Congresso Tim Burchett ha definito Cheatle una «storia dell’orrore DEI», dove DEI sta per Diversity, Equality and Inclusion (in italiano: diversità, uguaglianza e inclusione). Con questa espressione, usata anche nei confronti di Kamala Harris, probabile candidata democratica dopo il ritiro dalla corsa dell’attuale presidente Joe Biden, il repubblicano Burchett ha voluto intendere che il fallimento di cui Cheatle si è assunta la responsabilità è un prodotto delle leggi che promuovono l’assunzione di persone e gruppi storicamente marginalizzati e svantaggiati. Secondo questa interpretazione, l’attentato a Trump quindi sarebbe ascrivibile alle misure che promuovono l’inclusività. Accuse simili erano state mosse da influencer legati alla destra già all’indomani della sparatoria, associando l’inefficienza del Secret Service al fatto che Cheatle, appena insediata, aveva dichiarato di mirare ad avere il 30 per cento di reclute donne entro il 2030. Alcuni commenti apparsi sui social definiscono lo stesso attentato come l’effetto dell’«epidemia dei DEI».

In realtà, al netto degli errori di Butler, la ormai ex direttrice non era certo una novellina: aveva lavorato oltre venticinque anni nell’agenzia di sicurezza prima di diventarne la responsabile. Le sue posizioni sull’inclusività, però, sembrano aver favorito un gancio a una retorica conservatrice di lungo corso. Sono già diversi anni, infatti, che l’opposizione alle misure DEI viene portata avanti dai repubblicani (tra cui il governatore della Florida Ron DeSantis) e rilanciata poi da alcune frange ultraconservatrici e reazionarie che popolano i social network. E, dopo il tentato omicidio del Tycoon, la campagna si è intensificata.

Misure inclusive
Per quanto sia molto diffuso e comune negli Stati Uniti, l’acronimo DEI in realtà indica principi e concetti alquanto vaghi, che poi vengono messi in pratica da una moltitudine di norme e regolamenti su base locale o nazionale. L’implementazione di questi programmi di inclusione trae origine dal movimento per i diritti civili degli anni ’60, in particolare con il Civil Rights Act del 1964, che ha sancito l’abolizione della discriminazione basata su razza, religione, sesso, colore e origine.

Negli anni Sessanta e Settanta, le aziende hanno iniziato a incorporare la diversità nelle loro strategie di business, soprattutto attraverso assunzioni di persone appartenenti a minoranze svantaggiate e formazione sull’inclusività. L’attenzione a questi sforzi ha ripreso attualità dopo l’uccisione di George Floyd nel 2020 e i movimenti di protesta che ne sono seguiti ne hanno ispirato una nuova. I programmi DEI, in sostanza, sono norme simili alla legge italiana sulle cosiddette Quote rosa, solo che riguardano non solo le donne ma anche altri gruppi marginalizzati e storicamente sottorappresentati, come persone nere o appartenenti alla comunità LGBTQ+. E non riguardano solo i posti di lavoro ma anche università, scuole e altre istituzioni, secondo schemi che esse o gli Stati dove si trovano implementano a seconda delle varie sensibilità ed esigenze.

In conseguenza dell’opposizione repubblicana ai movimenti per i diritti (su tutti Black Lives Matter), però, le misure DEI sono state di recente oggetto di grandi critiche e di campagne politiche avverse. La società americana, come su altri temi cruciali, è particolarmente polarizzata a riguardo. Tra gli effetti di queste divisioni c’è anche il fatto che diversi Stati, e soprattutto quelli governati dal partito repubblicano, hanno introdotto leggi anti-DEI. Tali politici sostengono che queste misure, invece che favorire l’inclusione di gruppi svantaggiati, siano discriminatorie nei confronti delle persone che non rientrano in queste categorie – ad esempio, i maschi bianchi – mentre le misure che promuovono l’inclusività vengono avversate anche da alcuni personaggi famosi. Il miliardario Bill Ackman ha pubblicato su X una lunga critica ai programmi DEI, ripostata da Elon Musk, proprietario di X, con il commento: «DEI è solo un’altra parola che sta per razzismo. Chiunque la usi si deve vergognare», avallando la tesi della discriminazione al contrario. Le teorie sulla pericolosità di queste misure, che sfruttanto pregiudizi misogini o razzisti per descrivere donne e persone nere come non qualificate per incarichi di prestigio, hanno portato di recente a ritenerle responsabili anche del crollo del ponte di Baltimora, di incidenti aerei o anche dell’antisemitismo nelle università.

Il sessismo e l’attentato a Trump
È in questo contesto che l’attentato a Trump è stato preso a pretesto e descritto come una prova dell’inadeguatezza delle misure DEI, sfruttando gli avvenimenti per descrivere le donne come inette o inadatte a certi mestieri. In particolare su X e TikTok, diversi utenti hanno condiviso i video della sparatoria a Trump, commentando l’operato di agenti di sicurezza donne, definite come «DEI hires» – assunzioni DEI o quote rosa, in italiano. In realtà, si tratta di contenuti misogini e sessisti che incolpano le agenti nei video di essere incompetenti, ma avvantaggiate nelle assunzioni solo perché donne.

Alcune foto del momento in cui Trump viene portato via dal palco dove è stato ferito, catturato da diverse angolazioni, vengono condivise per dire che «l’agente donna del Secret Service sembra che stia usando Trump come scudo umano invece che il contrario» o che le agenti donna non potrebbero proteggere «nemmeno un sacco di patate», alludendo ai DEI. In realtà, l’agente è protesa a scortare Trump giù dal palco ed è quella a cui l’ex presidente si aggrappa per scendere dalla tribuna. Ma c’è un altro video al centro di queste critiche che sta scatenando il web.

Tratto dal filmato in cui si vede il momento in cui l’ex presidente viene colpito, lo spezzone in questione ritrae un’agente nei momenti concitati successivi all’attacco, mentre Trump viene caricato nella macchina che lo porterà via. La donna ha la faccia preoccupata e la pistola in mano, che non riesce a riporre nella fondina. Il video è stato condiviso su diversi social e diverse lingue, suggerendo senza nessuna prova che si trattasse del primo giorno di lavoro e ovviamente incolpando le politiche DEI. Oltre che per le accuse di incompetenza, il video viene utilizzato per ridicolizzare la stessa agente e le politiche inclusive.

Una versione rallentata e tagliata del filmato è stata doppiata e ricondivisa sulle piattaforme. «La barbie del Secret Service rimuove la sua pistola dalla fondina per la primissima volta», si afferma facendo leva su stereotipi sessisti. Il video è tagliato in modo che non si veda il momento in cui la donna riesce a rinfoderare l’arma, mentre viene accusata di essere incapace di farlo ma riuscire a fingersi professionale «grazie alle competenze acquisite in un’altra vita come attrice amatoriale», nonostante i «tentativi di portare a compimento un compito basilare risultano fallimentari». Non è il solo contenuto che sta esponendo l’agente in questione alla gogna di internet, che non risparmia body shaming e altro tipo di contenuti discriminatori.

Oltre a chi se la prende con il suo aspetto fisico (accusandola di essere troppo grassa o troppo bassa per il lavoro, ma favorita dalle scelte di Cheatle), c’è anche chi ha ipotizzato di farci un costume di Halloween, considerando la scena imbarazzante o spaventosa, o addirittura un film della Disney dal titolo DEI hire. Come immaginabile, non mancano meme o scenette comiche, che ironizzano supponendo l’incompetenza dei fantomatici assunti DEI. Qualcuno è più diretto: «i DEI sono sempre un fallimento».

Campagna presidenziale
Al di là delle ridicolizzazioni – comunque tattiche utili a veicolare messaggi spesso faziosi – il fenomeno emerge da un punto di vista prettamente politico. Sui social, gli utenti non hanno fatto a meno di rilanciare le accuse mosse da Burchett durante l’audizione, mentre le stesse tesi contro le politiche inclusive vengono importate anche in Europa. Sempre sfruttando immagini della scorta di Trump o proprio dell’attentato di Butler, diversi profili su X stanno veicolando messaggi in italiano che dipingono le donne come inadatte a certi mestieri oppure le quote rosa come un «abbassamento degli standard lavorativi», in un’evidente ripresa degli slogan americani.

In verità, proprio le insinuazioni di di Burchett secondo cui Kamala Harris sarebbe arrivata alla vicepresidenza perché favorita da politiche inclusive hanno indignato anche alcuni esponenti del suo stesso partito. «Certo che non è appropriato, per carità. Che c’è, vogliono dire che se non uno non è un maschio bianco, è un candidato DEI? Mi dispiace ma no», ha dettotra gli altri – la senatrice repubblicana Lisa Murkowski, mentre Politico riporta che alcuni democratici stanno valutando se chiedere una mozione di censura nei suoi riguardi. Allo stesso tempo, come su Facta abbiamo già scritto, la stessa Harris è oggetto di una campagna di disinformazione a sfondo razziale, che tra le altre cose la accusa di fingere di essere nera per avvantaggiarsi con le quote DEI.

Non è difficile pronosticare che questi attacchi razzisti e misogini saranno centrali e si moltiplicheranno durante la campagna elettorale per le presidenziali di novembre, che vedrà con ogni probabilità la prima donna nera competere per la Casa Bianca contro un ex presidente già noto per le accuse sessiste rivolte alle avversarie politiche.

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