La disinformazione su questo tema ha trovato un canale di diffusione particolarmente efficace su TikTok, attraverso i profili di influencer piuttosto seguiti. Sembra che le tesi dei “no-crema solare” abbiano fatto breccia in particolare all’interno della Generazione Z, cioè i nati tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio degli anni 10. Un sondaggio dell’American Academy of Dermatology, svolto a maggio del 2024 su un campione di più di mille persone, ha trovato che il 52 per cento delle persone in questa fascia di età non era consapevole di uno o più rischi legati alle scottature causate dall’eccessiva esposizione al Sole.
Le creme solari sono prodotti di largo consumo, ma probabilmente non è altrettanto diffusa la consapevolezza su come funzionano e sulla loro efficacia. Molti hanno senz’altro familiarità con il fattore di protezione solare (SPF), che è una misura della quantità di radiazione ultravioletta necessaria a causare un eritema sulla pelle protetta rispetto alla quantità che può causarlo sulla pelle non protetta. I prodotti con SPF uguale o maggiore a 50 sono quelli che conferiscono una protezione molto alta. È bene sottolineare che questo fattore non dipende da quanto tempo si rimane al Sole, ma dalla quantità dell’esposizione. Questa è legata al tempo di esposizione, ma anche all’intensità della radiazione solare, che varia nell’arco della giornata raggiungendo il picco nelle ore centrali.
I filtri solari disponibili in commercio vengono in genere distinti in “chimici” e “fisici”. In realtà, tutti sono fatti di molecole, cioè sostanze chimiche. La loro differenza è che i principi attivi dei filtri “chimici” sono molecole organiche, come l’octocrylene e l’ossibenzone, quelli dei filtri “fisici” sono molecole inorganiche, come l’ossido di zinco e il biossido di titanio. Entrambi i tipi funzionano, seppur in modo diverso, assorbendo e riflettendo i raggi ultravioletti del Sole.
Il “paradosso delle creme solari”
La tesi dei “no crema solare” è che questi prodotti non proteggano dal cancro della pelle, ma addirittura lo causino e che comportino altri pericolosi rischi per la salute. Che i filtri solari siano cancerogeni è una tesi che non poggia su alcuna evidenza scientifica. Il suo unico appiglio può essere un’interpretazione scorretta di quello che viene chiamato “paradosso delle creme solari”.
Come evidenzia uno studio pubblicato nel 2023 da ricercatori della McGill University, in Canada, è stata osservata una correlazione tra aumento dell’incidenza di cancri della pelle e utilizzo delle creme solari. Durante la ricerca è emerso che in alcuni gruppi di persone, in cui si riscontrava un’elevata incidenza di melanoma, era piuttosto diffuso l’utilizzo di creme solari. Come spiegare l’apparente paradosso?
È chiaro che le persone che, per diverse ragioni, passano più tempo all’aperto, quindi al Sole, sono anche le più abituate a usare le creme solari, rispetto ad altre. Ma non è detto che lo facciano nel modo corretto, usando cioè la giusta quantità di prodotto e con un’adeguata frequenza di applicazione. Pensare di essere completamente difesi dalla crema solare può dare un falso senso di sicurezza e indurre a comportamenti rischiosi, come rimanere troppo al Sole. Le creme solari servono, ma è necessario proteggersi anche attraverso gli indumenti ed evitare comunque di esporsi troppo ai raggi ultravioletti (questo vale anche per le lampade abbronzanti).
Se si esamina l’efficacia dei filtri solari in studi controllati si vede che il loro uso riduce sensibilmente il rischio di insorgenza di cancri della pelle. Per esempio uno studio condotto in Australia su un campione di soggetti di età compresa tra i 18 e i 40 anni ha trovato che l’utilizzo regolare delle creme solari abbatte il rischio di melanoma del 40 per cento. Un’altro studio, pubblicato nel 2010, ha mostrato una riduzione del 50 per cento del rischio di questo tumore e del 73 per cento del melanoma invasivo. Nel complesso – scrivono alcuni esperti -, le evidenze di maggiore qualità, disponibili ad oggi, suggeriscono che i filtri solari prevengono il cancro della pelle.
Un’altra affermazione dei no-crema solare è che questi prodotti ostacolano l’assorbimento della vitamina D, coinvolta nel metabolismo del calcio e delle ossa, ma ci sono scarse evidenze a riguardo. Il normale uso dei filtri solari non causa deficienze della vitamina D. In ogni caso, oltre a poter essere assunta attraverso diversi alimenti, la dose necessaria di questa vitamina può essere assorbita ogni giorno con pochi minuti di esposizione al Sole, attraverso le parti del corpo che normalmente rimangono in vista, come il viso e le mani.
Gli allarmi infondati sulle creme solari
A suscitare sospetti e timori verso le creme solari sono state anche notizie di possibili effetti dannosi dovuti ad alcune sostanze presenti nei filtri cosiddetti “chimici”. Esperti della Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia del governo americano che si occupa della regolamentazione di farmaci e prodotti alimentari, hanno trovato che in un campione di circa 50 persone, dopo tre settimane di applicazione quotidiana di filtri “chimici”, i livelli di sei molecole impiegate come principi attivi superavano i limiti di concentrazione nel sangue.
Pur supportando la necessità di ulteriori studi, questi risultati non implicano che le creme solari “chimiche” rappresentino un pericolo per la salute, utilizzate alle dose e alla frequenza ordinarie. Gli stessi esperti della FDA avevano scritto che «questi risultati non suggeriscono che le persone debbano astenersi dall’uso della protezione solare». Esiste, comunque, l’alternativa dei filtri “fisici”, quelli fatti di molecole inorganiche.
Le agenzie regolatorie hanno il compito di definire i criteri di sicurezza dei prodotti (l’Unione Europea, peraltro, tratta le creme solari come cosmetici, non come farmaci), ma qualsiasi preoccupazione a riguardo deve fare i conti con una certezza: l’eccessiva esposizione al Sole è il principale fattore per l’insorgenza dei tumori della pelle. Il 90% di questi è imputabile alle radiazioni ultraviolette che provengono dal Sole.
I raggi ultravioletti A, B e C sono nel gruppo 1 della lista di cancerogeni dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) – che comprende gli agenti per cui c’è una sufficiente evidenza che siano cancerogeni – insieme al fumo, le bevande alcoliche, l’infezione cronica da virus dell’epatite B e altri. Inoltre, conosciamo il meccanismo di danno al DNA attraverso cui questi agenti fisici possono innescare il processo di formazione di un tumore.
Che un’eccessiva esposizione al Sole e alle lampade abbronzanti comporti un serio rischio per la salute è, dunque, un fatto. Per questa ragione la disinformazione su questo tema può avere serie conseguenze.
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