L’ombra del Cremlino dietro la disinformazione su Imane Khelif - Facta
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L’ombra del Cremlino dietro la disinformazione su Imane Khelif

Di Francesca Capoccia

L’incontro olimpico del 1° agosto tra la pugile italiana Angela Carini e l’algerina Imane Khelif ha fatto molto discutere a causa del sesso biologico e dell’identità di genere della pugile algerina, erroneamente identificata da molti politici, estremisti di destra e utenti su X come una «donna transgender». 

Khelif, classe ‘99, gareggia almeno dal 2018, partecipando anche alle scorse Olimpiadi di Tokyo, e lo ha sempre fatto nelle categorie femminili. Prima di questo episodio il suo sesso e la sua identità di genere non erano mai stati oggetto di dibattito pubblico internazionale. A ciò va aggiunto che il passaporto di Khelif la identifica come donna – e non potrebbe che essere così dal momento che la transizione di genere è vietata in Algeria. Ma allora, da dove e perché sono nati i dubbi, infondati, sull’atleta algerina?


La squalifica ai Mondiali

L’“equivoco” è nato dopo che vari media internazionali hanno sottolineato che l’atleta non aveva passato «l’esame di idoneità di genere» ai Campionati del mondo di pugilato del 2023 a New Delhi, in India. Questo sarebbe stato il motivo di squalifica, che le è costata l’opportunità di gareggiare per la medaglia d’oro.

La decisione di escludere Khelif era stata presa dall’International Boxing Association (IBA), che lo scorso anno aveva organizzato i campionati del mondo. Secondo le dichiarazioni rilasciate dal suo presidente, il russo Umar Kremlev, all’agenzia di stampa russa Tass, i risultati del test del DNA dell’atleta squalificata avevano «dimostrato che aveva cromosomi XY» (tipicamente maschili, ndr), e quindi era stata «esclusa dagli eventi sportivi».

A parte quanto dichiarato da Kremlev, non ci sono prove che l’atleta abbia cromosomi XY – fatto che comunque di per sé non dimostra che Khelif sia un uomo. Sul sito delle Olimpiadi si legge invece che il problema della squalifica era legato ai «suoi elevati livelli di testosterone», che «non avevano soddisfatto i criteri di ammissibilità». Specifichiamo che il testosterone è un ormone presente anche nelle donne, ed eventuali alti livelli non dimostrano necessariamente che la persona sia transgender. Questa condizione può essere infatti naturale, e si chiama iperandrogenismo.

La vicinanza dell’IBA al Cremlino

Sulla credibilità dell’IBA e delle dichiarazioni rilasciate dal suo presidente restano però alcuni dubbi. Come riportato da varie testate, Kremelv è noto per i suoi stretti legami con il presidente russo Vladimir Putin. Nell’estate del 2022 i due hanno partecipato alla cerimonia di apertura del Centro internazionale di pugilato di Luzhniki, a Mosca, della federazione russa di pugilato. La vicinanza ideologica tra i due si è notata più recentemente, quando a dicembre 2023 Vladimir Putin ha incaricato il Gabinetto dei Ministri di presentare proposte per la ripresa delle parate degli atleti in stile sovietico sulla Piazza Rossa. Quest’idea era stata precedentemente proposta proprio da Umar Kremlev, che in occasione dell’effettiva parata di commemorazione avvenuta nel maggio 2024, ha detto: «abbiamo unito [con questa parata, ndr] tutto il Paese e l’anno prossimo contiamo di unire ancora più persone, comprese quelle dell’ex Unione Sovietica».

Kremelev è entrato nel mondo del pugilato da diversi anni ormai. Nel 2017 era stato eletto come segretario generale della federazione russa di pugilato e dal dicembre del 2020 ha poi preso il controllo dell’IBA. Durante il suo mandato ha spostato le attività dell’associazione dalla Svizzera a Mosca e manipolato le elezioni del 2022 per rinnovare la sua candidatura a presidente. Inoltre, poco prima delle votazioni, l’IBA aveva temporaneamente sospeso la federazione ucraina di pugilato «a causa dell’interferenza del governo nel lavoro della federazione nazionale». Nei giorni precedenti, riporta Reuters, la federazione ucraina aveva scritto ai membri dell’IBA chiedendo le dimissioni di Kremlev. 

Bisogna poi aggiungere che l’IBA è rimasta l’unica federazione sportiva internazionale gestita da un cittadino russo, scrive il quotidiano francese Le Monde e, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, l’unica a consentire agli atleti russi di combattere sotto la loro bandiera e suonare l’inno nazionale russo. Inoltre, a livello finanziario fino al 2023 l’IBA è stata sponsorizzata da Gazprom, il colosso energetico controllato dallo Stato russo. 

I problemi dell’IBA con il CIO
Attualmente l’IBA non è riconosciuta come federazione internazionale dal Comitato olimpico, che nel 2023 aveva votato a favore per disconoscerla. La decisione è stata presa perché l’IBA non è riuscita a rispettare le riforme indicate dal CIO in seguito alla sua sospensione nel 2019 per questioni di governance e presunta corruzione. Un’indagine indipendente del 2022 aveva poi confermato decenni di cattiva gestione finanziaria e di inganni dell’IBA, di violazione delle regole sul ring e di programmi di formazione e addestramento inadeguati per arbitri, giudici e funzionari. L’IBA aveva subito presentato ricorso al Tribunale arbitrale dello sport (CAS) contro la decisione del CIO, che però lo ha respinto. 

Lo stesso tribunale, tra l’altro, ad aprile 2024 aveva stabilito che l’IBA non fosse riconoscibile formalmente dal Comitato olimpico in quanto non aveva aumentato «la propria trasparenza e sostenibilità finanziaria, anche attraverso la diversificazione delle entrate».

Eliminata l’IBA dagli enti che organizzano le Olimpiadi, il Comitato olimpico ha creato un’unità apposita in vista delle Olimpiadi di Parigi 2024, la Paris Boxing Unit (PBU). In un recente comunicato stampa, il CIO ha spiegato che, per organizzare le gare di Parigi, la PBU si è rifatta sulle regole utilizzate per le precedenti Olimpiadi di Tokyo, che a sua volta si basavano sulle Olimpiadi di Rio del 2016, «in vigore prima della sospensione della Federazione internazionale di pugilato da parte del CIO nel 2019 e del successivo ritiro del suo riconoscimento nel 2023».

Nello stesso documento, riferendosi ai Mondiali del 2023, il Comitato olimpico ha commentato che Khelif era stata «vittima di una decisione arbitraria dell’IBA» ed era stata «squalificata senza alcun processo».

Non scorre buon sangue tra la Russia e le Olimpiadi
A mettere bocca sulla vicenda Carini-Khelif è intervenuto direttamente anche il Cremlino, tramite il portavoce Dmitri Peskov, che ha definito il movimento olimpico come una «vittima di manifestazioni pseudo-liberali che rasentano la perversione». 

«Naturalmente preferiremmo ancora vedere il buon vecchio Comitato Olimpico Internazionale con le buone vecchie idee dell’olimpismo e la classica visione del mondo olimpico, in cui anche gli atleti russi occupavano un posto importante», ha dichiarato Peskov, «Ma sfortunatamente questi tempi sono già passati». 

Ai Giochi invernali del 2018 la Russia infatti era stata esclusa dalle competizioni olimpiche causa dello scandalo “doping di stato”, un sistema segreto di somministrazione di sostanze dopanti e di copertura dei risultati ai test antidoping messo in atto da parte di diverse infrastrutture federali sportive, di controllo e di collegamento della Russia che ha coinvolto più di mille atleti tra il 2012 e il 2015.

Nel 2023, poi, il CIO aveva sospeso il Comitato olimpico russo per aver annesso le organizzazioni sportive delle regioni ucraine occupate dalla Russia, lasciando però che in occasione delle Olimpiadi del 2024 gli atleti russi gareggiassero eventualmente come atleti neutrali, senza rappresentare e sfoggiare la bandiera o i colori della Federazione russa.

Storicamente parlando, la Russia non ha dei buoni rapporti con le Olimpiadi. Nel 1984 l’allora Unione sovietica aveva boicottato i Giochi estivi di Los Angeles per “motivi di sicurezza nazionale”, cercando di influenzare altri Paesi a fare lo stesso. Nel 2016, invece, hacker russi erano penetrati nell’Agenzia mondiale antidoping e avevano rivelato informazioni mediche private su vari atlete americane, come Serena Williams, Venus Williams e Simone Biles. Due anni più tardi, invece, era stato lanciato il cyber attacco “Olympic Destroyer” contro le Olimpiadi invernali del 2018 a Pyeongchang, in Corea del Sud, riuscendo a mettere offline alcuni dei server interni dei Giochi invernali. 

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