Non ci sono più molti dubbi sulla strage di Bologna - Facta
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Non ci sono più molti dubbi sulla strage di Bologna

Di Enzo Panizio

Il 2 agosto 1980 nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione ferroviaria di Bologna esplose una bomba che uccise ottantacinque persone e ne ferì duecento. Lo scoppio avvenne alle 10 e 25, come testimonia l’orologio fuori dall’edificio ancora fermo a quell’ora. Da quel momento in poi e fino a oggi, diversi processi si sono susseguiti, tesi a individuare mandanti ed esecutori di un “mistero” italiano che però è ora giunto a una verità processuale alquanto delineata, con diverse sentenze definitive. 

Ciononostante, ogni anno al ricorrere dell’anniversario, giornali, media, partiti, leader e utenti sui social la descrivono come una strage adombrata da verità non ancora emerse. Tuttavia, diversi tribunali hanno appurato la matrice neofascista della strage, con sentenze passate in giudicato che hanno assicurato alla giustizia gli esecutori e altre più recenti che hanno fatto luce sugli ulteriori punti più oscuri di quello che successe in quell’estate di quarantaquattro anni fa, soprattutto sui mandanti.

Verità processuale
Seppur la ricostruzione dei fatti abbia richiesto decenni di indagini e processi, la strage di Bologna è una delle poche del periodo stragista italiano, i cosiddetti anni di piombo, sulla quale i processi hanno portato a fare una certa chiarezza sulle responsabilità. Nonostante il cammino giudiziario sia stato tortuoso, oggi si può dire che la verità processuale è chiara e dettagliata, nonostante i depistaggi e il coinvolgimento di diverse organizzazioni che al tempo operavano nell’ombra.

Fin da subito le indagini si focalizzarono sui gruppi neofascisti. Nel 1988, la corte d’Assise di Bologna condannò all’ergastolo Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, membri dei NAR (Nuclei armati rivoluzionari, un’organizzazione terroristica neofascista), come esecutori materiali. Si tratta del primo di una serie di processi. La sentenza definitiva arrivò nel 1995, la Corte di Cassazione confermò le condanne per Mambro e Fioravanti per il reato di strage.

Un nuovo processo, il secondo sull’attentato terroristico del 2 agosto, ha portato alla condanna di un terzo membro dei NAR, Luigi Ciavardini, anche lui in qualità di esecutore materiale. La Cassazione ha reso definitiva la sentenza di condanna a trent’anni di carcere nel 2007. Un terzo processo ha poi accertato le responsabilità di un ulteriore membro dei NAR e già pluriomicida, Gilberto Cavallini, condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise di appello di Bologna per concorso nella strage. Il processo è ora all’esame della Cassazione, ma durante il procedimento sono emersi elementi che collegano Cavallini ai cosiddetti servizi segreti deviati mentre la strage è stata qualificata come «politica», parte di un più ampio tentativo di sovversione dello Stato democratico. Diverse organizzazioni segrete, in definitiva, lavoravano insieme a un piano per rovesciare la democrazia e instaurare uno Stato autoritario.

L’orologio della stazione di Bologna, fermo all’ora in cui il 2 agosto 1980 è avvenuto l’attentato

Un’ultima recente pronuncia in appello, infatti, ha ritenuto responsabile un «quinto uomo», oltre ai quattro terroristi citati. Lo scorso 8 luglio, la Corte d’Assise d’Appello di Bologna ha confermato l’ergastolo per Paolo Bellini, ex esponente di un’altra organizzazione neofascista, Avanguardia nazionale. La sentenza, seppure debba ancora passare il vaglio della Cassazione per essere definitiva, ha chiarito diverse questioni cruciali.

Innanzitutto, la compartecipazione di diverse formazioni estremiste di destra, da cui risulta ormai evidente la matrice neofascista e sovversiva dell’atto terroristico. La strage non è quindi il frutto di alcuni criminali isolati ma parte di un coordinamento più strutturato tra diversi gruppi terroristici di estrema destra e apparati deviati dello Stato, come confermano le sentenze degli altri due condannati: un ex capitano dei carabinieri, Piergiorgio Segatel, per depistaggio, e Domenico Catracchia, ex amministratore di condomini, per false informazioni agli inquirenti.

La sentenza però è importante soprattutto perché conferma l’impianto sulla responsabilità dei mandanti, negli anni vero punto oscuro dell’intera vicenda. Pur non imputabili – perché morti – i giudici hanno stabilito che mandanti, organizzatori o finanziatori dell’attentato furono Licio Gelli (“Maestro Venerabile” della loggia massonica eversiva P2), Umberto Ortolani (altro iscritto alla P2 con contatti nell’alta finanza e nel Vaticano), Federico Umberto D’Amato (agente segreto) e Mario Tedeschi (direttore del giornale Il Borghese e senatore del Movimento sociale italiano).

Oltre al giro di denaro ricostruito dagli inquirenti, a confermare questo impianto sui mandanti c’è proprio il riconoscimento della centralità nell’organizzazione dell’atto terroristico di Bellini, anche sicario della ‘ndrangheta e indagato per diverse stragi commesse da Cosa Nostra. Secondo i giudici, la strage di Bologna fu organizzata in concerto dai vari movimenti neofascisti, con la regia della P2 che finanziò l’operazione servendosi dei servizi segreti deviati. 

Depistaggi e teorie del complotto
False piste, testimoni fittizi, minacce, manipolazione di prove e documenti e perfino il controllo dell’informazione grazie ai giornalisti compiacenti o membri della P2, tra cui Franco Di Bella, allora direttore del Corriere della Sera. Un altro aspetto centrale della vicenda giudiziaria (e non) sul 2 agosto è stato il tentativo di sviare le indagini e inquinare le prove. Proprio da questo molto dipendono la lunghezza dei processi e il senso di incertezza sulla faccenda instillato nell’opinione pubblica.

Già con la sentenza di Cassazione sul primo processo, quella del 1995, Licio Gelli fu condannato a dieci anni per calunnia aggravata con finalità di terrorismo, perché il reato di depistaggio allora non esisteva ancora. Fu introdotto nel 2016 proprio su proposta di Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna, al cui attivismo si deve anche l’avvio del processo sui mandanti. Insieme alla P2, dice la sentenza, i servizi segreti tramarono per sviare le ricerche della verità, con diverse condanne per ex agenti del servizio segreto Sismi. 

Gelli e i suoi complici tentarono di deviare le indagini verso presunti complotti internazionali, suggerendo la complicità di terroristi stranieri. Diverse alte cariche dei servizi segreti italiani, attraverso azioni mirate, contribuirono a creare queste false narrative, manipolando prove e influenzando l’opinione pubblica tramite giornalisti compiacenti e addirittura facendo ritrovare una valigetta con esplosivo della stessa composizione di quello usato a Bologna e altri falsi indizi – come riviste e biglietti – che suggerivano piste internazionali. Queste tesi sono state poi sostenute pubblicamente dai difensori degli imputati, personaggi pubblici e alcune testate giornalistiche, contribuendo a mantenere vivo il mistero e il dubbio sulle responsabilità effettive e distogliere l’attenzione dalla matrice neofascista.


Tra le più famose, c’è la cosiddetta pista palestinese che suggeriva che l’attentato fosse una ritorsione da parte di gruppi palestinesi per la rottura di un accordo con i servizi italiani, noto come “lodo Moro”, che garantiva il transito sicuro in Italia di armi ed esplosivi in cambio di non compiere atti terroristici sul suolo italiano. Riproposta a più riprese in ambito politico, anche dal presidente della Repubblica emerito Cossiga, la tesi è stata in realtà archiviata per mancanza di fondamento dai diversi processi. Ciononostante, diversi esponenti di Fratelli d’Italia (erede del partito neofascista MSI) hanno ventilato presunte ombre nelle indagini, in una campagna innocentista nei confronti dei terroristi neofascisti già condannati in via definitiva.

Verità storica, oltre che giudiziaria
Al netto delle tante sentenze e gli ormai riconosciuti depistaggi, comunque, la verità emersa nei procedimenti giudiziari è oggi consolidata anche da un punto di vista storico. Lo stesso presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha detto nel 2023 che «la matrice neofascista della strage è stata accertata nei processi e sono venute alla luce coperture e ignobili depistaggi, cui hanno partecipato associazioni segrete e agenti infedeli di apparati dello Stato».

Dopo il lavoro di giudici e storici non c’è più spazio per i dubbi sulla strage del 2 agosto del 1980, a maggior ragione dopo la conferma in appello della sentenza Bellini. Proprio quest’anno, in occasione del quarantaquattresimo anniversario, l’associazione dei familiari delle vittime ha scelto una frase eloquente per le commemorazioni. Finalmente, dicono citando un celebre articolo di Pier Paolo Pasolini, «sappiamo la verità e abbiamo le prove».

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