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La rivincita dei “no lockdown”, i bastian contrari della pandemia che governeranno gli Stati Uniti

Le nomine di Trump ai vertici della sanità americana segnano la riscossa delle tesi alternative e complottiste sul coronavirus

29 novembre 2024
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Donald Trump, presidente eletto degli Stati Uniti, ha scelto il medico ed economista Jay Bhattacharya come prossimo direttore dei National Institutes of Health (NIH), l’agenzia federale responsabile della ricerca biomedica.

Questo ente del governo americano comprende 27 centri e istituti e gestisce un budget di circa 48 miliardi di dollari. La ricerca finanziata dai NIH ha contribuito a 153 premi Nobel e ad alcune delle pietre miliari della storia della biologia e della medicina, come il progetto Genoma Umano e la decifrazione del codice genetico.

Come per altre nomine governative, anche questa dovrà superare il vaglio di una commissione del Senato. La scelta di Trump segue quella di Robert F. Kennedy Jr. come prossimo segretario del dipartimento della Salute e dei servizi umani, il ministero della Salute degli Stati Uniti. E, come quella, ha fatto sobbalzare molti scienziati ed esperti di salute pubblica.

Togliere le redini al virus

Bhattacharya è stato uno dei tre autori della petizione nota come Great Barrington Declaration (GBD). Pubblicata a ottobre del 2020, mentre montava la seconda ondata pandemica, la GBD contestava le politiche messe in atto dai governi per contrastare la diffusione del nuovo coronavirus. Nel mirino c’erano i lockdown.

La petizione era stata promossa dall’American Institute for Economic Research (AIER), un’organizzazione libertarian, corrente ideologica di destra che propugna lo Stato minimo in tutti i settori, e prendeva il nome dalla località dove si trova il suo quartier generale: Great Barrington, nel Massachusetts. Qui, nei primi giorni di ottobre del 2020, si era svolto un incontro durante il quale si era discusso dell’«emergenza globale creata dall’uso senza precedenti della coercizione statale nella gestione della pandemia di Covid-19».

Prestiamo attenzione a ciò che afferma alla lettera quel virgolettato: l’emergenza, secondo i promotori della GBD, non era costituita dal dilagare di un virus nuovo che mieteva vittime in tutto il mondo e si abbatteva come uno tsunami sugli ospedali e i sistemi sanitari; l’emergenza era ciò che si stava facendo per arginarlo. Non era la pandemia, di per sé, ad averci costretto a interrompere la vita sociale, ma la «costrizione statale». Il nemico non era un agente patogeno, ma lo Stato.

A partire da questa premessa, la GBD avanzava una proposta alternativa per gestire la pandemia. Non più chiusure e restrizioni, ma una «protezione focalizzata». Come si evince dall’etichetta, l’idea era quella di limitarsi a proteggere solo alcuni gruppi di persone. Anziani e soggetti fragili. Tutti gli altri sarebbero dovuti tornare alla vita normale il prima possibile. In questo modo, il virus sarebbe circolato in modo massiccio nella popolazione sana, che avrebbe acquisito una immunità di gruppo sufficiente a proteggere, indirettamente, anche i vulnerabili.

La base scientifica era evanescente. Ciò che si sapeva dei coronavirus, quelli noti fino ad allora, faceva pensare che difficilmente quello nuovo potesse conferire un’immunità molto duratura dopo l’infezione (come in seguito è stato confermato).

Ma anche se si fosse raggiunto un certo livello di immunità diffusa, il contagio non si sarebbe interrotto di colpo, come con un interruttore. Anche perché le sue dinamiche erano complesse. La GBD ignorava il ruolo delle reti sociali nella trasmissione e quello degli eventi di superdiffusione, che avevano un impatto significativo nel contagiare fette di popolazione.

In teoria, l’indice di trasmissione del virus SARS-CoV-2 implicava che si sarebbe potuta instaurare una certa immunità di gruppo una volta infettato il 50-70 per cento della popolazione. Nella realtà, il ruolo assegnato all’immunità di gruppo nella GBD sfiorava il pensiero magico.

Ciò che chiedevano i suoi fautori era un contagio intenzionale di massa con un virus respiratorio appena entrato nella popolazione umana, quando non erano ancora disponibili vaccini. Pensate se, alla notizia dei primi contagi da coronavirus, avessimo deciso, apposta, di non fare praticamente nulla per evitarli.

L’idea che solo gli anziani e i soggetti con più malattie croniche fossero i soli a dover essere protetti era, nel migliore dei casi, ingenua. Molti altri, in quel momento, potevano essere a rischio di contrarre una forma severa di Covid-19. Togliere le redini al virus, in quella situazione, avrebbe significato aumentare ulteriormente la pressione su un sistema sanitario già stremato.

Insomma, era un’idea molto pericolosa.

Un’ideologia travestita da scienza

Come abbiamo visto, le motivazioni da cui scaturiva la GBD erano chiare. La matrice ideologica e gli intenti dell’organizzazione che l’aveva partorita erano evidenti. Nessuno faceva nulla per nasconderle. Chiunque avrebbe potuto verificare facilmente cosa fosse l’AIER e di quale mondo fosse espressione. Eppure, la petizione ha trovato megafoni anche in Italia, dove c’è chi l’ha appoggiata pubblicamente, sui giornali. Forse senza rendersi conto di quale fosse il mulino a cui stava tirando acqua.

L’AIER è una delle tante organizzazioni, all’interno di specifica area culturale, che si sono interessate ad alcune questioni scientifiche scottanti. Problemi che richiedono risposte dalla politica. Come, appunto, un nuovo virus che fa scoppiare una pandemia. Oppure il clima.

Quando aveva deciso di intervenire sulla gestione della Covid-19, l’AIER era già parte di una rete, tuttora attiva, di organizzazioni che condividono il medesimo retroterra ideologico e che hanno promosso per anni il negazionismo climatico. Lo provano, tra l’altro, gli interventi di alcuni suoi membri, le posizioni espresse e certi finanziamenti ricevuti. 

L’AIER ha dunque sponsorizzato la Great Barrington Declaration per le stesse ragioni ideologiche per cui si schiera contro il consenso scientifico sul riscaldamento globale antropico. La petizione contro il lockdown, però, si presentava con un volto scientifico. E qui entra in gioco Jay Bhattacharya.

Il possibile, futuro, direttore dei NIH è stato uno dei tre autori materiali della GBD. Gli altri due erano gli epidemiologi Martin Kulldorff e Sunetra Gupta. Questi tre nomi dovevano essere il volto scientifico dell’iniziativa, garanzia del rigore del documento. Sulla carta presentavano credenziali professionali di tutto rispetto. Sufficienti per far credere che ciò che sottoscrivevano meritasse, almeno, di essere preso in seria considerazione. La dichiarazione raccolse poi diverse migliaia di firme, alcune con nomi palesemente falsi e ridicoli. Il problema però non era questo.

Il punto è che non solo quella scienza era parecchio debole e discutibile ma anche che, su di essa, incombeva l’ombra dei promotori, che nulla avevano a che fare con la scienza e la medicina. Anche se la scienza della GBD fosse stata solidissima, non si sarebbe potuto ignorare il fatto che quella dichiarazione fosse nata con un chiaro intento politico – la protesta contro le «costrizioni statali» – che era il riflesso dell’ideologia dell’AIER. Tutto ciò bastava a screditare l’intera iniziativa. Non era possibile commentare la validità scientifica di quelle tesi anti-lockdown fingendo di non sapere da dove venissero.

La si potrebbe definire “scienza su commissione”, se non fosse che i tre professionisti redattori della GBD non erano né sprovveduti né manovrati. A marzo del 2021, parteciparono a una tavola rotonda con il governatore della Florida, il repubblicano Ron De Santis. In quella sede non fecero che ribadire i loro attacchi ai lockdown, ma anche all’uso delle mascherine e perfino al tracciamento dei contagi. 

La scienza dovrebbe informare la politica affinché prenda le decisioni migliori nell’interesse della collettività. In questo caso sembrava dirle solo ciò che voleva sentirsi dire.

Altre circostanze evidenziano la pericolosa commistione tra scienza, ideologia e politica che viziava la GBD. Tra queste, il coinvolgimento dei suoi autori nelle attività di una nuova organizzazione, chiamata Brownstone Institute. Fondata da un ex dirigente dell’AIER, questo ennesimo gruppo conservatore e “libertario” non è che una sua costola, una replica ideologica. 

Sul suo sito si trovano articoli che spingono teorie alternative sull’origine del Sars-CoV-2 e riabilitazioni di rimedi inefficaci contro la malattia. Tra i molti autori spicca il nome di Robert Malone, un medico diventato famoso per aver diffuso molta disinformazione sui vaccini contro Covid-19.

La riscossa dei bastian contrari

Se la GBD guadagnò sostenitori in certi settori politici, nel mondo scientifico suscitò reazioni di segno completamente diverso. Tra le più dure quella dell’immunologo Anthony Fauci, allora direttore del National Institute of Allergy and Infectious Disease, un istituto della rete dei NIH. Diventato durante la pandemia un nemico pubblico per Donald Trump, Fauci disse che la proposta di gestire la pandemia attraverso l’immunità di gruppo era «ridicola», una «completa assurdità».

Francis Collins, che in quel momento dirigeva i NIH e che è stato il direttore del consorzio internazionale per il sequenziamento del genoma umano, la definì un’idea «pericolosa e «di nicchia» nell’ambito dell’epidemiologia (disse che era fringe, una parola inglese che viene usata in riferimento a teorie controverse, screditate o pseudoscientifiche).

A fine ottobre del 2020, poco dopo l’uscita della Great Barrington Declaration, un gruppo internazionale di esperti scrisse un memorandum per chiarire quale fosse il consenso scientifico sulla gestione della pandemia. Non lo pubblicarono sul sito di un’organizzazione politicamente orientata, ma sulla rivista scientifica The Lancet.  

«Una pericolosa fallacia non supportata da prove scientifiche», così definirono l’idea di controllare una pandemia causata da virus respiratorio attraverso l’immunità di gruppo. Una trasmissione incontrollata di un virus respiratorio, scrivevano questi scienziati, avrebbe causato un aumento dei malati e dei morti nell’intera popolazione. Un tale approccio avrebbe rischiato anche di «esacerbare ulteriormente le disuguaglianze socioeconomiche e le discriminazioni strutturali già messe a nudo dalla pandemia».

Era una risposta anche a chi contestava i lockdown per i loro effetti sociali. Restrizioni e chiusure non erano una passeggiata, ma sono le pandemie a sconquassare le società, non quello che si fa per fermarle. Se si voleva evitare di chiudere e fermare un intero Paese per troppo tempo, non c’era alternativa a un contenimento attivo del contagio. Cioè il contrario di ciò che volevano i promotori della GBD.

Anche perché i fatti hanno dimostrato che, sebbene non siano simpatici e abbiano dei costi, i lockdown e altre misure “non farmacologiche” (distanziamento sociale, mascherine, diagnosi, tracciamento e isolamento), hanno funzionato. Soprattutto, se implementati in modo rigoroso e tempestivo. 

In un rapporto del 2023, la Royal Society britannica ha concluso che «le evidenze sull’efficacia di ridurre la trasmissione di SARS-CoV-2 mostrano inequivocabilmente che, quando implementati in pacchetti che combinano diversi interventi non farmacologici, questi possono causare una forte e prolungata riduzione della trasmissione».

Secondo una ricerca pubblicato sulla rivista Nature nel giugno del 2020, al termine della prima ondata pandemica, le politiche anti-contagio messe in atto in sei Paesi, tra cui l’Italia, hanno prevenuto o ritardato circa 61 milioni di casi confermati di Covid-19. Diversi studi hanno dimostrato l’efficacia delle misure restrittive nel ridurre il contagio perfino durante la pandemia di influenza “spagnola” nel 1918.

Uno studio del 2022, impiegando un modello matematico della trasmissione virale, ha confermato che «proteggere i soggetti vulnerabili consentendo al contempo la diffusione delle infezioni tra la popolazione non sarebbe stata una strategia di sanità pubblica praticabile per la Covid-19».

Anche in questo, la pandemia di Covid-19 ha dato diverse lezioni su come dovremmo gestire la prossima. Che arriverà, prima o poi.

La prossima amministrazione Trump sembra però guardare dalla parte opposta. Proprio mentre H5N1, il virus dell’influenza aviaria, prosegue la sua esplorazione nel territorio dei mammiferi e mostra segni di adattamento negli umani (al momento, per fortuna, non di capacità di trasmissione tra individui).

L’ascesa di Jay Bhattacharya, così come quella dell’antivaccinista Kennedy Jr., al vertice della politica della salute pubblica in un grande Paese, se confermate, sarebbero la riscossa dei bastian contrari, la rivincita di quel mondo, di cui lo stesso Trump fa parte, che durante la pandemia ha spinto tesi e narrazioni alternative e complottiste, dall’origine del virus ai vaccini. Questo mondo aveva un conto aperto con la comunità scientifica e con i propri nemici politici. E sembra voler fare di tutto per chiuderlo.

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