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Che ne è stato del “caso Omeonga”, il calciatore fermato in aereo dalla polizia italiana?

Il belga è tornato a giocare in Israele e ciò sembra smentire la versione ufficiale delle forze dell’ordine

16 gennaio 2025
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Nei primi giorni del 2025, il dibattito pubblico italiano ha dedicato ampio spazio alla notizia di un violento fermo di polizia avvenuto ai danni di Stephane Omeonga, calciatore belga con un passato in Italia che il 31 dicembre 2024 su Instagram aveva denunciato un caso di «brutalità poliziesca» subìto su un volo in partenza dall’aeroporto di Roma Fiumicino e diretto a Tel Aviv, in Israele. 

Il calciatore aveva pubblicato un video piuttosto esplicito, risalente al 25 dicembre, che mostrava l’aggressione subita da due poliziotti. Nel filmato si vedono i due uomini prenderlo per la gola e spingerlo con la forza fuori dall’aereo.

Secondo il racconto del belga, tutto sarebbe partito dalla segnalazione di uno steward, che aveva contattato le forze dell’ordine a causa di presunti problemi riguardanti i suoi documenti. «Una volta scesi dall’aereo e lontano dagli occhi di eventuali testimoni la polizia mi ha buttato a terra e mi ha picchiato: uno dei poliziotti ha anche premuto il ginocchio contro la mia testa», ha scritto Omeonga, aggiungendo che la polizia lo ha poi «trattenuto per diverse ore in uno stato di totale umiliazione» privandolo di acqua e cibo e senza fornire alcuna spiegazione per l’arresto.

Omeonga ha accusato esplicitamente le forze dell’ordine italiane di razzismo, spiegando che «questo arresto è solo la punta visibile dell’iceberg. Molte persone che mi somigliano non possono trovare lavoro, non hanno accesso alla casa o non possono partecipare agli sport che amano, semplicemente perché sono nere». Il caso di Omeonga arriva a pochi mesi da un report del Consiglio d’europa che aveva aspramente criticato l’Italia per la sottovalutazione del problema relativo alla profilazione razziale, una pratica di polizia che consiste nel fermare o controllare le persone basandosi principalmente su criteri come aspetto fisico, colore della pelle e presunta nazionalità, piuttosto che su comportamenti sospetti o prove concrete.

Tornando al caso Omeonga, la polizia italiana si era giustificata spiegando che il calciatore si trovasse sulla black list di Israele e quindi non sarebbe persona gradita nel Paese in cui sarebbe atterrato. La versione era stata presa per buona da alcuni quotidiani italiani, che avevano acriticamente riportato la presenza del calciatore nella black list.

Una versione quantomeno lacunosa, che oggi appare smentita dai fatti. 

Cosa sappiamo della “black list” di Israele

Dal 1952 lo Stato di Israele assegna al ministro dell’Interno la possibilità di negare discrezionalmente l’ingresso nel Paese anche ai titolari di visto. Nel 2017 il parlamento israeliano ha approvato un emendamento che vieta l’ingresso ai cittadini stranieri individuati come autori di un boicottaggio ai danni di Israele o dei territori occupati. Esiste dunque una “black list” di persone non gradite a Israele e che per questo non possono avere accesso al Paese.

Secondo la polizia italiana, Omeonga sarebbe dunque comparso in questa lista. C’è solo un problema: al momento dell’arresto, il calciatore militava in una squadra della seconda serie israeliana – il Bnei Sakhnin –, possedeva un regolare visto di lavoro e aveva giocato la sua ultima partita appena 4 giorni prima, nello stadio della città di Sakhnin. Ma c’è di più: l’uomo era riuscito regolarmente ad acquistare un biglietto aereo per Tel Aviv, aveva effettuato il check-in e aveva superato con successo il controllo dei documenti necessari per accedere all’aereo. Omeonga, insomma, con tutta evidenza non compariva nella black list della compagnia aerea che gli ha venduto il biglietto – o ha comunque beneficiato di una grossa falla nella sicurezza della compagnia stessa. 

Nei giorni successivi alla denuncia, lo stesso Omeonga ha smentito la ricostruzione della polizia italiana e in un’intervista rilasciata al giornale belga La dernière heure ha spiegato di aver contattato le autorità israeliane, che hanno con fermezza negato la sua presenza nella lista nera. «Ho un permesso di lavoro valido e posso andare lì quando voglio», aveva raccontato Omeonga.

Mentre scriviamo, la storia di Omeonga è scomparsa dal dibattito pubblico e i quotidiani che avevano menzionato la “black list” non hanno pubblicato alcun aggiornamento sulla vicenda. Aggiornamenti che comunque esistono e sono piuttosto rilevanti: Stephane Omeonga è infatti regolarmente tornato in Israele e lo scorso 11 gennaio è sceso in campo contro il Maccabi Netanya, in uno stadio a 30 chilometri da Tel Aviv. Il 14 gennaio il calciatore ha invece giocato una partita della coppa nazionale israeliana a Petah Tiqwa, città 10 chilometri a est di Tel Aviv.

La vicenda burocratica di Omeonga sembra dunque essersi risolta per il meglio, ma restano molti dubbi circa il trattamento ricevuto dalla polizia italiana e sul cortocircuito giornalistico-istituzionale che ci ha portati a parlare di un provvedimento di Israele ai danni del calciatore. Provvedimento di cui non esistono prove ma, al momento in cui scriviamo, solo smentite.

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