I cambiamenti climatici e ambientali che stiamo vivendo rappresentano senza dubbio una delle questioni più attuali a livello planetario. Considerando però la problematica in una prospettiva temporale ampia, non è certamente la prima volta che le comunità umane si trovano a far fronte a modificazioni rilevanti per la loro stessa sopravvivenza. La storia dell’umanità è occupata per il 99 per cento dal periodo che definiamo preistoria: appare quindi evidente che, per comprendere il rapporto con l’ambiente e il clima, non sia possibile prescindere da questa fase lunghissima e determinante.
Ci si può legittimamente chiedere se, e fino a che punto, si possa ricostruire la storia del rapporto tra comunità umane e ambiente in un periodo così esteso e privo di fonti scritte. L’archeologia della preistoria e protostoria è oggi materia multidisciplinare, e oltre al consolidato studio dei contesti di scavo e dei manufatti prodotti dall’uomo dispone di una pluralità di approcci scientifici: dalla geoarcheologia all’archeobotanica, dall’archeozoologia alla archeologia dei resti umani, dall’archeologia biomolecolare e all’archeogenetica. Abbiamo quindi a disposizione un amplissimo spettro di informazioni che consente di ricostruire il lontano mondo delle nostre origini.
La relazione tra comunità umane e clima non è mai stata univoca e unidirezionale: a volte i mutamenti ambientali, anche determinati dall’uomo, hanno provocato il collasso di interi sistemi sociali; in altri casi il fattore critico è stato la chiave per innovazioni sul piano economico, sociale e politico. In altri termini, la sfida vincente per le comunità umane, sin dalla preistoria, è stata quella di rispondere alle crisi innovando i sistemi produttivi e modificando strategie e rapporti nelle forme di organizzazione socio-politica.
Un esempio eclatante di resilienza e innovazione è quello dell’insorgere delle prime società ad economia produttiva in Vicino Oriente, a partire da circa 12.000 anni fa. La fine delle glaciazioni e le conseguenti profonde modificazioni ambientali determinarono nella regione fattori di crisi nell’economia dei gruppi umani, concentrando le risorse in specifiche aree dove si registrò un consistente incremento della popolazione e il conseguente aumento delle necessità di cibo. La risposta fu l’introduzione della coltivazione di piante e la domesticazione degli animali. Un processo non immediato che necessitò di molti secoli, ma fu a partire da lì che i nostri antenati hanno conquistato la capacità di non dipendere esclusivamente da caccia e raccolta, producendo cibo e perfino creando surplus economico. Una rivoluzione straordinaria, alla base di tutti i futuri sviluppi dell’umanità.
Non andò sempre bene. Un caso italiano di collasso di un’importante cultura a seguito di condizioni climatiche e ambientali non più favorevoli si verificò nell’età del Bronzo. All’incirca tra 1650 e 1150 a.C. l’area centrale della pianura padana fu interessata da un popolamento assai intenso costituito da centinaia di villaggi fortificati, noti col nome di Terramare. L’economia di questa società era basata su una ricca produzione agricola e su un fiorente allevamento, favoriti dalla capacità di realizzare importanti opere idrauliche. Il territorio nel tempo subì un profondo cambiamento e il paesaggio naturale, caratterizzato da una consistente copertura forestale, si trasformò a seguito dell’abbattimento di oltre la metà dei boschi. Tra il 1200 e il 1150 a.C. però le condizioni climatiche si modificarono in senso più arido, determinando uno squilibrio tra capacità produttive e popolazione, probabilmente in parte a causa dall’eccessivo sfruttamento dei suoli. Il cambiamento determinò una concatenazione di reazioni sul piano sociale e politico che sfociarono nel crollo del sistema. Un impatto drammatico che ebbe conseguenze molto meno rilevanti nelle aree marginali delle montagne limitrofe, dove l’economia e la consistenza demografica non raggiungevano i livelli della vicina grande pianura.
Tornando allo scenario odierno, quali indicazioni utili a capire il cambiamento climatico possiamo cogliere dallo studio della preistoria? I giganteschi progressi tecnologici dell’età contemporanea hanno a lungo fatto dimenticare che le comunità umane hanno sempre dovuto misurarsi con le modificazioni naturali, pertanto, conoscere la storia di periodi in cui il rapporto con i fattori climatici e ambientali aveva un immediato riscontro sulla stessa sopravvivenza delle comunità aiuta a maturare maggiore consapevolezza e a sviluppare un’etica del rapporto con le risorse naturali.
Non c’è dubbio che le attuali condizioni del pianeta, sul piano demografico e climatico, necessitino di una risposta coordinata e globale. Ma è altrettanto vero che, accanto a fenomeni su vasta scala, esistono situazioni differenziate in relazione ai diversi ecosistemi. In questo senso ciò che sappiamo essere accaduto durante i millenni preistorici può ampliare le cognizioni su quali risposte le comunità umane possono dare oggi, aiutando a formulare proposte più consapevoli. Oggi come allora la sfida è modificare gli ecosistemi senza provocare il loro collasso, condizione che necessita di cambiamenti che tengano conto delle ripercussioni sociali e geopolitiche dei modelli economici. Rispetto alle comunità della preistoria e protostoria abbiamo però conoscenze enormemente maggiori e capacità predittive molto avanzate. Dovremmo essere finalmente capaci di farne buon uso.
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