
Il “miracolo demografico” dell’Ungheria di Orbán è tutta propaganda
Il modello magiaro piace molto a Giorgia Meloni, ma alla prova dei fatti non ha davvero nulla di miracoloso
Il turista che atterra a Budapest trova, come succede in ogni aeroporto, cartelloni delle bellezze naturalistiche e culturali locali. Ma nella capitale ungherese un altro tipo di manifesti, affisso in diverse lingue, accoglie la persona pronta a visitare il Paese: è quello di una campagna governativa che promuove l’Ungheria come un paese family-friendly. Da quando il premier ungherese Viktor Orbán è tornato in carica nel 2010 le politiche familiari sono diventate un tema importante della sua agenda politica.
Negli anni successivi alla crisi finanziaria del 2008 l’Ungheria era ultima tra i Paesi UE per tasso di fecondità con 1,2 figli per donna; per questo, il primo ministro magiaro ha ampiamente pubblicizzato a livello internazionale l’incremento delle nascite del decennio passato come un risultato del suo governo.
Anche se i demografi esprimono diverse perplessità, per ora gli sforzi comunicativi e di PR del governo ungherese sono stati efficaci. Malgrado in Europa altri piani di supporto alla natalità più progressisti abbiano prodotto risultati simili o migliori, soprattutto negli ambienti di destra radicale e conservatrice si è affermato lo storytelling del piccolo Paese europeo che ha trovato la soluzione allo spopolamento dell’Occidente.
In questi anni Giorgia Meloni, Elon Musk, Jordan Peterson e JD Vance, solo per citarne alcuni, hanno elogiato il modello ungherese. È facile capire perché: fin dalla crisi migratoria del 2015 Il primo ministro magiaro è stato drastico nello sviluppo di un’agenda nativista ed etno-nazionalista. Nel 2022 Orbán fece scandalo quando affermò la sua contrarietà a quella che definì «una società europea di razze miste», mentre in più occasioni ha parlato in modo apocalittico dei bassi tassi di natalità europei come un suicidio della civiltà continentale, e ha fatto riferimento alla teoria del complotto di estrema destra della “grande sostituzione” che vorrebbe le popolazioni autoctone sostituite intenzionalmente attraverso la migrazione di persone non bianche.
Un sistema generoso, ma non per tutti
Attualmente l’Ungheria destina il 5 per cento del PIL a misure a supporto della natalità e lo fa attraverso un sistema di contributi a fondo perduto e prestiti a tasso agevolato. Chi aspetta un figlio o si impegna ad averlo in futuro può chiedere un prestito fino a 29mila euro senza tasso d’interesse e con vari livelli di cancellazione del debito per ogni ulteriore figlio, mentre un programma di prestiti per l’acquisto della casa può garantire la cancellazione di 25mila euro per ogni ulteriore figlio a partire dal secondo.
Negli ultimi anni, inoltre, il diritto al congedo di maternità è stato esteso fino a tre anni e le donne che rientrano al lavoro prima del dovuto possono cumulare il sussidio di maternità al proprio stipendio. Recentemente è stata introdotta un’esenzione fiscale a vita per le donne con più di quattro figli, mentre le cliniche per la fecondazione assistita sono diventate statali e gratuite, anche se destinate esclusivamente a coppie sposate ed eterosessuali.
Alcune politiche familiari magiare hanno avuto dei risvolti sociali positivi generalizzati, si pensi all’incremento del numero degli asili o all’estensione del congedo di maternità. Tuttavia gli aiuti economici supportano soprattutto coppie di classe media e medio-alta. Il ricercatore e demografo ungherese del HUN-REN, Centro per gli studi Economici e Regionali Csaba G.Tóth ha spiegato a Facta che «molte misure si basano sulle agevolazioni fiscali, ossia i beneficiari pagano meno tasse sul reddito, mentre altre forme di supporto sono calcolate percentualmente sullo stipendio, di conseguenza chi guadagna di più riceverà un maggiore sostegno governativo».
Di fatto il sistema ungherese fa poco per supportare le famiglie a basso reddito, mentre chi non ha un regolare contratto di lavoro è tagliato fuori. Inoltre chi richiede un prestito per l’acquisto della casa deve comunque investire somme consistenti, che solo certe fasce sociali possono permettersi.
In seguito all’analisi di qualche migliaio di sovvenzioni, il demografo e ricercatore ungherese Balázs Kapitány ha concluso che avevano contribuito ad aumentare il gap tra le famiglie più povere e quelle più benestanti. Non è un caso che negli Stati Uniti le politiche pronataliste ungheresi siano guardate con interesse da esponenti MAGA del Partito Repubblicano. Implementate nella realtà statunitense, queste permetterebbero di supportare le famiglie bianche ed escludere quelle di neri e latini, statisticamente più a basso reddito o impiegate più frequentemente in modo irregolare.
Il caso ungherese alla prova dei fatti
Orbán non ha nascosto la sua ambizione di raggiungere entro il 2030 un numero medio di figli per donna di 2,1, il tasso di fecondità necessario per mantenere invariata la popolazione di uno stato senza ricorrere alla migrazione, obiettivo poi rivisto e spostato al 2035. Ma in un’intervista del 2022 al settimanale ungherese HVG, Zsolt Spéder, direttore dell’Istituto di ricerca sulla popolazione dell’Ufficio centrale di statistica ungherese, ha fatto notare che, secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, nel 2035 l’Ungheria si attesterà a 1,53. «Non esiste un tasso di fecondità di 2,1 in Europa e per raggiungerlo servirebbe un incremento molto grande in un tempo ridotto che non ha precedenti a livello internazionale», ha affermato Spéder. Malgrado i proclami del premier ungherese, dunque, la realtà appare ben diversa.
Secondo uno studio di Tóth e Csilla Obádovics, dagli attuali 9,6 milioni la popolazione ungherese calerà nel 2050 a 8,5 milioni. Anche negli scenari più ottimistici, in cui il tasso di fecondità dovesse raggiungere 1,85, la popolazione scenderà a 8,8 milioni. «La vera domanda da porsi in Ungheria al momento non è come aumentare il tasso di fecondità, ma come rallentarne il declino», spiega Tóth.

In Ungheria, a ben guardare gli ultimi dati demografici, la situazione non è esattamente positiva. Da un lato il tasso di fecondità è salito regolarmente dal 2011, raggiungendo l’apice di 1,8 nel settembre 2021. Tuttavia da allora ha subito una flessione ed è attualmente 1,37: in Italia nel 2024 si aggirava su 1,21 figli per donna. Tóth fa notare che la situazione ungherese è abbastanza in linea con un trend regionale: dopo la caduta dei regimi comunisti nei Paesi dell’Europa centro-orientale ci fu un drastico declino delle nascite, seguito da un successivo trend di ripresa, interrotto nuovamente per alcuni anni dalla crisi finanziaria del 2008. Ma nel 2019 in tutti i Paesi della regione il tasso di fecondità era abbastanza uniforme e si aggirava tra 1,4 e 1,8, il che rende difficile stabilire una correlazione tra le politiche di Orbán e i trend demografici attuali.
Anche perché, spiega il ricercatore ungherese, misurare le variazioni sul breve termine può essere fuorviante. Tóth racconta che nel 2019 vennero lanciate nuove misure di supporto alle famiglie e in un anno il numero dei matrimoni raddoppiò, visto che era uno dei requisiti necessari per accedervi. «Ovviamente non in modo così drastico, ma potremmo trovarci davanti a un trend simile anche con le nascite», prosegue, «le politiche familiari ungheresi potrebbero aver anticipato e agevolato una decisione, quella di avere dei figli, che sarebbe stata presa più avanti. Ma ciò lascia sostanzialmente invariato il numero dei nati». Secondo il demografo ungherese, le prime conclusioni sull’efficacia delle politiche ungheresi si potranno trarre tra almeno 15 anni, quando le donne in età fertile nell’anno in cui vennero lanciate le prime politiche familiari governative di Orbán avranno raggiunto la menopausa.
Alcuni studi demografici recenti relativi all’Ungheria potrebbero dare un’idea di cosa aspettarsi: uno basato su un’analisi tra il 1985 e il 2016 ha concluso che le agevolazioni fiscali possono aumentare la probabilità di avere un terzo figlio, mentre un altro ha analizzato le misure di politica familiare adottate tra il 2000 e il 2015 e ha concluso che hanno avuto un impatto «leggermente positivo» sulla fertilità.
Il vero esempio virtuoso dell’Europa orientale
Di certo in Ungheria gli sforzi governativi sembrano tutti orientati sull’aumento della nascite, senza concentrarsi su ciò che succede dopo. Secondo una proiezione delle Nazioni Unite il Paese magiaro potrebbe avere la popolazione più giovane d’Europa entro il 2100, un dato apparentemente positivo, tuttavia imputabile in buona parte alla bassa aspettativa di vita nazionale. L’Ungheria è il paese UE che spende di meno per la Sanità, ha il tasso di mortalità per cancro più alto dell’Unione Europea, si classifica al quinto posto per mortalità dovuta a malattie circolatorie e al quarto posto per tasso di mortalità totale.
Un modello regionale meno appariscente ma decisamente più efficace sembra essere invece quello della Repubblica Ceca. Nel 2023 il Paese ha raggiunto un tasso di fecondità di 1,6 figli per donna, maggiore di quello ungherese. «Il modello ceco è interessante per via degli sforzi mirati a migliorare l’aspettativa di vita nazionale, in questo modo si possono mitigare gli effetti del calo della popolazione dovuti alla bassa fertilità», riflette Tóth. A differenza dell’Ungheria, secondo una proiezione Eurostat da qui al 2100 nella Repubblica Ceca la popolazione aumenterà leggermente.
Il modello demografico ceco è positivo anche grazie a un solido trend migratorio quasi in linea con altri Paesi occidentali. Ma il demografo ungherese ci tiene a chiarire un malinteso abbastanza comune quando si parla di Ungheria: «al di là della retorica politica, in base ai dati pubblicati dell’Ufficio Centrale di Statistica Ungherese l’Ungheria è un Paese con un saldo migratorio attivo: il 4 per cento della popolazione residente è nata in un Paese straniero. Senza la migrazione, l’Ungheria nel censimento del 2022 sarebbe già scesa sotto la soglia psicologicamente importante dei 9,5 milioni di abitanti».
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