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Quando le teorie del complotto sono reali

Dal Watergate al doloroso passato di esperimenti sanitari sulla popolazione afroamericana, non sempre i complotti sono delle fantasie deliranti

11 novembre 2024
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In un’epoca caratterizzata da una sovrabbondanza di informazioni e dalla rapida diffusione di tesi disinformative, la parola “complotto” viene spesso associata a credenze infondate o narrazioni paranoiche. Nella maggior parte dei casi questo è vero. 

Una delle più note teorie del complotto, ad esempio, è la stravagante fantasia di QAnon, che i suoi seguaci immaginano come un intricato piano di Donald Trump per smascherare e consegnare alla giustizia celebrità di Hollywood ed esponenti dell’élite democratica dediti a pedofilia e riti satanici. E che dire del complesso armamentario retorico messo in piedi da chi per anni ha negato – e continua a farlo – la pandemia da Covid-19, descrivendola come un pretesto per controllare la popolazione attraverso i vaccini?

Eppure, la storia insegna che non tutte le ipotesi cospirative sono frutto di fantasia. Perché alcune delle cose che in genere indichiamo con questo termine potrebbero realmente aver avuto un’influenza su eventi storici significativi o sulle vite di alcune persone. Esistono, infatti, complotti reali, eventi in cui segreti oscuri e piani orchestrati in modo occulto sono infine venuti alla luce e hanno avuto un impatto tangibile e profondo sulle nostre società.  

Da scandali politici a operazioni militari segrete passando per esperimenti scientifici condotti solo su alcuni gruppi di persone, alcuni complotti non sono fantasie deliranti, ma una verità storica ormai acclarata. Le loro caratteristiche sono però totalmente diverse dalle narrazioni inventate di cui Facta si occupa ogni giorno e per non fare confusione vale la pena tracciare una distinzione teorica tra le due fattispecie. 

Le differenze tra un complotto reale e una teoria totalmente infondata

Quando parliamo di “complotto”ci riferiamo a un gruppo di persone che si mettono d’accordo tra loro, all’insaputa di altri, per danneggiare con intento malevolo un altro individuo o un gruppo di persone. Ma ci sono differenze fondamentali tra i complotti reali e quelli completamente inventati, le teorie della cospirazione prive di fondamento. 

Prima di tutto un complotto reale ha un fine specifico, preciso e circoscritto, mentre una teoria del complotto non supportata da prove ha, tendenzialmente, il fine più vasto e immaginabile possibile. Secondo chi la diffonde l’obiettivo dei soggetti al centro della cospirazione sarebbe quello di dominare, conquistare o distruggere il mondo intero. 

Per capire meglio la posta in gioco è utile utilizzare due esempi pratici e mettere a confronto lo scandalo Watergate e QAnon. Il primo fa riferimento a un’operazione di spionaggio politico avvenuta negli Stati Uniti negli anni Settanta in cui membri dell’amministrazione del presidente Richard Nixon furono coinvolti nell’effrazione della sede del Comitato Nazionale Democratico. Lo scandalo comprende anche i successivi tentativi di insabbiamento da parte di Nixon e del suo governo che portarono alle dimissioni di alti funzionari e, infine, alle dimissioni del presidente nel 1974. QAnon, come detto, è una popolare teoria del complotto che sostiene l’esistenza di un’élite globale di pedofili satanisti che controllano il mondo e che l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump starebbe combattendo per smascherarli. 

Quando si guarda al caso Watergate, il fine di quel complotto è facilmente immaginabile: una parte politica agiva in segreto per controllare e spiare la fazione avversaria. Nel caso di QAnon, invece, l’obiettivo è molto più vasto, meno circoscrivibile, e tutto assume le sembianze di un grande fumetto.

Un sostenitore di QAnon fuori dalla Casa Bianca

Un complotto reale si differenzia da una narrazione inventata anche per il numero di attori che partecipano. Durante lo scandalo Watergate le persone coinvolte facevano parte di una rete ristretta legata all’allora presidente Richard Nixon, mentre secondo chi diffonde la teoria di QAnon sarebbero coinvolti in questo piano vari politici, in particolare del Partito Democratico degli Stati Uniti, ma anche imprenditori e leader aziendali, varie celebrità, organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e la NATO e agenti dei servizi segreti accusati di proteggere o partecipare attivamente a questa cospirazione. 

Una volta denunciate, le cospirazioni reali finiscono, anche se i loro effetti possono persistere a lungo. Nel caso dello scandalo Watergate, infatti, una volta portato alla luce il piano, è iniziato un percorso giudiziario che ha condotto a vari arresti e le operazioni sono terminate, anche se il contraccolpo culturale è stato lungo, manifestandosi in particolare nella crisi di sfiducia nelle istituzioni americane da parte di molti cittadini e cittadine negli anni successivi. Il piano di QAnon, invece, starebbe proseguendo imperterrito. Nonostante ci siano persone che, apparentemente, sarebbero a conoscenza di questo piano diabolico e i dettagli sarebbero stati resi pubblici – così come i nomi delle persone ipoteticamente coinvolte – la cospirazione sembra non poter avere fine e a nessuno sembrano stare a cuore le sorti dei bambini torturati dai presunti pedofili satanisti.  

Lo scandalo Watergate non è però l’unico complotto a essersi rivelato reale. 

La sfiducia della comunità nera nelle istituzioni mediche nasce da un complotto reale

La recente pandemia da Covid-19 ha portato alla luce, in modo ancora più evidente rispetto al passato, una persistente sfiducia della comunità nera negli Stati Uniti nei confronti dei vaccini e della sanità. Sebbene una ricerca condotta da un gruppo di psicologi dell’Università della California – Los Angeles (Ucla) abbia dimostrato che l’esitazione della comunità nera nei confronti del vaccino e dei medici dipenda dalle loro attuali esperienze sanitarie insoddisfacenti, questa diffidenza affonda le sue radici in decenni di ingiustizie sanitarie e discriminazioni razziali che arrivano fino ai giorni nostri. Ma le fondamenta di questa mancanza di fiducia poggiano anche in esperimenti medici che nella storia sono stati condotti a spese proprio della comunità nera: una lettura che sembra una teoria del complotto priva di fondamento ma che in realtà si basa su eventi storici reali che influenzano ancora il presente.

In particolare, due degli esempi più noti di tali sperimentazioni sono gli esperimenti di J. Marion Sims e quelli condotti a Tuskegee, in Alabama, e dintorni.

James Marion Sims era un chirurgo della Carolina del Sud che si trasferì in Alabama nel 1835, dove condusse una serie di esperimenti con l’obiettivo di trovare una cura per la fistola vescico-vaginale, una condizione che solitamente deriva da complicazioni del parto e che causa alle donne perdite incontrollate di urina e feci. Quello che ancora oggi viene chiamato “il padre della ginecologia moderna” acquistò almeno dieci donne nere, allora schiave, sfruttando il loro lavoro ed eseguendo sui loro corpi esperimenti senza anestesia. Ad oggi si conoscono i nomi solamente di tre di loro: Anarcha, Betsy e Lucy. Essendo schiave, le donne non erano in grado di dare o meno il loro consenso a queste procedure e Sims operò le donne più e più volte. Una di loro, Anarcha, fu operata trenta volte tra il 1846 e il 1849 prima che l’operazione avesse successo.  

Dopo aver esaltato la sua figura e avergli tributato numerosi riconoscimenti, nel 2018 l’amministrazione della città di New York ha rimosso da Central Park la statua di J. Marion Sims, spostandola nel cimitero di Brooklyn dove il medico è sepolto. La decisione è arrivata dopo che una commissione dell’amministrazione locale incaricata di esaminare i monumenti dedicati a personaggi controversi nella città di New York aveva chiesto di rimuovere la statua, d’accordo con il sindaco Bill de Blasio. La stessa commissione aveva chiesto di sostituire la statua con un altro monumento, ad esempio dedicato alle donne di colore nella scienza e nella medicina.

Quasi un secolo dopo, un’altra serie di esperimenti medici ha coinvolto la comunità nera negli Stati Uniti. Negli anni Venti del secolo scorso, un’indagine rivelò un’elevata incidenza di sifilide nella zona di Tuskegee, in Alabama. Di fronte a questi dati, nel 1932 il Servizio di Sanità Pubblica degli Stati Uniti (PHS), predecessore dei Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC), decise di avviare uno “studio osservazionale” per tracciare l’evoluzione naturale della sifilide non trattata negli uomini afroamericani. Dopo essere stati reclutati con la promessa di cure mediche gratuite e senza il loro consenso informato, seicento uomini afroamericani della contea di Macon, in Alabama, furono arruolati nel progetto, che mirava a studiare la progressione completa della malattia. I medici del PHS, infatti, informarono i partecipanti che erano in cura per il “sangue cattivo” (bad blood in inglese), un termine comunemente usato nella zona e in modo generico per riferirsi a varie condizioni di salute, inclusa la sifilide, ma anche altre malattie come l’anemia o la fatica.

Per quarant’anni, dal 1932 al 1972, il PHS ha esaminato sistematicamente questi uomini, mentendo loro sulla natura dello studio e sui test a cui dovevano sottoporsi. L’esperimento si è svolto in un tempo estremamente prolungato, nonostante i medici fossero consapevoli delle gravi conseguenze che ha la sifilide se non viene curata. Gli scienziati non si sono fermati nemmeno quando la penicillina a metà degli anni Quaranta è diventata un trattamento sicuro ed efficace per la malattia, né si sono fatti rallentare dalle battaglie del movimento per i diritti civili che tra gli anni Cinquanta e Sessanta hanno fatto riflettere gli Stati Uniti sul tema della discriminazione razziale.

A metà degli anni Sessanta, Peter Buxton, un ricercatore di malattie veneree del PHS di San Francisco, venne a conoscenza dello studio Tuskegee e manifestò ai suoi superiori varie preoccupazioni etiche. In risposta, i funzionari del PHS istituirono un comitato per esaminare lo studio, ma alla fine optarono per proseguire: l’obiettivo era seguire i partecipanti fino alla loro morte, effettuare le autopsie e analizzare i dati raccolti. Qualche tempo dopo Buxton fece trapelare la storia alla stampa e nel 1972 la giornalista Jean Heller di Associated Press pubblicò la notizia che finì sulle prime pagine di tutti i giornali. Questa pubblicazione, insieme a successive indagini e reportage suscitarono l’indignazione dell’opinione pubblica e la reazione delle agenzie federali statunitensi. L’assistente segretario per la Salute e gli affari scientifici (Oash) nominò un Comitato consultivo ad hoc che, dopo aver analizzato la situazione, concluse che lo studio era eticamente ingiustificato, sancendone la fine.

Si tratta di due esempi che si inseriscono in secoli di discriminazione nei confronti della comunità nera negli Stati Uniti e che ricordano costantemente quanto il sistema medico abbia trattato ingiustamente le persone nere e come questo contribuisca alla loro costante mancanza di fiducia nel sistema. 

La raccolta dati e Cambridge Analytica

Quante volte avete sentito qualcuno, magari con una tendenza un po’ paranoica e complottista, dire «Internet ci ruba tutti i nostri dati per ragioni politiche» oppure «le big tech cospirano per rubarci tutto»? Se nella maggior parte dei casi queste affermazioni sono troppo generiche per essere vere e andrebbero contestualizzate, esiste un esempio di complotto reale che riguarda proprio l’utilizzo di dati personali degli utenti raccolti online: quello comunemente conosciuto come lo scandalo di Cambridge Analytica. Anche se non si è trattato di un complotto governativo su larga scala, questo fatto ha dimostrato che gruppi privati influenti stavano effettivamente manipolando le informazioni per ottenere vantaggi politici. È stato uno dei più grandi scandali politici emersi all’inizio del 2018, quando si scoprì che Cambridge Analytica, un’azienda di consulenza e per il marketing online, aveva ottenuto i dati personali di 87 milioni di utenti di Facebook senza il loro permesso e li aveva sfruttati per fini di propaganda politica, per influenzare elezioni politiche e altri processi democratici, tra cui le presidenziali americane del 2016 e il referendum Brexit del 2016. Ma partiamo dall’inizio. 

Perquisizione degli uffici di Cambridge Analytica, nel centro di Londra, avvenuta la sera del 23 marzo 2018

Cambridge Analytica era una società britannica specializzata in analisi dei dati e campagne politiche, che raccoglieva una grande quantità di informazioni dagli utenti dei social network. Utilizzava poi questi dati per creare profili psicologici dettagliati degli elettori, consentendo l’invio di messaggi politici mirati e sfruttando le vulnerabilità personali per influenzarne il comportamento elettorale. Per capire il collegamento di questa azienda con Facebook e i dati degli utenti bisogna fare un salto indietro fino al 2014, quando Aleksandr Kogan, un ricercatore dell’Università di Cambridge, creò l’app “thisisyourdigitallife” (in italiano: “questa è la tua vita digitale”). 

Si trattava di una sorta di quiz psicologico che prometteva di produrre profili di previsione del proprio comportamento, basandosi sulle attività che ogni utente svolgeva online. Per utilizzare l’applicazione gli utenti dovevano collegarsi utilizzando Facebook Login, un sistema che consente di registrarsi a un sito senza dover creare nuovi username e password, sfruttando un meccanismo di autenticazione gestito da Facebook. Si tratta di un servizio gratuito che però, come spesso accade online, viene “pagato” con i dati degli utenti: l’app che usa Facebook Login ottiene accesso a informazioni come la mail, l’età e altri dati presenti nel profilo delle persone che usano il servizio. Di solito, però, si tratta di un’operazione trasparente perché Facebook mostra una schermata riepilogativa con le informazioni che verranno condivise. 

In questo caso, però, Kogan trasmise i dati raccolti a Cambridge Analytica che, a sua volta, usò queste informazioni per creare profili psicologici e realizzare campagne di micro-targeting per influenzare elezioni, come quella delle presidenziali americane del 2016. Anche se solo circa 270 mila persone installarono l’app, grazie al meccanismo di condivisione dei dati di Facebook dell’epoca, furono raccolti i dati di circa 87 milioni di persone senza il loro consenso esplicito. Il social network, infatti, aveva riconosciuto il trasferimento dei dati in un avviso inviato agli utenti i cui amici avevano installato l’app This Is Your Digital Life poiché l’app raccoglieva informazioni non solo da chi la installava, ma anche da tutti i loro amici sulla piattaforma.

Kogan violò così le politiche di Facebook, che permettevano la raccolta di dati per scopi accademici, ma non per finalità commerciali o politiche. Soprattutto, il social network vieta ai proprietari di app di condividere con società terze i dati che raccolgono sugli utenti. 

Lo scandalo emerse due anni dopo, grazie a un’inchiesta del New York Times e del Guardian. Alla testata britannica Christopher Wylie, ex dipendente di Cambridge Analytica, rivelò che Facebook era al corrente del problema da circa due anni e non è chiaro perché il comportamento della piattaforma non sia stato del tutto trasparente. Quando lo scandalo emerse fu, comunque, uno shock globale e varie autorità regolatorie iniziarono a indagare su Facebook e su Cambridge Analytica. La piattaforma di Mark Zuckerberg fu pesantemente criticata per non aver protetto i dati degli utenti e nel 2019 fu condannata a pagare una multa record di 5 miliardi di dollari alla Federal Trade Commission (FTC), agenzia governativa americana che ha il compito di promuovere la tutela dei consumatori. L’azienda Cambridge Analytica, invece, dichiarò bancarotta nel 2018, anche se molte delle persone coinvolte nella società continuarono a operare nel campo delle strategie politiche con altre aziende.

Questo scandalo, un vero e proprio complotto ordito da una società privata e messo a tacere da Facebook, ha sollevato grandi interrogativi sul modo in cui i dati personali vengono raccolti, condivisi e utilizzati, soprattutto in contesti politici. Ha dimostrato come la raccolta e l’uso indiscriminato di dati sensibili possano mettere a rischio la privacy e la sicurezza degli utenti, influenzando profondamente il processo democratico. L’uso del micro-targeting basato su profili psicologici ha portato a un dibattito globale sull’etica del controllo dei dati e sull’importanza di una regolamentazione più severa per le aziende tecnologiche.

L’impatto dello scandalo ha contribuito anche a una maggiore consapevolezza da parte del pubblico sul valore e sulla protezione dei propri dati personali e ha in qualche modo accelerato l’adozione di normative più severe in materia di privacy, come il Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr) in Europa, e ha spinto giganti della tecnologia come Facebook a migliorare le loro politiche di gestione dei dati.

In conclusione, scandali come quello di Cambridge Analytica,  gli esperimenti di J. Marion Sims e quelli condotti a Tuskegee, in Alabama, mostrano quanto sia sottile il confine tra una teoria del complotto infondata e un piano ordito da persone in posizioni di potere. Questi eventi reali, che spesso sembrano usciti da un film di spionaggio o dai circoli di complottisti, rivelano come la fiducia pubblica può realmente essere tradita da entità politiche, scientifiche e commerciali quando agiscono nell’ombra, senza trasparenza e senza responsabilità. E questi episodi, oltre a danneggiare individui e comunità, minano i pilastri stessi della democrazia.

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