Un complotto reale si differenzia da una narrazione inventata anche per il numero di attori che partecipano. Durante lo scandalo Watergate le persone coinvolte facevano parte di una rete ristretta legata all’allora presidente Richard Nixon, mentre secondo chi diffonde la teoria di QAnon sarebbero coinvolti in questo piano vari politici, in particolare del Partito Democratico degli Stati Uniti, ma anche imprenditori e leader aziendali, varie celebrità, organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e la NATO e agenti dei servizi segreti accusati di proteggere o partecipare attivamente a questa cospirazione.
Una volta denunciate, le cospirazioni reali finiscono, anche se i loro effetti possono persistere a lungo. Nel caso dello scandalo Watergate, infatti, una volta portato alla luce il piano, è iniziato un percorso giudiziario che ha condotto a vari arresti e le operazioni sono terminate, anche se il contraccolpo culturale è stato lungo, manifestandosi in particolare nella crisi di sfiducia nelle istituzioni americane da parte di molti cittadini e cittadine negli anni successivi. Il piano di QAnon, invece, starebbe proseguendo imperterrito. Nonostante ci siano persone che, apparentemente, sarebbero a conoscenza di questo piano diabolico e i dettagli sarebbero stati resi pubblici – così come i nomi delle persone ipoteticamente coinvolte – la cospirazione sembra non poter avere fine e a nessuno sembrano stare a cuore le sorti dei bambini torturati dai presunti pedofili satanisti.
Lo scandalo Watergate non è però l’unico complotto a essersi rivelato reale.
La sfiducia della comunità nera nelle istituzioni mediche nasce da un complotto reale
La recente pandemia da Covid-19 ha portato alla luce, in modo ancora più evidente rispetto al passato, una persistente sfiducia della comunità nera negli Stati Uniti nei confronti dei vaccini e della sanità. Sebbene una ricerca condotta da un gruppo di psicologi dell’Università della California – Los Angeles (Ucla) abbia dimostrato che l’esitazione della comunità nera nei confronti del vaccino e dei medici dipenda dalle loro attuali esperienze sanitarie insoddisfacenti, questa diffidenza affonda le sue radici in decenni di ingiustizie sanitarie e discriminazioni razziali che arrivano fino ai giorni nostri. Ma le fondamenta di questa mancanza di fiducia poggiano anche in esperimenti medici che nella storia sono stati condotti a spese proprio della comunità nera: una lettura che sembra una teoria del complotto priva di fondamento ma che in realtà si basa su eventi storici reali che influenzano ancora il presente.
In particolare, due degli esempi più noti di tali sperimentazioni sono gli esperimenti di J. Marion Sims e quelli condotti a Tuskegee, in Alabama, e dintorni.
James Marion Sims era un chirurgo della Carolina del Sud che si trasferì in Alabama nel 1835, dove condusse una serie di esperimenti con l’obiettivo di trovare una cura per la fistola vescico-vaginale, una condizione che solitamente deriva da complicazioni del parto e che causa alle donne perdite incontrollate di urina e feci. Quello che ancora oggi viene chiamato “il padre della ginecologia moderna” acquistò almeno dieci donne nere, allora schiave, sfruttando il loro lavoro ed eseguendo sui loro corpi esperimenti senza anestesia. Ad oggi si conoscono i nomi solamente di tre di loro: Anarcha, Betsy e Lucy. Essendo schiave, le donne non erano in grado di dare o meno il loro consenso a queste procedure e Sims operò le donne più e più volte. Una di loro, Anarcha, fu operata trenta volte tra il 1846 e il 1849 prima che l’operazione avesse successo.
Dopo aver esaltato la sua figura e avergli tributato numerosi riconoscimenti, nel 2018 l’amministrazione della città di New York ha rimosso da Central Park la statua di J. Marion Sims, spostandola nel cimitero di Brooklyn dove il medico è sepolto. La decisione è arrivata dopo che una commissione dell’amministrazione locale incaricata di esaminare i monumenti dedicati a personaggi controversi nella città di New York aveva chiesto di rimuovere la statua, d’accordo con il sindaco Bill de Blasio. La stessa commissione aveva chiesto di sostituire la statua con un altro monumento, ad esempio dedicato alle donne di colore nella scienza e nella medicina.
Quasi un secolo dopo, un’altra serie di esperimenti medici ha coinvolto la comunità nera negli Stati Uniti. Negli anni Venti del secolo scorso, un’indagine rivelò un’elevata incidenza di sifilide nella zona di Tuskegee, in Alabama. Di fronte a questi dati, nel 1932 il Servizio di Sanità Pubblica degli Stati Uniti (PHS), predecessore dei Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC), decise di avviare uno “studio osservazionale” per tracciare l’evoluzione naturale della sifilide non trattata negli uomini afroamericani. Dopo essere stati reclutati con la promessa di cure mediche gratuite e senza il loro consenso informato, seicento uomini afroamericani della contea di Macon, in Alabama, furono arruolati nel progetto, che mirava a studiare la progressione completa della malattia. I medici del PHS, infatti, informarono i partecipanti che erano in cura per il “sangue cattivo” (bad blood in inglese), un termine comunemente usato nella zona e in modo generico per riferirsi a varie condizioni di salute, inclusa la sifilide, ma anche altre malattie come l’anemia o la fatica.
Per quarant’anni, dal 1932 al 1972, il PHS ha esaminato sistematicamente questi uomini, mentendo loro sulla natura dello studio e sui test a cui dovevano sottoporsi. L’esperimento si è svolto in un tempo estremamente prolungato, nonostante i medici fossero consapevoli delle gravi conseguenze che ha la sifilide se non viene curata. Gli scienziati non si sono fermati nemmeno quando la penicillina a metà degli anni Quaranta è diventata un trattamento sicuro ed efficace per la malattia, né si sono fatti rallentare dalle battaglie del movimento per i diritti civili che tra gli anni Cinquanta e Sessanta hanno fatto riflettere gli Stati Uniti sul tema della discriminazione razziale.
A metà degli anni Sessanta, Peter Buxton, un ricercatore di malattie veneree del PHS di San Francisco, venne a conoscenza dello studio Tuskegee e manifestò ai suoi superiori varie preoccupazioni etiche. In risposta, i funzionari del PHS istituirono un comitato per esaminare lo studio, ma alla fine optarono per proseguire: l’obiettivo era seguire i partecipanti fino alla loro morte, effettuare le autopsie e analizzare i dati raccolti. Qualche tempo dopo Buxton fece trapelare la storia alla stampa e nel 1972 la giornalista Jean Heller di Associated Press pubblicò la notizia che finì sulle prime pagine di tutti i giornali. Questa pubblicazione, insieme a successive indagini e reportage suscitarono l’indignazione dell’opinione pubblica e la reazione delle agenzie federali statunitensi. L’assistente segretario per la Salute e gli affari scientifici (Oash) nominò un Comitato consultivo ad hoc che, dopo aver analizzato la situazione, concluse che lo studio era eticamente ingiustificato, sancendone la fine.
Si tratta di due esempi che si inseriscono in secoli di discriminazione nei confronti della comunità nera negli Stati Uniti e che ricordano costantemente quanto il sistema medico abbia trattato ingiustamente le persone nere e come questo contribuisca alla loro costante mancanza di fiducia nel sistema.
La raccolta dati e Cambridge Analytica
Quante volte avete sentito qualcuno, magari con una tendenza un po’ paranoica e complottista, dire «Internet ci ruba tutti i nostri dati per ragioni politiche» oppure «le big tech cospirano per rubarci tutto»? Se nella maggior parte dei casi queste affermazioni sono troppo generiche per essere vere e andrebbero contestualizzate, esiste un esempio di complotto reale che riguarda proprio l’utilizzo di dati personali degli utenti raccolti online: quello comunemente conosciuto come lo scandalo di Cambridge Analytica. Anche se non si è trattato di un complotto governativo su larga scala, questo fatto ha dimostrato che gruppi privati influenti stavano effettivamente manipolando le informazioni per ottenere vantaggi politici. È stato uno dei più grandi scandali politici emersi all’inizio del 2018, quando si scoprì che Cambridge Analytica, un’azienda di consulenza e per il marketing online, aveva ottenuto i dati personali di 87 milioni di utenti di Facebook senza il loro permesso e li aveva sfruttati per fini di propaganda politica, per influenzare elezioni politiche e altri processi democratici, tra cui le presidenziali americane del 2016 e il referendum Brexit del 2016. Ma partiamo dall’inizio.