Trump come Don Chisciotte, il protagonista del romanzo secentesco di Miguel De Cervantes. In perenne lotta contro i mulini a vento. Si tratta, in verità, delle turbine eoliche. Ma lui a volte le chiama proprio così: mulini a vento.
Il paragone letterario è scontato, ma è anche azzeccato perché quella di Donald Trump, riguardo all’energia eolica, sembra essere una vera e propria ossessione, simile a quella del personaggio del romanzo. Di certo, è una polemica che riporta a galla ogni qualvolta ne ha l’occasione.
Lo scorso aprile il quotidiano Washington Post aveva riportato che, durante una cena nella sua residenza di Mar-a-Lago, in Florida, Trump aveva fatto una dichiarazione inequivocabile: «io odio il vento». Dal suo punto di vista era l’occasione giusta per pronunciare queste parole. Aveva, infatti, davanti a sé, un gruppo di rappresentanti dell’industria petrolifera, venuti alla sua corte per sostenere la sua rielezione.
L’odio di Trump per il vento non è difficile da spiegare, essendo coerente con la sua idea di politica energetica («Drill, baby, drill», «trivella, baby, trivella»), da cui scaturisce la sua negazione del cambiamento climatico. È un sentimento che ha manifestato spesso da quando è sulla scena della politica americana, supportandolo ogni volta con affermazioni tanto ripetitive quanto prive di fondamento.
Nel 2019, da presidente, si era spinto a insinuare («dicono…») che le turbine eoliche causino il cancro. Ma anche che sterminano gli uccelli. Che, sì, possono andare a sbatterci contro e morire per questo. Ma i volatili che subiscono questa sorte sono molti meno di quelli uccisi a causa dell’impatto con edifici e veicoli o per altre cause antropiche.
Sui “mulini a vento” Trump ne ha detta un’altra recentemente, durante un’intervista al Joe Rogan Show: fanno impazzire le balene. Per questo, ha aggiunto, vorrebbe essere uno «psichiatra delle balene». Merita di essere approfondita, per capire se ci sia un’attinenza con la realtà.
Una minaccia per i cetacei?
Dall’inizio del 2016 la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti ha riscontrato una «insolita mortalità» nella popolazione di megattere dell’Oceano Atlantico. Ad oggi sono 229 le carcasse rinvenute, dalla costa del Maine fino a quelle della Florida. La popolazione, in quest’area dell’Atlantico, ammonta a circa 10.500 esemplari.
L’ufficio della NOAA che si occupa della gestione delle risorse marine e della pesca ha effettuato autopsie complete o parziali su circa la metà dei cetacei trovati morti. Di questi, circa il 40 percento recava i segni di una qualche interazione con gli esseri umani. Le megattere erano morte a causa dell’impatto con qualche imbarcazione o per essere rimaste impigliate nelle reti da pesca.
Gli esperti dell’agenzia hanno chiarito che non ci sono prove che mostrino un collegamento tra la presenza di turbine eoliche in mare e la morte delle balene. Potrebbe invece esserci con il cambiamento climatico. A causa del riscaldamento delle acque degli oceani l’area di distribuzione di diversi animali marini sta cambiando, comprese specie di cui si cibano i cetacei. Alcune balene si avvicinano alle aree costiere, correndo così un maggiore rischio di andare incontro a qualche interazione con gli esseri umani che può risultare fatale.
È vero che la costruzione degli impianti eolici in mare può dare fastidio ai mammiferi marini, in particolare durante le indagini geofisiche che vengono svolte per ottenere delle immagini del fondale oceanico: un problema che agenzie come la NOAA mitigano applicando alcune regolamentazioni a queste attività.
Queste operazioni generano rumori che possono disturbare le balene, cambiando il loro comportamento abituale. Ma non ferirle, né ucciderle e nemmeno farle impazzire. Queste indagini geofisiche vengono svolte anche per la ricerca di petrolio e gas, ma con altri strumenti. Nel caso delle turbine eoliche, spiega la NOAA, il suono prodotto è molto diverso, meno intenso, e si propaga in un’area più ristretta, per una durata di tempo minore. Se la costruzione di un impianto eolico può infastidire le balene, lo fa in misura molto inferiore rispetto a quella di una piattaforma petrolifera.
Nessuna fonte di energia sembra proprio eguagliare i combustibili fossili, quanto a impatti sul clima, l’ambiente e la biodiversità.
Uno strano ambientalismo
La lotta per la conservazione delle balene è da sempre una bandiera di molte organizzazioni ambientaliste, che si sono battute per mettere al bando il loro sfruttamente commerciale. Ma negli ultimi anni si sono inseriti gruppi che conducono compagne apparentemente dal basso, dai nomi che suonano ambientalisti e animalisti, ma dai legami sospetti. Secondo alcune inchieste, queste sigle sono vicine a organizzazioni a loro volta finanziate dal settore dei combustibili fossili.
A dar manforte a Trump in difesa delle balene è arrivato Michael Shellenberger, che già nel 2023 aveva puntato il dito contro le turbine eoliche per spiegare il recente aumento delle morti di questi animali nell’Oceano Atlantico. Una tesi che, come abbiamo visto, è stata smentita dalla NOAA.
Autore di libri, aspirante governatore della California, Shellenberger fa parte della schiera dei cosiddetti “ambientalisti pentiti”. Personalità che, a un certo punto, si sono sentite in rotta di collisione con l’ambientalismo mainstream e che da allora hanno dedicato buona parte del loro tempo a fare polemica contro di esso e a cercare di fondarne uno diverso.
Sul cambiamento climatico le posizioni di Shellenberger sono quelle di un lukewarmer (letteralmente, “tiepido”), ma potremmo definirle, più chiaramente, neo- o postnegazioniste. Non nega, cioè, la sua esistenza e nemmeno le sue cause, ma lo minimizza, sostiene che non è una “apocalisse”, che non è la “fine del mondo” e liquida le energie rinnovabili come qualcosa di cui non avremmo bisogno. Nei discorsi del tipiedi del cambiamento climatico l’aumento della temperatura del pianeta finisce per apparire una questione infinitamente meno seria dell’“allarmismo” di chi vuole contrastarlo. Tutte queste tesi Shellenberger le ha confezionate in un saggio, in cui ha descritto la scienza del cambiamento climatico in modo parecchio parziale e scorretto.
L’ambientalismo tradizionale avrà mille pecche e ognuno potrà avere i propri motivi per dissentire con varie organizzazioni verdi su questo o quel tema. Del resto, non è stato il movimento ambientalista, come tale, a scoprire l’esistenza di problemi come il cambiamento climatico, bensì la comunità scientifica. E l’urgenza del cambiamento climatico non è una mania progressista o “woke”, come insinuano Shellenberger e chi la pensa come lui, ma è un dato di fatto che si basa sulla scienza. È bene dunque guardare con sospetto e scetticismo a certi difensori dei cetacei marini.