Questo studio non dice che «i non vaccinati sono contagiosi per meno tempo di quelli vaccinati»
Il 29 luglio 2022 su Facebook è stato pubblicato lo screenshot di una presunta notizia in lingua inglese intitolata: “New England Journal of Medicine: Unvaccinated COVID Patients Are Contagious for LESS Time Than Those Vaxed or Boosted” (in italiano, “New England Journal of Medicine: i pazienti covid non vaccinati sono contagiosi per meno tempo di quelli vaccinati o di coloro che hanno ricevuto un richiamo”).
L’immagine è accompagnata da un commento, scritto da chi ha pubblicato il post su Facebook: «…e niente…avanti così! Pazienti Covid non vaccinati contagiosi per meno tempo dei vaccinati o boosterati».
Si tratta di un contenuto fuorviante, che veicola una notizia falsa. Andiamo con ordine.
Il titolo citato nello screenshot rimanda a un articolo pubblicato il 22 luglio 2022 da The National Pulse, sito statunitense definito (qui e qui) come vicino ad ambienti di estrema destra che diffonde teorie del complotto e di propaganda politica.
Nell’articolo si legge che in una lettera all’editore pubblicata il 29 giugno 2022 sul New england journal of medicine (Nejm), dei ricercatori avrebbero scoperto che i non vaccinati, una volta contratto il virus Sars-CoV-2, sarebbero contagiosi per meno tempo rispetto a quanto accade per i vaccinati. I risultati si baserebbero su un’analisi di tamponi Covid che ha coinvolto 66 partecipanti tra il luglio 2021 e il gennaio 2022.
«Per quanto riguarda i test Pcr positivi, entro i primi 10 giorni dall’infezione, il 68,75% dei soggetti non vaccinati non era più contagioso. Al contrario, solo il 29,72% delle persone vaccinate e il 38,46% delle persone che avevano ricevuto una dose di richiamo non erano più contagiose», continua The National Pulse. L’articolo si conclude sostenendo che «nonostante questi dati, […] la Casa Bianca e i media mainstream hanno continuato a promuovere acriticamente i vaccini anti Covid-19».
Quanto riportato dall’articolo di The National Pulse è in realtà fuorviante e non corrisponde alle conclusioni dello studio. Contattati dai colleghi di Reuters, Mark Siedner e Amy Barczak, coautori dello studio, hanno spiegato che il sito statunitense ha preso solo un parte dei dati e li ha presentati senza il contesto necessario alla loro comprensione, con il risultato di distorcere il loro reale significato. Vediamo perché.
Nello studio pubblicato su Nejm si legge che da luglio 2021 a gennaio 2022 sono stati arruolati 66 partecipanti (16 non vaccinati, 37 vaccinati, 13 vaccinati con una dose di richiamo) e che è stato utilizzato il campionamento dei tamponi nasali di queste persone per determinare la carica virale (cioè la quantità di particelle virali presenti nell’organismo infettato), per il sequenziamento (delle varianti del virus) e per la coltura virale. La coltura virale è un test utile a capire se un virus può causare un’infezione. Gli autori dello studio specificano inoltre che dei 66 pazienti, 32 erano risultati essere stati infettati con la variante delta di Sars-CoV-2 e 34 con omicron.
I ricercatori hanno esaminato quanti giorni erano trascorsi dal primo test Pcr positivo a uno negativo e quanto tempo è passato da una coltura virale positiva a una negativa. The National Pulse per sostenere la sua tesi infondata utilizza i dati in percentuale dei test Pcr. Si tratta di percentuali corrette. Tuttavia, come ha chiarito Siedner, per misurare se un virus è potenzialmente contagioso non bisogna guardare la positività ai test Pcr, ma la coltura virale. Il test Pcr, infatti, «misura se è stato rilevato un virus nei tamponi nasali, indipendentemente dal fatto che sia vivo o morto. La coltura virale è un indicatore di contagiosità, supponendo che il virus debba essere ancora vivo per poter essere trasmesso», ha affermato il ricercatore.
Chiarito questo aspetto, vediamo ora quali sono le reali conclusioni raggiunte dai ricercatori. Lo studio ha rivelato che in media le infezioni con delta e quelle con omicron avevano durate simili. La ricerca ha evidenziato anche che non ci sono state differenze sostanziali tra i due gruppi, in base allo stato di vaccinazione, nel tempo di conversione dei test Pcr e della coltura virale da positivi a negativi.
Su quest’ultimo aspetto, Siedner ha precisato sempre a Reuters che il gruppo di partecipanti non vaccinati ha avuto un periodo mediano leggermente più lungo di positività alla coltura virale. «Il tempo mediano di positività alla coltura virale nei tre gruppi (non vaccinati, vaccinati e con dose di richiamo) è stato rispettivamente di sette giorni, sei giorni e sei giorni», ha detto il ricercatore.
Nello stesso studio gli scienziati hanno avvertito comunque che la piccola dimensione del campione utilizzato (66 persone) limita la precisione dei risultati ottenuti. Inoltre, viene anche specificato che sebbene il rilevamento di virus vivi tramite la coltura virale sia un possibile indicatore di contagiosità, sono necessari ulteriori studi per confermare che la loro presenza sia effettivamente associata a una maggiore contagiosità.
In conclusione, quindi, lo studio suggerisce che la durata mediana dell’infettività misurata tramite la coltura virale era di un giorno più lunga tra i partecipanti non vaccinati rispetto a quelli vaccinati. Tuttavia, la piccola dimensione del campione di studio e altri limiti non devono far considerare i risultati come statisticamente significativi.