Lo scorso 10 aprile è cominciato a circolare sui social media italiani, soprattutto Facebook e Whatsapp, un lungo messaggio secondo cui la Covid-19 non avrebbe nulla a che fare con la polmonite poiché, si legge, il problema sarebbe invece un’altra patologia, la tromboembolia venosa generalizzata. Nel messaggio si sosteneva infatti che «sono le microtrombosi venose, non la polmonite a determinare la fatalità» dei pazienti da nuovo coronavirus Sars-Cov-2.
Secondo le nostre ricerche – ne abbiamo parlato in questo approfondimento – il messaggio è stato pubblicato per la prima volta dall’account Facebook personale di Giampaolo Palma, un cardiologo di Nocera Inferiore (in provincia di Salerno).
Prima di tutto, precisiamo che le tesi sostenute dal messaggio virale sono in gran parte imprecise e in diversi casi vengono smentite dalle indicazioni ufficiali rilasciate da autorità e organizzazioni internazionali. In generale, studi approvati dalla comunità scientifica concordano nell’affermare che fenomeni trombotici o problemi nella coagulazione del sangue sono stati osservati in pazienti affetti da Covid-19, ma non ci sono prove che queste rappresentino la principale causa di morte. Qui trovate tutto ciò che sappiamo sul legame tra Covid-19 e problemi di coagulazione.
In ogni caso, nonostante le informazioni veicolate nel messaggio siano ampiamente inaccurate, la notizia è partita dall’Italia e ha presto fatto il giro del mondo raggiungendo diversi Paesi in quattro continenti. Cerchiamo quindi di ricostruire il percorso seguito dal messaggio, che da Salerno è arrivato in Africa passando per l’Europa, l’America e l’Asia.
L’America Latina
Come abbiamo detto, la prima versione del messaggio che abbiamo individuato è stata pubblicata il 10 aprile ed è comparsa sul profilo Facebook personale di Giampaolo Palma, un cardiologo che esercita a Nocera Inferiore (Salerno).
Due giorni dopo, il 12 aprile, se ne è parlato anche in America Centrale: diversi stralci del messaggio di Palma sono stati tradotti in spagnolo e citati da Proceso Digital, un giornale online dell’Honduras. Secondo l’articolo, il medico hondureno Daniel Dávila Nolasco avrebbe ricevuto informazioni relative a nuovi procedimenti medici adottati in Italia – basati su un mix di anticoagulanti, antinfiammatori e antibiotici, come suggerito da Palma nel messaggio pubblicato su Facebook – dal medico internista Francisco José Cadillo, che a sua volta avrebbe appreso «preziose informazioni» riguardo a nuovi protocolli per la cura del coronavirus da «colleghi italiani».
Il 13 aprile, inoltre, ha iniziato a circolare su Facebook un video di circa 4:20 minuti in cui Dávila Nolasco spiega più nel dettaglio la tesi secondo cui il nuovo coronavirus sarebbe una trombosi e non una polmonite.
A seguire, il messaggio si è poi diffuso rapidamente in America Latina attraverso un post Facebook del paraguaiano Mario Derlis Núñez Bellassi. Sul suo profilo, tra l’altro, è possibile trovare anche altre teorie complottiste diventate popolari nell’ultimo periodo: in alcuni post la pandemia di Covid-19 viene definita una «farsa», ad esempio, oppure si sostengono argomentazioni no-vax o si incita a boicottare la tecnologia 5G.
Il post relativo al legame tra coronavirus e trombosi pubblicato da Bellassi è più breve rispetto a quello originale redatto da Giampaolo Palma, e sostiene che l’Italia avrebbe cambiato rapidamente i protocolli sanitari nei confronti della Covid-19 per seguire una terapia basata su non meglio precisati «antibiotici, anti-infiammatori e anti coagulanti», grazie ai risultati rivelatori ottenuti tramite alcune autopsie.
Il messaggio è stato verificato e smentito dai nostri colleghi fact-checkers boliviani ed argentini. Precisiamo, come riportano i colleghi argentini di Chequeado.com, che esattamente come accaduto in Italia, l’informazione falsa non si era limitata a diffondersi solo su Facebook ma anche tramite messaggi WhatsApp.
Nei giorni successivi la notizia è arrivata anche in Messico dove è stata analizzata dal sito di fact-checking Animal Politico il 21 aprile, e in Ecuador, dove Ecuador Chequea l’ha smentita il 27 aprile con un video pubblicato su Twitter.
A fine aprile, quindi, il messaggio fuorviante secondo cui la Covid-19 sarebbe una trombosi aveva già attraversato gran parte dell’America Latina. Se inizialmente la traduzione spagnola riportava fedelmente l’originale formulazione italiana pubblicata il 10 aprile, mano a mano il messaggio ha iniziato ad essere rivisto e manipolato, facendo nascere una serie di versioni più o meno diverse. La tesi principale, comunque, non è mai cambiata.
L’Europa
Secondo le nostre ricerche, il primo sito europeo di fact-checking ad occuparsi della questione è stato lo spagnolo Newtral, che il 22 aprile – quindi 12 giorni dopo il post di Palma, e quando il messaggio era già arrivato in Honduras, Paraguay, Messico, Bolivia e Argentina – ha fatto riferimento ad una catena di messaggi scambiati tramite WhatsApp che stava diventando particolarmente popolare in Spagna.
Negli screenshot del messaggio pubblicati da Newtral si legge che la Covid-19 non sarebbe una polmonite ma una trombosi, curabile quindi con l’ormai celebre mix di farmaci antibiotici, antinfiammatori e anticoagulanti: proprio per questo l’Italia avrebbe «cambiato i protocolli a partire da mezzogiorno».
Tramite WhatsApp, il messaggio si è diffuso in Germania a fine aprile, mentre è diventato popolare nel Regno Unito e in Francia grazie a due post su Facebook, pubblicati rispettivamente il 3 maggio (in lingua inglese) e l’8 maggio (in francese).
I due messaggi in inglese e in francese sono traduzioni letterali l’uno dell’altro. Entrambi sono piuttosto diversi dalle versioni fino ad ora incontrate, soprattutto perchè citano il caso di una famiglia messicana, residente negli Stati Uniti e positiva al nuovo coronavirus, che sarebbe guarita in una notte assumendo «500 mg di aspirina dissolti in succo di limone bollito e miele». Allo stesso tempo, comunque, alcune espressioni si presentano come traduzioni letterali del messaggio di Palma. Ad esempio, la frase «questo è il motivo principale per cui in Italia le ospedalizzazioni iniziano a diminuire e sta diventando una malattia curabile a casa» è riportata fedelmente sia nella versione inglese che in quella francese.
Sempre tramite Facebook, il messaggio ha raggiunto l’Ucraina il 17 maggio e la Grecia il 26 maggio. In quest’ultimo caso è stata indicata come fonte il Ministero della Salute italiano.
Stati Uniti e Canada
La notizia ha anche attraverso l’oceano, raggiungendo gli Stati Uniti nella prima metà di maggio. Ancora una volta, il messaggio in lingua inglese è stato condiviso su Facebook e si presentava come un rimaneggiamento dell’originale italiano, con alcune frasi che corrispondevano a traduzioni letterali e altre che sono state modificate, lasciando comunque immutate le tesi principali. Il testo è stato analizzato dal sito di fact-checking PolitiFact il 19 maggio.
Nemmeno il Canada è rimasto immune davanti alla viralità del messaggio: la versione francese del testo, pubblicata su Facebook l’8 maggio e analizzata da Le Monde il 14 maggio, è circolata anche lì, dove è stata verificata da Radio Canada il 22 maggio.
Asia
Mentre si faceva strada tra i social media del mondo occidentale, la tesi del dottor Palma che propone di risolvere «l’abbaglio diagnostico» e rivelare la reale natura del coronavirus ha raggiunto anche l’Asia.
Già il 6 maggio, infatti, il sito di fact-checking indiano BoomLive ha definito la tesi secondo cui la Covid-19 non sarebbe una polmonite ma una trombosi come «virale» sostenendo che questa è stata largamente diffusa nel Paese tramite Facebook e WhatsApp.
Il 28 maggio, poi, il sito di fact-checking filippino Rappler ha analizzato diversi messaggi postati su Facebook, sia in inglese che in filippino, in cui si sosteneva che «grazie alle ricerche di patologi italiani» è stato scoperto che la Covid-19 sarebbe una trombosi.
Africa
A fine maggio, la notizia falsa ha raggiunto anche l’Africa. Il 28 maggio i nostri colleghi di Africa Check hanno analizzato un popolare messaggio Facebook secondo cui il coronavirus non sarebbe una polmonite ma una trombosi, a sua volta causata non tanto da un virus quanto da un batterio. Per questo, la malattia sarebbe curabile con antibiotici, anticoagulanti e anti infiammatori come la comune aspirina.
La confusione tra virus e batterio potrebbe essere una conseguenza delle numerose manipolazioni subite dal messaggio originale. La tesi, infatti, si è diffusa a partire dalla seconda metà di maggio anche in altri Paesi come Romania, Filippine, e Stati Uniti.
In conclusione
Durante il periodo aprile-maggio 2020 è circolato sui social media, specialmente Facebook e Whatsapp, un messaggio secondo cui il nuovo coronavirus non avrebbe nulla a che fare con la polmonite interstiziale – tesi sostenuta ad oggi dalle autorità ufficiali – e si tratterebbe, al contrario, di una forma di trombosi.
La prima versione del messaggio che siamo riusciti a trovare risale al 10 aprile ed è stata pubblicata dal cardiologo salernitano Giampaolo Palma sul proprio profilo Facebook. Da lì, la notizia ha fatto il giro del mondo raggiungendo l’America Latina e diffondendosi poi in numerosi Paesi tra Europa, Stati Uniti, Canada, Asia e Africa.
Passando da Paese a Paese il messaggio originale è stato tradotto in diverse lingue, alcune volte letteralmente mentre altre con piccole modifiche. Spesso, poi, il testo è stato manipolato per modificare l’ordine delle frasi, aggiungere o rimuovere dettagli. Per fare qualche esempio, alcune versioni indicano come fonte delle informazioni il ministero della Salute italiano, mentre in altre si legge che il coronavirus non sarebbe un virus ma un batterio.
Le tesi di base, però, sono rimaste inalterate (ed errate). L’“illuminante” scoperta secondo cui il coronavirus non sarebbe una polmonite ma una trombosi viene sempre collegata ad una serie di autopsie svolte da medici italiani, i cui risultati avrebbero permesso di individuare la reale causa di mortalità nella tromboembolia venosa generalizzata. È inoltre presente in tutti i testi l’idea di base secondo cui fino a quel momento la comunità scientifica avrebbe adottato protocolli medici sbagliati, aumentando la capacità delle terapie intensive senza che ve ne fosse reale necessità.
Ricordiamo che la tesi è falsa e oggi non trova conferma in alcun documento ufficiale pubblicato dalla comunità scientifica che continua a definire e trattare il coronavirus come una sindrome respiratoria.