Logo
Questo articolo ha più di 54 mesi

Come funziona la lotta alla disinformazione di Twitter che ha mandato su tutte le furie Donald Trump

[…]

5 giugno 2020
Condividi

Nelle settimane a cavallo tra i mesi di maggio e giugno 2020, l’attualità politica è stata animata dallo scontro frontale tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il social network Twitter, la piattaforma fondata nel 2006 (tra gli altri) dall’imprenditore americano Jack Dorsey e che dal 2016 è divenuta un luogo centrale per le comunicazioni che riguardano l’amministrazione americana, vista l’abitudine presidenziale di condividere sul social network annunci istituzionali, ordini esecutivi e modifiche allo staff della Casa Bianca.

Oggetto del contendere è la nuova politica della società americana in materia di lotta alla disinformazione, che ha provocato la dura reazione di Donald Trump, in un escalation di dichiarazioni conclusa con l’emanazione di un ordine esecutivo che potrebbe essere fortemente punitivo per Twitter. Andiamo con ordine e cerchiamo di capire meglio che cosa è successo.

Twitter contro l’esaltazione della violenza

Il momento di massima tensione è stato toccato lo scorso 29 maggio, quando Twitter ha deciso di apporre un messaggio su un tweet pubblicato dall’account personale ufficiale di Donald Trump, che secondo il social network avrebbe violato il regolamento sull’esaltazione della violenza. Twitter ha definito il messaggio aggiunto un «avviso di pubblico interesse», ovvero un messaggio che avverte di una violazione del regolamento del social network, ma che non causerà la rimozione del contenuto, per via del suo interesse pubblico.

Il regolamento a cui si fa riferimento è stato adottato dalla piattaforma nel 2019 per combattere l’apologia di atti violenti, comportamento che secondo la società potrebbe ispirare ulteriori atti di violenza, e in circostanze normali (ovvero in assenza di pubblico interesse) comporterebbe la rimozione del contenuto e la possibile sospensione dell’account, in caso di recidiva.

Nel tweet in questione, pubblicato lo stesso 29 maggio, Trump definiva «teppisti» (thugs) i manifestanti scesi in strada per protestare contro la morte di George Floyd, l’uomo afroamericano ucciso al termine di un tentativo di arresto violento della polizia di Minneapolis, aggiungendo la frase «quando cominciano i saccheggi, si comincia anche a sparare».

La frase è stata considerata da Twitter una «esaltazione della violenza» non solo per il riferimento alla repressione delle manifestazioni, ma, come confermato al sito d’informazione BuzzFeed da un portavoce della società, anche per il contesto storico da cui proveniva. La frase è infatti una citazione – non si sa quanto volontaria da parte di Trump –della formula utilizzata durante le manifestazioni di massa degli afroamericani per la nomina presidenziale di Richard Nixon, nel 1968, dal capo della polizia di Miami Walter Headley per annunciare l’uso della violenza contro i manifestanti e si concludeva con le parole «non importa se saremo accusati di abuso di potere, i manifestanti non hanno ancora visto ciò di cui siamo capaci».

Il team di moderazione di Twitter – che secondo il New York Times fino a ieri si occupava esclusivamente di aggregare i contenuti e di dividerli in categorie come «di tendenza», «intrattenimento» e «sport» e di cui non conosciamo al momento composizione e dimensioni, ma che secondo la portavoce di Twitter Liz Kelley «ha esperienza sul campo» – ha scelto di non eliminare il tweet di Trump dal sito, ma di nasconderlo dalla timeline, rendendolo però accessibile a chiunque decidesse consapevolmente di visualizzarlo, cliccando sull’opzione «Visualizza».

Come ha spiegato l’account per le comunicazioni pubbliche di Twitter lo stesso 29 maggio parlando del caso, il provvedimento «limita» le possibilità di interazione con il tweet, che potrà essere ricondiviso con commento, ma non ritwittato acriticamente o commentato. Tale linea è stata adottata anche nei confronti dello stesso messaggio ripubblicato lo stesso giorno utilizzando l’account ufficiale della Casa Bianca.

La risposta di Trump non si è fatta attendere ed è arrivata nelle ore immediatamente successive, con la firma dell’ordine esecutivo 13925, emanato ufficialmente il 2 giugno, che modifica la sezione 230 del Communications Decency Act – una legge approvata dal Congresso degli Stati Uniti nel 1996 – e che potrebbe accostare le piattaforme social agli editori e renderli responsabili per i contenuti pubblicati. Gli esperti sono divisi circa le conseguenze concrete di un tale intervento legislativo e come ha evidenziato il New York Times, il più colpito dalla stretta sulle piattaforme potrebbe essere proprio Donald Trump, che fino ad ora ha potuto pubblicare su Twitter «pubblicare impunemente tutta una serie di messaggi veementi, molesti e palesemente falsi».

La lotta alla disinformazione di Twitter

Le radici dello scontro tra Twitter e Donald Trump vanno però ricercate nella decisione della piattaforma di combattere la disinformazione online, con una strategia inaugurata l’11 maggio 2020 e in seguito considerata da Trump un tentativo di «interferire nelle elezioni presidenziali del 2020».

Con un messaggio pubblicato l’11 maggio sul blog della società e firmato dal responsabile dell’integrità del sito Yoel Roth e dal direttore delle strategie pubbliche Nick Pickles, Twitter ha infatti ufficializzato un nuovo approccio in tema di «informazione ingannevole», nel tentativo di «limitare la diffusione di contenuti ingannevoli e potenzialmente dannosi». La nuova strategia consiste in un sistema di etichette, studiato per «fornire contesto e informazioni aggiuntive» riguardo messaggi falsi, fuorvianti o non verificati a tema Covid-19.

Le etichette sono di tre tipi e servono rispettivamente a segnalare la presenza di «affermazioni ingannevoli», «affermazioni contestate» e «affermazioni non verificate». Le etichette quando associate ad un tweet contengono un link a «fonti esterne fidate», ovvero testate giornalistiche di provata attendibilità, che forniscono informazioni aggiuntive e un contesto alle affermazioni considerate problematiche.

Come spiega Twitter nello stesso post dell’11 maggio, i contenuti a rischio sono scelti dal team di moderazione della società, che «sta sviluppando un sistema in grado di monitorare proattivamente i contenuti» e le sanzioni variano dalla semplice apposizione dell’etichetta (nel caso di contenuto non verificato, quindi non necessariamente falso), all’avviso riguardante la problematicità del contenuto prima di aprire il tweet (lo stesso meccanismo attuato nel caso del messaggio di Donald Trump giudicato «esaltazione di violenza«), fino alla rimozione del contenuto, nei casi più gravi.

Lo sforzo di Twitter è ufficialmente concentrato sulla lotta alla disinformazione riguardante il coronavirus, ma come spiegava il New York Times lo scorso 30 maggio, la portavoce di Twitter Liz Kelley ha lasciato intendere che la strategia possa essere estesa «ad altri argomenti».

Il sistema di etichette di Twitter in azione

Il primo vero assaggio della nuova linea di condotta è arrivato il 26 maggio e ha coinvolto ancora una volta il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

La prima applicazione delle etichette di Twitter riguarda un tweet in cui Trump definiva «sostanzialmente fraudolenta» la decisione del governatore della California (il democratico Gavin Newsom) di estendere l’utilizzo del voto via posta all’intera popolazione dello Stato, come risposta all’emergenza Covid-19. «Le cassette postali possono essere svuotate, i voti falsificati e persino stampati illegalmente» si leggeva nel tweet pubblicato da Donald Trump il 26 maggio e contrassegnato da Twitter con un’etichetta poche ore dopo.

L’etichetta recita «Get the facts about mail-in ballots» (in italiano, «scopri i fatti sul voto via posta») e contiene un link a una pagina creata appositamente da Twitter per raccogliere articoli e tweet riguardanti quella che la piattaforma definisce «un’affermazione infondata».

Nella lista aggregata da Twitter troviamo, tra gli altri, articoli di Cnn, Washington Post, Nbc e The Hill, insieme a messaggi pubblicati dagli account personali di giornalisti. Nella parte superiore della pagina compare una sintesi redatta da Twitter, che conclude: «Secondo gli esperti il voto via posta è molto raramente collegato a brogli elettorali».

Sempre nella stessa pagina Twitter ha annunciato un aspetto fino a quel punto inedito della nuova strategia, definendo l’attività di verifica delle informazioni «un tentativo di rafforzare la nostra strategia di integrità civica» finalizzato a verificare informazioni «che potrebbero confondere gli elettori». La nuova linea non si limiterà alle informazioni sul Covid-19, dunque, ma potrebbe occuparsi di verificare attivamente le affermazioni dei candidati alle elezioni presidenziali 2020.

Non solo Donald Trump

Donald Trump, in ogni caso, non è l’unico ad aver sperimentato la linea dura di Twitter. Secondo Reuters, il sistema di etichette e fact-checking è stato utilizzato per contrassegnare «migliaia di altri tweet» in pochi giorni, soprattutto messaggi riguardanti il Covid-19.

Tra i personaggi pubblici coinvolti dal nuovo processo di verifica di Twitter spicca il nome del portavoce del ministero degli Esteri cinese Lijan Zhao, che il 13 marzo aveva pubblicato un tweet circa una presunta origine negli Stati Uniti dell’epidemia di Sars-Cov-2. Il fact checking di Twitter (disponibile qui) è arrivato il 29 maggio, contrassegnato dall’etichetta «fai chiarezza in materia di Covid-19» e riporta articoli di Reuters e dichiarazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità.

L’altro personaggio pubblico finito nel mirino della verifica di Twitter è rapper americano Ice Cube, che il 27 maggio ha pubblicato un’immagine che ritrae Derek Chauvin, il poliziotto accusato della morte di George Floyd, mentre indossa un cappello inneggiante a Donald Trump. L’immagine si è rivelata un fotomontaggio e per provarlo Twitter ha utilizzato un articolo dei colleghi di Snopes.

In conclusione

La nuova strategia di Twitter per contrastare la disinformazione sulla piattaforma è ancora in fase di assestamento e non è del tutto chiaro quali temi finirà per coprire, ma il sistema di etichette e rimandi ipertestuali è stato studiato per unire la libertà d’espressione alla necessità di fornire un contesto informativo a messaggi «potenzialmente dannosi».

Tali messaggi sono selezionati da un team di moderazione che comprende giornalisti  (secondo quanto ha fatto sapere Twitter) e il fact-checking viene eseguito attraverso l’utilizzo di fonti giornalistiche, esterne e fidate. Donald Trump è stato il primo a sperimentare la nuova linea di Twitter, ma il processo di fact-checking è stato già applicato a migliaia di altri tweet (anche di segno opposto, come quello del portavoce del ministero cinese, con cui Trump ha ingaggiato da tempo un duello a distanza).

Il servizio è attivo a pieno regime dal 29 maggio e può interessare tweet pubblicati prima di quella data. Stando alle informazioni riportate dai media, il progetto è al momento gestito interamente da un team di moderazione centrale, che agisce su tweet provenienti da tutto il mondo, ma che per ora si è occupato di verificare solo messaggi scritti in lingua inglese. Non è chiaro da quante persone sia composto il team, ma secondo quanto riferito dalla portavoce di Twitter, non sono in programma ampliamenti di staff.

La decisione della società ha provocato la dura reazione di Trump, che ha emanato un ordine esecutivo per accostare le piattaforme di social network agli editori e renderli responsabili per i contenuti pubblicati (ma che secondo molti esperti non avrà risultati concreti). Il botta e risposta tra Twitter e Trump appare come l’inizio di una schermaglia destinata a durare almeno fino alle presidenziali americane, in programma il 3 novembre 2020.

Potrebbero interessarti
Segnala su Whatsapp