Il difficile rapporto di Indro Montanelli con la verità
di Simone Fontana
Nei giorni a cavallo tra i mesi di aprile e maggio 2020, il dibattito pubblico italiano è stato investito dall’onda d’urto delle manifestazioni organizzate in numerose città degli Stati Uniti per protestare contro razzismo e brutalità delle forze dell’ordine, seguite all’uccisione dell’afroamericano George Floyd per mano di un agente della polizia di Minneapolis, il 25 maggio 2020.
Come già accaduto negli Stati Uniti e nel Regno Unito, anche gran parte della stampa e dell’opinione pubblica italiana si è interrogata sui monumenti pubblici che ritraggono personalità ritenute simbolo di razzismo e oppressione coloniale. A fare le spese del rinnovato spirito critico sul tema della memorialistica pubblica, nel mondo anglosassone sono state le statue dedicate a Edward Colston – mercante di schiavi vissuto tra XVII e XVIII secolo, il cui monumento è stato rimosso dai manifestanti a Bristol il 7 giugno 2020, dando così il via alla riflessione globale sul ruolo dei simboli nelle strade delle nostre città – Cristoforo Colombo e numerosi leader sudisti della guerra civile americana.
Il dibattito italiano si è invece concentrato per lo più sulla figura di Indro Montanelli, giornalista da molti considerato tra i più importanti del Novecento, scomparso nel 2001 e ricordato a Milano da un monumento in bronzo dorato, eretto nel 2006 in un parco che porta il suo nome (i Giardini Indro Montanelli, appunto, lungo Corso Venezia a Milano). La vicenda, umana e professionale, che interessa Montanelli è complessa e particolarmente divisiva, perché incrocia molti punti della storia italiana su cui non esiste una memoria collettiva unanime.
Ma è la stessa figura storica di Montanelli a essere messa in discussione, accusata (spesso a ragione, come vedremo) di aver pubblicato storie imprecise, arricchite con particolari inesistenti e in taluni casi inventate di sana pianta.
Abbiamo raccolto le accuse che in questi giorni sono state mosse a Indro Montanelli, compresa quella che ha portato alcuni attivisti di Rete Studenti Milano a imbrattarne il monumento con della vernice rossa, il 13 giugno scorso: la violenza sessuale ai danni di una bambina eritrea di nome Fatima (ma che sarebbe stata ribattezzata “Destà” da Montanelli).
Le accuse professionali
Il dibattito circa l’opportunità di celebrare (o ricordare) la figura di Indro Montanelli con un monumento si è concentrato sull’integrità professionale del giornalista, dopo che il sindaco di Milano Beppe Sala ha dichiarato che la statua commemora «un grande giornalista, che si è battuto per la libertà di stampa».
Le accuse mosse al Montanelli giornalista sono di aver inventato alcune testimonianze – oculari o riportate da terzi – pubblicate nel corso della carriera. Si tratta di piccoli e grandi lavori di fantasia (in almeno un caso trattati come tali anche in aula di tribunale) che vanno a tratteggiare un profilo più complesso di quello dell’Indro Montanelli celebrato da Beppe Sala.
La testimonianza oculare (inventata) da Piazzale Loreto
Un esempio delle invenzioni di Montanelli è rappresentato dal racconto dell’esposizione dei corpi di Benito Mussolini e Claretta Petacci a Piazzale Loreto, che Montanelli descrisse con dovizia di particolari sia nella sua Storia d’Italia (opera storica di divulgazione in 22 volumi scritta con Roberto Gervaso e Mario Cervi) che nell’omonima serie di Dvd tratti dall’opera, precisando di essere stato presente sul luogo al momento dei fatti (minuto 0:39). In realtà, come ricostruito dalla storica Renata Broggini nel libro Passaggio in Svizzera. L’anno nascosto di Indro Montanelli, il giornalista si trovava al tempo in Svizzera e non avrebbe potuto essere testimone oculare degli eventi. Come confermato anche da Mario Cervi, amico e collega di Montanelli.
La falsa pista sulla morte dell’anarchico Pinelli
Un’altra testimonianza rivelatasi infondata è stata recentemente raccontata dalla famiglia di Giuseppe Pinelli, l’anarchico morto il 16 dicembre 1969 precipitando da una finestra della questura di Milano pochi giorni dopo la strage di piazza Fontana, di cui era stato in un primo momento accusato. Secondo quanto riportato su Facebook il 15 giugno da una delle figlie di Pinelli, Claudia, il 24 ottobre 1980 «Montanelli scrisse di aver saputo, undici anni prima, cioè subito dopo la strage di Piazza Fontana, che Giuseppe Pinelli fosse un informatore della polizia e avesse confidato al commissario Calabresi che gli anarchici stavano preparando ‘qualcosa di grosso’». Tale particolare, secondo la ricostruzione di Montanelli, avrebbe provocato il suicidio dell’uomo, terrorizzato all’idea di poter essere accusato di delazione.
Chiamato a testimoniare al processo di appello «Montanelli dovette più volte chiedere scusa, ammettere di essersi sbagliato, di aver capito male, di non essersi espresso bene, di essersi inventato di sana pianta particolari rilevanti» conclude Claudia Pinelli.
Tale dichiarazione trova conferma sulla stampa di quei giorni, e in particolare sull’Unità del 4 novembre 1980 (riportata nel post di Claudia Pinelli), che titolava «Sbugiardato Montanelli in aula a Catanzaro: “Non so nulla, ho sbagliato, chiedo scusa”». Secondo il racconto del quotidiano fondato da Antonio Gramsci, Montanelli aveva spiegato che quella rivelazione era frutto di «voci della questura» mal interpretate.
L’insabbiamento dei crimini di guerra italiani in Etiopia
Un’altra accusa mossa a Montanelli nei giorni della discussione sul monumento è stata quella di aver insabbiato i crimini di guerra italiani in Etiopia, dei quali Montanelli sarebbe stato testimone diretto. La storia risale alla disputa tra Indro Montanelli e lo storico Angelo Del Boca, che nel libro Il negus. Vita e morte dell’ultimo Re dei Re, pubblicato da Laterza nel 1995, sostenne che l’esercito italiano avesse fatto uso di armi chimiche su larga scala durante la campagna d’Etiopia. Il passaggio fu duramente contestato da Montanelli, che negò «da testimone» tale circostanza.
La verità fu rivelata nel febbraio 1996 dal generale Domenico Corcione, ministro della Difesa dell’allora governo Dini, che confermò la versione di Del Boca, fornendo documenti redatti dall’esercito italiano. Il gas iprite fu utilizzato dall’esercito fascista anche nella battaglia di Mai Ceu, combattuta dallo stesso Montanelli, che pochi giorni più tardi fu costretto ad ammettere la circostanza.
L’attivismo per la costruzione di un’organizzazione terroristica
L’ultima accusa mossa a Montanelli ha a che fare con il suo attivismo per la costituzione di un’organizzazione terroristica in chiave anticomunista. La vicenda è raccontata nel dettaglio in un articolo pubblicato da Ida Dominijanni su Internazionale il 23 giugno 2020 e prende le mosse da un carteggio svelato il 19 dicembre 1998 dalla rivista Italia Contemporanea. Le lettere ricostruiscono il rapporto epistolare intercorso nel 1954 tra Montanelli e l’allora ambasciatrice americana in Italia Clare Boothe Luce.
Nelle missive, Montanelli sollecita la costruzione di una organizzazione «terroristica e segreta», composta da «centomila bastonatori» reclutati «secondo la tecnica comunista delle cellule», graditi ai Carabinieri e preferibilmente fascisti e monarchici. Al tempo Montanelli temeva la vittoria del Partito Comunista (o di un più ampio «fronte popolare») e dopo la pubblicazione delle lettere dichiarò che tale organizzazione non avrebbe mirato al golpe, ma «per essere pronti a una nuova resistenza».
Le accuse di violenza sessuale
Un altro caso su cui Indro Montanelli ha raccontato versioni non sempre coerenti è quello che in questi giorni è tornato ad animare l’opinione pubblica e riguarda «l’acquisto» di una bambina eritrea «per stabilire con lei un rapporto sessuale» (secondo le parole utilizzate dallo stesso Montanelli in un articolo del 2000), durante il periodo in cui era arruolato nell’esercito fascista e impegnato nella campagna d’Etiopia, negli anni Trenta.
Lo stesso Indro Montanelli, nel corso della sua vita, ha raccontato più volte pubblicamente l’aneddoto. In una di queste occasioni, durante il programma televisivo Rai L’ora della verità nel 1969, Montanelli aveva parlato di una «fantastica ragazza bilena [dal nome del gruppo etnico bilen, ndr] di 12 anni» che avrebbe «regolarmente sposato, nel senso che l’avevo comprata dal padre».
Il contesto storico è quello del 1935-1936, quando Indro Montanelli si arruolò, ventiseienne, da volontario per partecipare alla guerra coloniale di Etiopia voluta da Benito Mussolini. Al tempo nelle colonie italiane era largamente praticato – com’è ormai chiaro agli storici – il cosiddetto “madamato”, ovvero l’usanza, non stabilita o regolata da nessuna legge, di stabilire una temporanea relazione more uxorio – convivenza stabile, ma senza aver contratto matrimonio – con donne indigene, possibilmente vergini, dopo il pagamento di un riscatto alla famiglia.
Una pratica simile sarebbe oggi considerata un crimine di guerra dalle Nazioni Unite, ma nella cultura italiana è stata inaugurata con l’inizio del colonialismo nel Corno d’Africa (1870) quando, per far fronte all’alto numero di malattie veneree contratte dai soldati nei bordelli, gli ufficiali erano incoraggiati ad avere rapporti sessuali monogami con donne africane. Per fermare la violenza sessuale sulle donne africane nelle colonie italiane non basteranno le testimonianze delle vittime, ascoltate anche in una commissione d’inchiesta avviata dal Regno d’Italia nel 1891, ma ci penserà il razzismo: la pratica del madamato fu infatti resa illegale solo il 19 aprile del 1937, con l’emanazione delle leggi razziali in Italia, volute da Mussolini per «proteggere la purezza della razza italiana».
Nonostante il madamato fosse pratica comune tra i soldati, la consuetudine era condannata già da alcuni contemporanei, come riportato in una testimonianza di Ferdinando Martini, primo governatore civile dell’Eritrea dal 1897 al 1907, che ha definito il madamato «un inganno nei riguardi della donna nativa».
Quanto alla pedofilia, l’atteggiamento dell’opinione pubblica, in epoca fascista, non era dissimile da quello che si riscontra ai giorni nostri. Prova ne è la vicenda giudiziaria di Gino Girolimoni, falsamente accusato di essere «il mostro di Roma» e di aver violentato e ucciso cinque bambine negli anni Venti. L’uomo fu vittima di una violenta campagna giornalistica e, nonostante la successiva caduta di tutte le accuse, «Girolimoni» è stato a lungo utilizzato nella lingua italiana come sinonimo di «pedofilo»
Montanelli ritornerà più volte sulla storia del «matrimonio» africano. Nel 1982, nel corso di un’intervista rilasciata a Enzo Biagi per la trasmissione televisiva Rai «Questo secolo» definisce la bambina, chiamata in quell’occasione “Fatima”, «un animaletto docile» e racconta di averla acquistata per 500 lire, «insieme a un cavallo e a un fucile». Per giustificare la tenera età della sua «sposa», Montanelli sostiene che «a quell’età in Africa sono già donne» e di non prenderlo, dunque, «per un Girolimoni».
L’ultima testimonianza di Montanelli sull’argomento è però anche la più cruda. Ne parla ne «La stanza di Montanelli» (rubrica pubblicata dal Corriere della Sera) del 12 febbraio 2000. Qui Montanelli racconta di aver «contrattato per tre giorni con il padre della ragazza» sul prezzo, prima di ottenerla per 350 lire. «Una specie di leasing», aggiunge il giornalista, che questa volta stabilisce in 14 anni l’età della «moglie» e la chiama «Destà». Nell’articolo Montanelli fornisce particolari crudi e particolarmente violenti circa i rapporti sessuali avuti con la bambina.
Il rapporto tra i due, sempre secondo Montanelli, si concluse poco prima del ritorno di Montanelli in Italia, quando uno dei soldati al suo seguito chiese Fatima/Destà in sposa. Quando Montanelli tornò in Etiopia, nel 1952, racconta di aver fatto visita alla coppia di cui aveva benedetto l’unione, per scoprire che «avevano tre figli, di cui il primo si chiamava Indro».
Le testimonianze di Montanelli riportate sono le uniche esistenti sulla vicenda e, seppur con alcune discrepanze anagrafiche, rappresentano una fonte diretta dei fatti. Come abbiamo avuto modo di vedere, comunque, le dichiarazioni di Montanelli non sono sempre state esenti da critiche, risultando spesso inventate di sana pianta o arricchite con particolari sospetti.
In conclusione
Indro Montanelli ha sempre avuto un rapporto piuttosto difficile con la verità. Tale tratto caratteriale è stato evidenziato dai critici, ma anche da amici e colleghi, che non hanno mai nascosto l’esistenza di storie inventate dal giornalista.
Nonostante sia da molti considerato uno dei più grandi giornalisti del Novecento, Montanelli ha pubblicato informazioni false in almeno tre distinte circostanze (testimonianza oculare da Piazzale Loreto, rivelazioni sulla strage di Piazza Fontana e uso di armi chimiche in Etiopia), tramandando un’eredità controversa.
Quanto alla vicenda del «matrimonio» con la piccola Fatima/Destà, recentemente tornato alla ribalta dell’opinione pubblica, Montanelli non hai mai fatto mistero del suo passato di madamato in Africa, raccontando anzi in prima persona la vicenda dell’acquisto di una bambina (di 12 o 14 anni, secondo le versioni discordanti fornite dal giornalista) con il fine di avere rapporti sessuali. La difesa del giornalista verte, più che sulla contestualizzazione storica invocata in un articolo di Beppe Severgnini sul Corriere, su quella culturale («a quell’età in Africa sono già donne»).
L’unica fonte che ci permette di conoscere la vicenda è tuttavia la testimonianza diretta di Montanelli, spesso incoerente e non sempre affidabile.
Gustavo Micheletti
Certo, è vero che in certe occasioni Momtanelli abbia integrato la verità con una buona dose d’immaginazione, aggiungendo spesso dettagli insussistenti. Anche nella vicenda con la ragazzina Eritrea, ho il sospetto che riguardo alla consumazione effettiva di quel matrimonio abbia un po’ inventato per dovere di ufficio.
Giorgio Ardito
Sarebbe utile anche una ricerca sul difficile rapporto con la verità (e la correttezza verso i colleghi) di Oriana Fallaci.
Per Feltri, essendo ancora presente e operante, si attenda pure.
Andrea La Rosa
Oriana Fallaci è stata una grande giornalista, contestiamo pure lei?
Solo per le sue idee, che magari non ci piacciono o sono scomode?
Maria Pugliatti
Da tutto ciò che ho letto e sentito ho capito che Montanelli come uomo non è stato un granché. Non lo so se è stato un grande giornalista, come molti dicono, ma ne dubito per il poco rispetto mostrato per la verità dei fatti. Un giornalista che inventa storie dovrebbe darsi alla narrativa e non al giornalismo che è tutt’altra cosa
Andrea
Sarebbe opportuno citare le fonti, e renderle disponibili. Visto che ci sono libri che “sbugiardano” Montanelli, affermazioni che lo accusano di questo e di quello, e altrettante fonti che sbugiardano chi lo accusa. Ricordiamoci la lotta senza quartiere politica di cui è stato protagonista e anche vittima. Se colpevole va dimostrato dati alla mano, non ci si può fidare alla cieca di chi era o si considerava tale, il suo nemico politico. Lo dico perchè ho già visto alcune di queste accuse cadere come pere cotte andando a verificare.
Michele
Mentre leggevo il vostro articolo, la mia iniziale sorpresa si è trasformata in disagio, come se a quell’articolo fosse stata tagliata la parte finale, quella dove si ristabilivano peso e spessore del personaggio. Invece niente; alla fine il senso di tutto è: Montanelli era un bugiardo. E quale migliore pezza d’appoggio, della conferma di ciò del più stretto collaboratore di Montanelli, Mario Cervi? Sono andato a cercarle, le parole di Cervi. Le ho lette come le avrete lette anche voi, e non posso credere che, come me anche voi non riteniate che il suo pensiero su quei fatti vada ben oltre.
“…affrontato da una Broggini munita di pezze d’appoggio cartacee, e invitato a discolparsi, avrebbe sorriso e ammesso: sì, qualche volta sono stato un bugiardo”
Ancora: “…non era a Milano nei giorni della liberazione, e non poteva avere visto i corpi appesi di Piazzale Loreto, ma il racconto montanelliano, così come i suoi ritratti, resta genuino, autentico, impeccabile nelle linee generali, che sono quelle che contano”
E infine: “…a fatica [la Broggini] ha voluto documentare qualcosa che agli ammiratori di Montanelli importa moderatamente… e ogni suo [di Montanelli] brandello di reminiscenza e ogni sua virgola regge alla prova dei ricercatori”. Questi pensa Mario Cervi sul difficile rapporto do Montanelli con la verità.
E invece siamo riusciti a rinchiuderlo nella definizione di bugiardo, e pure con la conferma del più antico e solidale collaboratore e collega.
Ma vi chiedo: è stati davvero e soltanto questo?
Aldo Cesare
Il “grande giornalista” e “grande maestro” dai molti allievi-imitatori ancora in “commercio” (commerciano la verità) Indro Montanelli non è stato un mistificatore della verità nei suoi lunghi anni di “giornalista”. E’ stato un manipolatore di uomini, – quelli che si definiscono suoi allievi sono solo complici, – oltre che della materia della sua professione, anche come scrittore. Ha sempre fatto della sua indubbia intelligenza, delle sue capacità e per molti anni del suo “potere”, giornalistico e di opinion maker, un uso politico spregiudicato sempre contro i più deboli, che si chiamassero “comunisti”, classe operaia, movimento studentesco o semplicemente “di sinistra”. E’ innegabile che sia rimasto sempre fascista, fino alla morte. E quelli che lo hanno sempre difeso e sostenuto sono ancora oggi non complici del fascismo, ma fascisti dentro, profondamente fascisti dentro.