Il 23 giugno 2021 la redazione di Facta ha ricevuto una segnalazione che chiedeva di verificare l’informazione secondo cui la Chiesa cattolica non pagherebbe l’Imu, l’imposta comunale unica italiana sul possesso dei beni immobili istituita con il d.lgs. 14 marzo 2011 n. 23.
Si tratta di una notizia imprecisa.
Attualmente la Chiesa cattolica paga quanto dovuto allo Stato italiano per i suoi immobili: secondo i dati diffusi da Apsa (l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, l’ente che gestisce materialmente gli edifici), l’esborso per l’anno 2018 è stato di 9,2 milioni di euro, cifra calata a 5,7 milioni nel 2019 e a 5,9 milioni nel 2020.
Il Vaticano ha insomma sicuramente pagato diversi milioni Imu negli ultimi anni, ma non è sempre stato così. Prima che esistesse l’Imu, l’imposta sugli immobili era l’Ici (imposta comunale sugli immobili). Il regime di esenzione per alcuni edifici, tra cui quelli della Chiesa, previsto (art. 7) dalla legge che disciplinava l’Ici era particolarmente complesso e originava spesso contenziosi giudiziari. Nel 2004 la Cassazione diede infine un’interpretazione restrittiva della legge, non dando l’esenzione a quei beni immobili che avessero avuto natura «oggettivamente commerciale». Nel 2005 il governo Berlusconi III modificò la legge, per dare l’esenzione anche a tutti quegli edifici che non avessero «esclusivamente natura commerciale».
In base a tale modifica, come hanno spiegato nel 2019 i colleghi di Pagella Politica, praticamente qualsiasi attività commerciale gestita da religiosi avrebbe avuto diritto all’esenzione dall’imposta, anche se nata con il fine di generare profitto. La disciplina – che continuava a causare numerosi ricorsi nei tribunali – fu modificata solo nel 2012 dal governo Monti, che limitò l’esenzione alle attività non commerciali (decreto-legge n.1 del 24 gennaio 2012).
I vari ricorsi causati dalla normativa del 2005 avevano alla fine portato a un intervento dell’Unione europea, che nel 2012 ha stabilito che la modifica voluta da Berlusconi rappresentasse un illegittimo aiuto di Stato, ma che la somma dovuta dal Vaticano all’Italia non fosse quantificabile e quindi non andasse recuperata. L’ultima parola è però arrivata nel 2018 dalla Corte di Giustizia Ue – l’organo che si occupa di garantire che il diritto dell’Unione europea venga interpretato e applicato allo stesso modo in ogni Paese europeo – che con una sentenza del 6 novembre ha stabilito che l’Italia non avesse dimostrato sufficientemente di non poter recuperare il dovuto e dunque che quei soldi andassero riscossi.
In base a questa sentenza, nel 2019 la Commissione europea ha chiesto all’Italia di recuperare il totale dovuto tra il 2006 e il 2011 (gli anni dell’esenzione votata dal governo Berlusconi III), suggerendo alcune strategie per calcolare la cifra non riscossa, come ad esempio imporre a tutti gli interessati un «obbligo di autocertificazione» oppure prevedere un sistema di «controlli in loco tramite gli organi ispettivi»
Come hanno spiegato i colleghi di Pagella Politica, ad oggi lo Stato italiano non è ancora riuscito a quantificare l’Ici arretrata, che resta dunque una pendenza della Santa Sede nei confronti dell’Italia.