Il 6 gennaio del 2021 – mentre era in corso la certificazione del voto delle elezioni presidenziali del 2020 vinte dal democratico Joe Biden – una folla di sostenitori di Donald Trump ha assaltato il Campidoglio a Washington D.C., penetrando all’interno dell’edificio e occupando l’aula del Senato.
Il bilancio finale di quella giornata è stato tragico: cinque persone decedute e centinaia di feriti tra agenti e manifestanti. Secondo gli esperti, tuttavia, poteva andare persino peggio: in un paio di occasioni gli assalitori sono arrivati pericolosamente vicini ad alcuni parlamentari.
Per il giornalista del New York Times Peter Baker, l’assedio al Campidoglio è stato «al 100 per cento prevedibile e al 100 per cento inimmaginabile». Da un lato era stato ampiamente annunciato sia nelle manifestazioni che hanno preceduto il 6 gennaio, sia sui social network; dall’altro, vederlo succedere è stato comunque sconvolgente.
Proprio per questo, rifletteva a caldo la storica Joanne Freeman, «gli americani non riescono a trovare le parole per descrivere ciò che è accaduto». E in effetti, quell’attacco è stato descritto in molti modi diversi: un’insurrezione, una rivolta, un tentato colpo di Stato, un autogolpe o persino una tranquilla manifestazione di “patrioti”.
A tre anni di distanza, la memoria collettiva su quell’evento resta incerta e divisa. Un recente sondaggio del Washington Post e dell’Università del Maryland ha rilevato che il 55 per cento del campione è convinto che il 6 gennaio sia stato «un attacco alla democrazia che non dovrebbe mai essere dimenticato». Il 43 per cento, tuttavia, ritiene che l’importanza dell’assedio sia «esagerata» e che sia arrivato il «tempo di passare oltre».
Di sicuro le conseguenze politiche e processuali si fanno sentire ancora oggi, e sono al centro della campagna elettorale per le presidenziali del 2024: vediamole insieme.
Cosa hanno stabilito i processi e la commissione parlamentare d’inchiesta Secondo gli ultimi dati riportati dal dipartimento della Giustizia statunitense, più di 1.200 persone sono state incriminate per l’assedio al Campidoglio. «Si tratta della più estesa e importante inchiesta che il Dipartimento abbia mai intrapreso», ha detto nel 2022 il procuratore generale degli Stati Uniti Merrick Garland.
I reati contestati sono molti, tra cui resistenza a pubblico ufficiale, ostruzione di una procedura ufficiale, danneggiamento, detenzione di armi pericolose, furto di oggetti di proprietà governativa, invasione di edifici federali. A dicembre del 2023 le persone che hanno patteggiato una pena detentiva sono 714, mentre 138 sono state condannate al termine di un processo.
Uno dei processi più significativi ha riguardato quattro esponenti di punta dei Proud Boys, un gruppo di estrema destra – classificato come «gruppo terroristico» in Canada – che ha avuto un ruolo cruciale nell’assedio del 6 gennaio, come dimostrato da inchieste giornalistiche e giudiziarie. Il 4 maggio del 2023 un tribunale di Washington D.C. ha ritenuto colpevoli del reato di sedizione Enrique Tarrio – che è stato a lungo il capo del movimento – Ethan Nordean, Joseph Biggs e Zachary Rehl.
Tarrio, in particolare, è stato condannato a 22 anni di carcere nonostante non fosse fisicamente presente in piazza: il 4 gennaio del 2021 era stato arrestato per possesso illegale di caricatori ad alta capacità e allontanato da Washington D.C. L’accusa è però riuscita a dimostrare il suo ruolo di coordinatore e principale ispiratore delle violenze, necessario affinché possa configurarsi la sedizione.
Il reato viene infatti definito come una cospirazione tra due o più persone per «rovesciare, abbattere o distruggere con la forza il governo degli Stati Uniti», ma è raramente perseguito vista la difficoltà di provarlo in un dibattimento giudiziario. In un procedimento separato, un altro membro dei Proud Boy – Dominic Pezzola – è stato assolto dall’accusa di sedizione poiché non è stato ritenuto una figura apicale dell’organizzazione.
L’assedio al Congresso è stato anche l’oggetto di una commissione parlamentare d’inchiesta che ha concluso i lavori nel dicembre del 2022, dopo aver sentito oltre 1200 testimoni ed esaminato decine di migliaia di documenti di vario tipo.
Il rapporto finale – lungo oltre 800 pagine – ha stabilito che l’attacco al Congresso è stato il punto culminante di un «piano per rovesciare il risultato delle elezioni presidenziali del 2020». La causa prevalente dell’assedio è stata «l’ex presidente Donald Trump con i suoi seguaci». Senza di lui, si legge nel documento, «nessuno degli eventi del 6 gennaio sarebbe avvenuto».
Nelle conclusioni, la commissione aveva anche raccomandato al dipartimento di Giustizia di indagare Trump per quattro reati. Il primo agosto del 2023 l’ex presidente è stato effettivamente incriminato con quattro capi d’accusa: cospirazione per commettere frode contro gli Stati Uniti; cospirazione per intralciare un procedimento ufficiale (ossia la certificazione del voto); tentativo di influenzare i testimoni; cospirazione contro i diritti dei cittadini, ai quali sarebbe stato impedito di veder contati i propri voti.
Le pene per questi reati sono piuttosto alte, e alcuni arrivano fino a un massimo di 20 anni di reclusione. La prima udienza è fissata per il 4 marzo del 2024, ma la difesa di Trump sta cercando di ritardare il più possibile l’inizio del procedimento.
Il revisionismo trumpiano e repubblicano sull’assedio al Congresso Il coinvolgimento di Trump nell’assedio è anche il motivo per cui due Stati, il Maine e il Colorado, hanno deciso di escluderlo dalle primarie repubblicane.
La Corte Suprema del Colorado e la Segretaria di Stato del Maine Shenna Bellows ritengono che l’ex presidente abbia violato la sezione 3 del 14esimo emendamento, una norma risalente alla guerra civile americana che impedisce di ricoprire incarichi ai funzionari pubblici che abbiano partecipato a un’«insurrezione» o una «ribellione» contro lo Stato.
Il 3 gennaio del 2024 Trump ha fatto ricorso alla Corte Suprema degli Stati Uniti – ad ampia maggioranza conservatrice – contro le decisioni dei due Stati.
Per il resto l’ex presidente non solo respinge tutte le accuse definendole una «caccia alle streghe», ma è il principale promotore di teorie del complotto revisioniste sull’assedio al Congresso – un evento che è stato in primo luogo causato da notizie false su presunti «brogli» e miti complottisti.
In più di un’occasione Trump ha detto che gli assalitori non erano suoi sostenitori, lasciando intendere che fossero infiltrati dell’FBI o degli antifascisti mascherati da trumpiani. In maniera non troppo coerente ha poi difeso gli imputati descrivendoli come degli «ostaggi» ingiustamente incarcerati e ha promesso loro la grazia in caso di vittoria alle elezioni del 2024.
Il candidato repubblicano ha anche rilanciato teorie cospirazioniste su Ashli Babbit, la manifestante uccisa da un agente della polizia del Campidoglio mentre stava per raggiungere un gruppo di deputati. L’estrema destra sostiene che Babbit sia una martire assassinata dai democratici per dare una lezione ai «patrioti». Lo stesso Trump, per l’appunto, ha ventilato l’infondata ipotesi che l’agente che ha sparato appartenesse alla scorta di qualche politico democratico.
Più in generale, gran parte del Partito Repubblicano ha ormai sposato una linea revisionista sull’assedio. Nel maggio del 2021, ad esempio, il deputato Andrew Clyde ha dichiarato che quella del 6 gennaio del 2021 per certi versi è stata una «normale gita turistica». Nel 2022, intervenendo nella trasmissione dell’ex consulente strategico di Trump Steve Bannon, la deputata Marjorie Taylor Greene ha minimizzato le violenze dicendo che si è trattata «soltanto di una rivolta», aggiungendo poi che «la nostra Dichiarazione di Indipendenza dice che si possono rovesciare i tiranni».
Le pochissime voci dissenzienti, come quella dell’ex deputata Liz Cheney (una dei due parlamentari repubblicani che ha fatto parte della commissione d’inchiesta) o del senatore Mitt Romney (ex candidato repubblicano alle presidenziali del 2012), sono invece emarginate e ridicolizzate.
L’obiettivo del revisionismo sembra essere quello di minimizzare le violenze avvenute quel giorno e negare la responsabilità di Donald Trump.
Gli altri “6 gennaio” nel mondo Al di là delle ripercussioni interne, l’impatto del 6 gennaio è stato globale. Come ha detto il giornalista britannico Martin Wolf, l’assalto al Campidoglio ha reso «incredibilmente visibile la crisi della democrazia americana».
Al tempo stesso, sostiene un articolo di Brian Hughes Cynthia Miller-Idriss pubblicato nel maggio del 2021 sulla rivistaCTC Sentinel, l’attacco al Campidoglio è un «simbolo unificante» per l’estrema destra di tutto il mondo, nonché «l’esempio di una vittoria sfiorata e ancora possibile da raggiungere».
Non a caso, negli ultimi tre anni sono stati tentati svariati assedi a parlamenti o sedi sensibili (come quelle sindacali) – spesso e volentieri nell’ambito di proteste contro le restrizioni sanitarie. È successo in Germania, in Australia, in Nuova Zelanda, in Bulgaria, in Romania e anche in Italia con la devastazione della sede della Cgil.
L’assedio più simile è indubbiamente quello avvenuto a Brasilia, in Brasile, l’8 gennaio del 2023. Dopo le elezioni vinte regolarmente da Lula, migliaia di sostenitori dell’ex presidente Jair Bolsonaro hanno occupato il Congresso federale, il palazzo presidenziale e la sede della Corte Suprema (tutti e tre gli edifici erano vuoti in quel momento).
Com’era successo nel 2021 a Washington D.C., i manifestanti hanno danneggiato il mobilio, rubato vari “trofei” (tra cui le toghe e una copia della Costituzione federale) e occupato gli scranni del Senato, sospinti anche in questo caso da teorie complottiste e notizie false su inesistenti brogli che avrebbero “rubato” la vittoria a Bolsonaro.
In altre parole, l’assedio al Congresso statunitense è diventato un vero e proprio modello insurrezionale da cui prendere ispirazione. E un’eventuale vittoria di Donald Trump nel 2024 potrebbe lanciare un messaggio devastante: perché a quel punto cercare di rovesciare un’elezione e istigare i propri sostenitori alla violenza non sarebbe visto come un crimine, ma come una legittima strategia per conquistare il potere.