Con Javier Milei il negazionismo climatico è arrivato al potere in Argentina - Facta
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Con Javier Milei il negazionismo climatico è arrivato al potere in Argentina

di Antonio Scalari

Nei primi giorni di agosto del 2023 a Buenos Aires i termometri segnavano 30 °C, una temperatura massima molto più elevata di quella che di norma si registra nella capitale argentina in quel periodo dell’anno, cioè circa 18 °C. Una differenza maggiore di dieci punti. A queste latitudini, nell’emisfero meridionale della Terra, agosto è ancora un mese invernale, l’equivalente del nostro febbraio. Buenos Aires è abbastanza lontana dall’equatore da avere un clima caratterizzato da una chiara stagionalità e gli inverni, sebbene siano miti, sono più freschi delle estati. Durante i primi giorni di agosto dell’anno scorso Buenos Aires era in piena estate.

Da agosto a settembre del 2023 un’ondata di calore ha investito diversi territori di Paraguay, Brasile, Cile e Argentina, con temperature di 10-20 °C superiori alle medie stagionali. Ciò avveniva dopo che nel mese precedente altre ondate di calore avevano attraversato l’emisfero opposto, in Nord America, Europa e Asia. Mezzo mondo è stato scosso dal calore estremo, nell’anno che è diventato il più caldo finora registrato, come hanno confermato, tra gli altri, la Nasa, l’Organizzazione meteorologica mondiale e il programma europeo di osservazione della Terra Copernicus.

Lo scorso 10 ottobre un’analisi dell’ondata di calore che ha colpito il Sud America è stata pubblicata sul sito di World Weather Attribution (WWA), una collaborazione internazionale di esperti che analizzano eventi meteo-climatici, come ondate di calore, siccità e piogge, per valutare quanto il riscaldamento globale influenzi la loro probabilità e intensità. Grazie a questo settore della ricerca climatologica, noto come scienza dell’attribuzione, possiamo vedere l’impronta delle emissioni di gas serra sul clima della Terra. Gli scienziati del WWA hanno calcolato che il cambiamento climatico ha aumentato di 100 volte la probabilità di un evento come l’ondata di calore sudamericana dei mesi precedenti.

Appena due giorni prima dell’uscita di questo studio, in un dibattito televisivo organizzato durante la campagna per le presidenziali in Argentina, Javier Milei, economista, deputato e candidato alla presidenza per la coalizione La Libertad Avanza, ha dichiarato che «tutte quelle politiche che incolpano gli esseri umani per il cambiamento climatico sono false». Inoltre, in quella stessa occasione, ha sostenuto che «nella storia della Terra c’è un ciclo delle temperature». Come dire, “il clima è sempre cambiato”, un argomento che ricorre con una certa frequenza nelle posizioni dei negazionisti climatici. In seguito alla sua vittoria alle elezioni presidenziali del 22 ottobre 2023, possiamo affermare che anche l’attuale presidente dell’Argentina è un negazionista climatico. 

Alle radici del negazionismo
Le posizioni di Milei sul clima non possono essere comprese se non alla luce del suo pensiero politico. Commentatori e giornalisti hanno definito la sua ideologia, e quella del movimento di cui è tuttora il leader, il Partido Libertario, con diverse etichette: ultraliberismo, populismo, estrema destra, ultraconservatorismo, paleolibertarismo, minarchismo (ideologia dello Stato minimo). Milei si è proclamato anarco-capitalista. Il termine, alle orecchie di chi non lo ha mai sentito, può suonare esotico e vagamente contraddittorio. Se si pensa alle divisioni ideologiche e alle categorie politiche a cui siamo abituati, anarchismo e capitalismo sono parole inconciliabili. Ma non nel retroterra culturale da cui scaturisce la visione del mondo di Milei, cioè quel libertarismo, o “paleolibertarismo”, che si considera l’erede del liberalismo classico ottocentesco. Perciò, per orientarsi in questa terminologia, è necessario chiarire il suo significato e la sua origine.

Negli Stati Uniti, dove queste correnti hanno conosciuto un particolare sviluppo, la definizione di libertarian è stata rivendicata da chi non voleva confondersi con i liberal, cioè i seguaci del liberalismo progressista e rooseveltiano che oggi trova dimora nel Partito Democratico americano. L’invenzione del termine “anarco-capitalista” viene attribuita a Murray Rothbard, un economista scomparso nel 1995 e seguace della scuola “austriaca”, una corrente economica eterodossa. In sostanza, l’anarco-capitalismo immagina un’utopia in cui ogni servizio e ambito della società è privatizzato e la vita collettiva si organizza attorno agli individui, alle famiglie, alle comunità locali o, perfino, a comunità private. In questa società lo Stato moderno è un’entità di fatto inesistente. Per gli anarco-capitalisti lo Stato è il nemico, della proprietà privata innanzitutto, responsabile di ogni male sociale e di ogni indebita ingerenza nella vita degli individui e nei loro affari.

Negli ultimi anni della sua vita Rothbard, insieme ad altri, iniziò a definirsi “paleolibertario”, per distinguere il proprio brand di libertarismo da quello dei libertari di mentalità troppo progressista. Libertari, dunque, ma paleo, cioè di vecchio stampo, che non vogliono avere nulla a che spartire con quelli nuovi e, tantomeno, con gli anarchici di sinistra, egualitari e collettivisti. Non di rado, infatti, la loro visione anarchico-individualista si sposa con posizioni conservatrici e tradizionaliste su temi come l’aborto e il matrimonio.

Murray Rothbard è una figura importante per Javier Milei. Più di ogni altra cosa, lo testimonia il fatto che uno dei suoi cinque cani, tutti cloni di un esemplare morto nel 2018 e al quale era molto affezionato, è stato battezzato Murray. Rothbard è in effetti centrale anche per il pensiero di cui stiamo parlando. Nel 1977, insieme all’attivista Ed Crane e all’industriale Charles Koch, l’economista contribuì alla fondazione del Cato Institute, un think tank di orientamento libertarian. I fratelli Charles e David Koch (scomparso nel 2019) sono gli esponenti più celebri di una famiglia proprietaria di un impero industriale con attività in diversi settori, compreso quello petrolifero. Nel libro “Kochland: The Secret History of Koch Industries and Corporate Power in America, uscito nel 2019, il giornalista investigativo Christopher Leonard ha ricostruito la storia delle Industrie Koch e ha documentato l’influenza che per decenni hanno esercitato sulla politica americana. Con il loro sostegno politico ed economico a organizzazioni libertarian e conservatrici, come il Cato Institute, i Koch hanno svolto un ruolo di primo piano nella difesa degli interessi del settore petrolifero e nell’opposizione alle regolamentazioni sui gas serra, ostacolando così gli sforzi per contrastare il cambiamento climatico.

Questo think tank è solo una delle molte organizzazioni libertarian che si sono interessate al cambiamento climatico. Con l’obiettivo di negarlo. Lo hanno fatto anche coinvolgendo esperti, o più spesso pseudoesperti, nel tentativo di dare una patina di credibilità scientifica alle tesi negazioniste. Il Cato Institute è parte di un mondo in cui l’ascesa di Javier Milei è vista come un’opportunità per allargare la finestra delle idee politiche accettabili. Questo è infatti membro dell’Atlas Network, una rete internazionale che comprende più di 500 organizzazioni libertarian, in 100 Paesi. Tra queste, in Argentina, c’è la Fundación Libertad y Progreso, un think tank in cui Milei è di casa.

A questo punto, dovrebbe essere chiaro il collegamento tra il pensiero del nuovo presidente dell’Argentina e il negazionismo climatico: riconoscere la realtà del riscaldamento globale e delle sue cause antropiche significa ammettere la necessità di politiche che, pur non eliminando né il capitalismo né il libero mercato, scoraggino alcune attività o l’uso di certe tecnologie o prodotti (in questo caso, i combustibili fossili) e promuovano delle alternative. Nella seconda metà del XX secolo, per risolvere problemi come le piogge acide e il buco nello strato di ozono, sono state introdotte  alcune regolamentazioni, sia a livello nazionale che globale, che si sono dimostrate efficaci. Tutto ciò non solo mette in discussione alcuni interessi economici, ma diventa anche una minaccia ideologica per chi coltiva una visione addirittura anarco-capitalista. Perciò, la negazione del cambiamento climatico finisce per coincidere con la difesa a oltranza di un’ideologia per la quale il presunto statalismo, che vizierebbe le politiche climatiche, è un problema mille volte più allarmante dell’aumento della temperatura della Terra. 

Non è un caso che, negli ultimi anni, il cambiamento climatico sia stato risucchiato nelle cosiddette “guerre culturali”. In un articolo intitolato “Climate Science as Culture War(in italiano, “La scienza del clima come guerra culturale”), Andrew J. Hoffman, docente all’Università del Michigan, ha scritto che «il riconoscimento del consenso scientifico [sul cambiamento climatico] è ora visto come un allineamento con visioni liberali coerenti con le altre questioni “culturali” divisive come l’aborto, il controllo delle armi, l’assistenza sanitaria e l’evoluzione». In questo passaggio Hoffman si riferisce alla situazione negli Stati Uniti, ma queste considerazioni potrebbero essere applicate altrove. Questa «divisione partigiana» sul cambiamento climatico, aggiunge Hoffman, non esisteva negli anni ’90 e si è acuita in seguito all’approvazione del Protocollo di Kyoto del 1997, quando il tema è iniziato a diventare politicamente più caldo. Oggi, in certe polemiche contro il “politicamente corretto”, finisce qualche volta anche il cambiamento climatico, preso di mira come bandiera progressista.

Un’eco di tutto questo si ritrova anche nei discorsi di Milei. Durante la campagna elettorale il candidato di La Libertad Avanza ha definito il cambiamento climatico una «bugia socialista» e ha dichiarato di rigettare l’Accordo di Parigi sul clima perché non crede nel «marxismo culturale», un’espressione che evoca trame progressiste, globaliste e “politicamente corrette”. Ha manifestato antipatia anche per l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, un tema che ricorre in un certo complottismo.

Il radicalismo di Milei (tra le sue varie proposte c’è stata anche l’abolizione della Banca Centrale) è accentuato da uno stile pubblico istrionico, aggressivo e decisamente fuori dagli schemi, almeno per gli standard di una qualsiasi democrazia. Milei è diventato popolare come personalità mediatica e ospite di programmi televisivi dove è stato protagonista di accesi battibecchi, in cui non ha risparmiato insulti verso gli interlocutori. Ha fatto affermazioni giudicate revisioniste sulle vittime della dittatura militare che ha represso l’Argentina dal 1976 al 1983 e si è detto, in linea di principio, favorevole al mercato privato di organi.


Una motosega sulla scienza
L’ascesa e il trionfo di una personalità eccentrica come Milei vanno letti sullo sfondo della situazione di un Paese, l’Argentina, che da anni oscilla sull’orlo di un baratro economico, segnata da un’economia stagnante, un debito pubblico fuori controllo, una mostruosa inflazione che è schizzata a valori a tre cifre e un’opinione pubblica inferocita nei confronti della “casta politica”. Milei è stato percepito dalla maggioranza degli elettori come l’uomo giusto per voltare pagina. Tra le bizzarrie che hanno costellato la sua marcia verso la presidenza, ce n’è una che è una metafora politica. Il 12 settembre 2023, durante un evento elettorale nella città di La Plata, il candidato libertario si è presentato agitando in aria una motosega. Lo strumento era un inequivocabile simbolo della futura cura dimagrante che sarebbe toccata al governo. Il 10 dicembre, lo stesso giorno del suo insediamento, è stato pubblicato il decreto con cui il neopresidente ha dimezzato il numero dei ministeri, che sono passati da 19 a 8. Tra i dicasteri non sopravvissuti ci sono quello della Scienza, tecnologia e innovazione e quello dell’Ambiente e sviluppo sostenibile.

Le ricette di Milei per sgonfiare la spesa pubblica hanno suscitato reazioni negative nella comunità scientifica argentina, preoccupata dalla prospettiva che i tagli possano non risparmiare nemmeno il Conicet, la principale Agenzia scientifica pubblica del Paese, l’equivalente del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) italiano. Come riportava il 20 novembre 2023 la rivista scientifica Science, Milei ha accusato il Conicet di essere improduttivo e ha sostenuto che andrebbe eliminato o ridotto, per «ripulire lo sporco» lasciato da «quegli scienziati che scrivono cose stupide». Ha chiamato i ricercatori gnocchi, un termine dispregiativo usato per quegli impiegati pubblici considerati fannulloni. Proprio in questi giorni molti di loro sono in agitazione.

La motosega sulla scienza è anche quella che l’ideologia a cui si ispira Milei vorrebbe calare su evidenze accumulate in decenni di ricerca sul clima. Nell’ottobre del 2021, durante un dibattito televisivo, Milei ha detto che se si guardano gli studi si vede che «la temperatura del pianeta è al livello minimo» da 10 mila anni. L’affermazione è falsa. Secondo l’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), la temperatura superficiale della Terra è aumentata più velocemente dal 1970 ai giorni nostri che in qualsiasi altro cinquantennio negli ultimi 2000 anni. Le temperature del decennio 2011-2020, scrive l’Ipcc, «sono più calde rispetto a quando è iniziata una tendenza al raffreddamento circa 6500 anni fa». Per trovare evidenze di temperature globali più alte di oggi, su scala pluri-secolare, bisogna probabilmente andare indietro di 125mila anni. Il recente riscaldamento ha invertito una tendenza al raffreddamento che, pur con variazioni naturali, durava da millenni. Contattato dal sito di fact-checking Chequeado, Milei ha fornito un grafico, a supporto delle proprie affermazioni, che dimostrerebbe che la temperatura è rimasta sostanzialmente invariata negli ultimi 10mila anni.

Chequeado è risalito alla fonte dell’immagine originale e ha scoperto che si tratta di un grafico riportato in uno studio, pubblicato nel 1997, che si riferisce alla sola Groenlandia centrale. Da un singolo campione di ghiaccio, di una specifica località, non si possono ricavare conclusioni sull’andamento della temperatura dell’intero pianeta (lo hanno fatto notare su Chequeado anche i climatologi argentini che lavorano al Conicet). Le ricostruzioni più recenti delle temperature dimostrano che anche la Groenlandia è più calda. A utilizzare per primo una versione modificata di quel grafico era stato Don Easterbrook, un geologo che, come riporta il sito DeSmog, ha affermato che il riscaldamento globale si sarebbe fermato nel 1998. L’esistenza di una presunta interruzione, o pausa, del riscaldamento globale è una tesi senza fondamento. Nel 2014 annunciò che la Terra si sarebbe raffreddata per almeno due decenni, una previsione che contraddice tutti i dati e i modelli disponibili. Easterbrook è stato inoltre relatore alle conferenze dell’Heartland Institute, un altro think tank conservatore-libertario, da sempre impegnato nel sostegno alle posizioni negazioniste, anche grazie a finanziamenti della compagnia petrolifera Exxon.

Siamo partiti dall’universo ideologico di Milei e lì siamo tornati. È probabile che l’attuale presidente argentino non avesse una chiara consapevolezza del significato e della correttezza scientifica di quell’immagine, ma usandola come fonte ha dimostrato di credere in quella disinformazione che da sempre è un’arma del negazionismo climatico.


Photo credits: IG @javiermilei

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