La disinformazione sugli Houthi e la situazione nel mar Rosso prolifera online - Facta
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La disinformazione sugli Houthi e la situazione nel mar Rosso prolifera online

di Anna Toniolo

Da ormai due mesi il gruppo degli Houthi, miliziani yemeniti, sta attaccando varie navi commerciali in transito nel mar Rosso dopo aver dichiarato di voler prendere di mira le imbarcazioni in qualche modo associate a Israele, a seguito dei bombardamenti contro Hamas e la striscia di Gaza. 

In tutta risposta, negli ultimi giorni, una coalizione guidata dagli Stati Uniti ha bombardato diverse basi militari degli Houthi in Yemen. In un comunicato dell’11 gennaio 2024, diffuso dall’aviazione statunitense, si legge che la coalizione a direzione statunitense ha colpito oltre 60 obiettivi tra cui nodi di comando e controllo, sistemi di lancio e sistemi radar di difesa aerea. 

Lo Yemen, però, non è mai stato protagonista delle prime pagine dei giornali italiani, e ora che se ne sta parlando in modo più frequente si è generata, tra lettori e utenti dei social, una certa confusione che ha inevitabilmente portato alla diffusione di varie notizie false o imprecise. Ad esempio c’è chi si chiede «come mai non si muove l’America» o l’Italia non intervenga, o ancora chi afferma che gli Houthi vengano addestrati in Iran, fino a chi diffonde immagini e video che risultano essere, invece, fuori contesto.     

Per capire cosa succede nel mar Rosso e quali sono le conseguenze che questa situazione sta avendo o potrebbe avere proprio sulle nostre vite, è importante fare chiarezza e capire quali informazioni sono corrette e quali e no e, soprattutto, chi sono gli attori in campo. 

Chi sono gli Houthi
Gli Houthi sono un gruppo politico e religioso yemenita, legato al nome di una famiglia – gli Houthi appunto – e che appartiene alla minoranza musulmana sciita degli zaiditi. Hanno costruito la loro ideologia sull’opposizione a Israele e agli Stati Uniti e si dichiarano parte del cosiddetto “asse di resistenza” guidato dall’Iran insieme a gruppi armati come Hamas e il libanese Hezbollah.

Laura Silvia Battaglia, giornalista di guerra, esperta di Yemen e conduttrice di Radio3Mondo, ha spiegato a Facta che per capire chi sono questi miliziani e quale sia il loro ruolo all’interno dell’asse geopolitico è importante fare un passo indietro e comprendere il loro ruolo nelle varie dinamiche del Paese. «Gli zaiditi sono sempre stati presenti nello Yemen» ha spiegato Battaglia, e «guidavano un imamato» con una struttura simile a quella dell’Oman o degli Emirati Arabi Uniti. Quando, però, venne avviato il processo di unificazione del nord e del sud del Paese, per formare la Repubblica dello Yemen, gli Houthi restarono critici e portarono avanti azioni di vera e propria guerriglia che durò circa dal 2004 al 2010. 

In quel periodo gli Houthi si resero conto che «la loro identità sciita zaidita deve essere difesa» continua Laura Silvia Battaglia, «e iniziarono a guardare sempre di più al modello iraniano». È a questo punto, allora, che l’attuale capo degli Houthi Abdul Malik al-Houthi si recò a studiare in Iran e in Libano, tornando poi in Yemen e fondando il partito Ansar Allah, o “Ansarullah”, che significa “partigiani di Dio”.   

Nel 2011 il vento delle rivolte chiamate “Primavera araba” arriva anche in Yemen, provocando sommosse contro il presidente Saleh, a cui gli Houthi parteciparono direttamente, scegliendo in modo attivo la via della lotta armata. Dal 2014 gli Houthi, spiega ancora Battaglia, «conquistarono tutto il territorio che va dal confine con l’Arabia Saudita, fino ad arrivare a San’a, capitale dello Yemen». È a questo punto che una coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita intervenne per cercare di ripristinare il governo originario del Paese dopo che gli Houthi si erano impadroniti della capitale, dando inizio a una guerra civile che ha ucciso centinaia di migliaia di persone e provocando una crisi umanitaria. È quindi nel biennio 2014-15 che inizia a cristallizzarsi nel Paese uno scenario politico-militare bipolare: da una parte gli Houthi sostenuti dall’Iran sciita, mentre dall’altra il governo riconosciuto dalla comunità internazionale e spalleggiato, appunto, da una coalizione internazionale guidata dall’Arabia Saudita. 

Ad oggi gli Houthi controllano gran parte dello Yemen, inclusa la capitale Sanaa e alcune aree occidentali e settentrionali vicine all’Arabia Saudita e gestiscono un governo di fatto che riscuote tasse e stampa denaro. 

Cosa sta succedendo nel mar Rosso
Poco dopo l’inizio dell’attacco di Hamas a Israele e i pesanti bombardamenti israeliani su Gaza, gli Houthi hanno iniziato a lanciare attacchi missilistici e droni contro le navi che transitano nel mar Rosso, affermando che l’obiettivo principale è quello di far pressione su Tel Aviv affinché ponga fine ai bombardamenti sulla striscia di Gaza iniziati dopo l’attacco del 7 ottobre di Hamas su Israele. Nel dicembre 2023 il portavoce degli Houthi Mohammed Abdusalam ha dichiarato ad Al Jazeera che le loro operazioni «servono a sostenere il popolo palestinese nella Striscia di Gaza e non possiamo restare a guardare di fronte all’aggressione e all’assedio». 

Parlando ai giornalisti in Bahrain, il 10 gennaio, il segretario di Stato americano, Antony J. Blinken, ha avvertito che i continui attacchi Houthi nel Mar Rosso potrebbero interrompere le catene di approvvigionamento e, a loro volta, aumentare i costi dei beni di uso quotidiano.

Gli attacchi che vanno avanti da settimane minacciano di interrompere in modo significativo il flusso di merci commerciali attraverso il mar Rosso e il Canale di Suez, un’importante rotta commerciale tra l’Asia e i Paesi occidentali. Infatti, oltre il 15 per cento del traffico marittimo mondiale passa attraverso il mar Rosso. Nel 2022 sono passate attraverso questa zona circa 123,5 milioni di tonnellate di merci e più di 22 mila navi e complessivamente, circa il 12 per cento del volume degli scambi globali utilizza questa rotta commerciale. 

A causa degli attacchi degli Houthi contro le navi cargo, però, molte compagnie hanno scelto di allungare la rotta e non passare più attraverso il mar Rosso, causando un’impennata delle tariffe di spedizione in quanto, come riportato da Euronews, il costo per container è aumentato da due a cinque volte in più rispetto alla tariffa normale per questo periodo dell’anno. Secondo Xeneta, piattaforma di analisi del mercato e delle tariffe di trasporto marittimo e aereo, i prezzi di trasporto tra l’Asia dell’est e il nord Europa sono aumentate del 124 per cento.

Di conseguenza, i beni e le merci che viaggiano in container e che non passeranno più per questo tratto di mare, non solo arriveranno a destinazione in ritardo, ma i prezzi rifletteranno l’aumento dei costi. Secondo una statistica del quotidiano Repubblica, spedire da Shanghai a Genova un container da 40 piedi (12 metri di lunghezza, 2,13 di larghezza, 2,35 di altezza, 27 tonnellate di capienza) il 19 novembre 2023 costava 1.600 dollari, mentre il 14 gennaio 2024 la quotazione per la stessa tratta era di 5.200.

La risposta degli Stati Uniti e degli Stati occidentali
Le navi statunitensi, francesi e britanniche presenti nella regione avevano già abbattuto a dicembre decine di droni degli Houthi, ma all’intensificarsi degli attacchi e soprattutto delle pressioni sui governi occidentali per intervenire, gli Stati Uniti hanno annunciato la formazione di una task force navale per proteggere la navigazione nella regione. La coalizione, chiamata Operazione Prosperity Guardian, comprende Regno Unito, Bahrain, Canada, Francia, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Seychelles e Spagna, ma sono assenti le principali potenze arabe regionali come Egitto e Arabia Saudita.

Il 10 gennaio gli Houthi hanno lanciato più di 20 razzi, droni e missili contro le navi da guerra alleate degli Stati Uniti nella regione, in uno degli attacchi più feroci da quando questa operazione è cominciata. Il giorno successivo gli Stati Uniti e alcuni dei loro alleati come il Regno Unito hanno risposto con attacchi militari contro più di una dozzina di obiettivi Houthi nello Yemen.

Alcuni utenti dei social si chiedono perché, essendo l’Italia uno dei Paesi più interessati dall’interruzione del passaggio delle merci nel mar Rosso, non intervenga militarmente. Secondo Laura Silvia Battaglia, sebbene l’Italia sia nella coalizione guidata dagli Stati Uniti, non interviene in maniera più attiva perché «mentre gli Stati Uniti stanno agendo in continuità, essendo sempre intervenuti nello Yemen, l’Italia è sempre stata presente nel mar Rosso e la marina italiana in questa zona è ben riconosciuta proprio per essere stata in grado di mediare in molte situazioni», ma anche per aver fornito formazione alla guardia costiera yemenita e per l’attività storica dell’ambasciata italiana nel Paese. Secondo Battaglia il fatto di non intervenire potrebbe essere una scelta di lungo periodo, poiché «quando la guerra sarà finita per l’Italia si riproporrà questo tipo di relazione con lo Yemen e probabilmente sarà interesse del nostro Paese mantenerla».    

Gli Houthi hanno dichiarato che questi attacchi continueranno finché Israele non fermerà le operazioni a Gaza. Gli scenari futuri non sono ancora chiari e ci sono molte variabili in gioco, ma ciò che è chiaro è che la disinformazione su questi eventi circola molto velocemente ed è perciò importante provare a fermarla chiarendo le dinamiche della situazione.

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