J.D. Vance, il negazionista climatico che Trump ha scelto come possibile vicepresidente - Facta
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J.D. Vance, il negazionista climatico che Trump ha scelto come possibile vicepresidente

di Anna Toniolo

Mentre Joe Biden il 21 luglio scorso ha ritirato la sua candidatura per le presidenziali di novembre e ha espresso il suo sostegno alla vicepresidente Kamala Harris come candidata, il repubblicano Donald Trump procede a pieno ritmo con la sua campagna elettorale, nonostante l’attentato del 13 luglio 2024 in cui è rimasto lievemente ferito. 

Durante la convention nazionale repubblicana, che si è tenuta dal 15 al 18 luglio 2024 al Fiserv Forum di Milwaukee, nel Wisconsin, Trump ha scelto il senatore dell’Ohio J.D. Vance, come candidato alla vicepresidenza degli Stati Uniti. Si tratta di uno scrittore ed ex manager di 39 anni, eletto nel 2023 in Ohio e, ad oggi, uno dei più grandi sostenitori di Donald Trump. 

Dopo un passato estremamente critico nei confronti del candidato repubblicano, tanto da essere stato una delle voci chiave del movimento “never Trump” (in italiano “Trump mai”) durante le elezioni del 2016, aver dichiarato che Trump non offriva «abbastanza soluzioni» e averlo definito come l’Hitler americano, da qualche anno Vance si è avvicinato sempre di più al tycoon in corsa le elezioni presidenziali del prossimo novembre. Nel 2022, quando si è candidato per il Senato, il tono di J.D. Vance era già cambiato e si era fatto sempre più simile a quello di Trump, fino a ottenere il suo appoggio e diventare, nel 2024, uno dei suoi uomini più fidati tanto da essere scelto come eventuale vicepresidente. 

Si tratta di un conservatore con posizioni vicine alla destra populista, che si è definito “postliberale” e contrario all’aborto, ma anche contrario all’invio di aiuti militari all’Ucraina e propenso, invece, a terminare la costruzione del muro di confine tra il Messico e gli Stati Uniti per bloccare l’ingresso delle persone migranti. Ma una delle caratteristiche che più sta facendo parlare di Vance è la sua posizione negazionista nei confronti della crisi climatica. Infatti, quello che potrebbe diventare il prossimo vicepresidente degli Stati Uniti d’America ha dichiarato che i cambiamenti climatici non sono una minaccia, aggiungendo di essere scettico sull’origine antropica della crisi climatica. Inoltre Vance è un forte sostenitore dell’industria fossile e si è opposto allo sviluppo di energie rinnovabili come energia solare ed eolica e alla diffusione delle macchine elettriche. 

Da investitore in tecnologie verdi a negazionista climatico
Nel 2017, come hanno riportato alcuni media, dopo che gli era stato chiesto se gli Stati Uniti dovrebbero proteggere le industrie del carbone e dell’acciaio, J.D. Vance aveva dichiarato «non credo che dovremmo cercare di proteggere le industrie solo per il gusto di proteggerle».

E ancora, nel 2020, in un discorso all’Università statale dell’Ohio, J.D. Vance affermava che «abbiamo un problema che riguarda il clima nella nostra società», elogiava l’energia solare e definiva il gas naturale un miglioramento rispetto ad altre forme di energia più sporche come il petrolio, ma comunque «non il tipo di cosa che ci porterà a un futuro di energia pulita». 

Inoltre, lo stesso Vance aveva investito in due sviluppatori di microgrid, cioè gruppi localizzati di fonti di energia elettrica e accumulo, e ha fatto parte del consiglio di amministrazione di AppHarvest, una società di agricoltura sostenibile impegnata nello sviluppo e nella gestione di fattorie indoor con la robotica e l’intelligenza artificiale per costruire un sistema alimentare resistente al clima, fallita però nel 2023, due anni dopo che Vance se n’era andato. 

Ma in poco tempo la sua posizione è cambiata. Nel 2022, quando cercava – e otteneva – l’appoggio di Trump per essere eletto al Senato, J.D. Vance è passato da investitore con un’attenzione alle fonti di energia rinnovabile, a negazionista della crisi climatica. Quello stesso anno aveva dichiarato a un evento organizzato dall’American leadership forum per presentare i candidati al Senato dell’Ohio di essere «scettico sull’idea che il cambiamento climatico sia causato esclusivamente dall’uomo» e che «il clima sta cambiando, come altri hanno sottolineato, da millenni». Riconoscendo, quindi, che ci sia un cambiamento, ma escludendo l’attività umana da ogni responsabilità. In realtà, come abbiamo spiegato più volte su Facta, l’assoluta maggioranza degli esperti di clima concorda nell’attribuire le responsabilità di questo fenomeno agli esseri umani, in particolare all’uso di combustibili fossili. Sempre nel 2022 Vance in una discussione radiofonica con i conservatori Clay Travis e Buck Sexton ha respinto l’idea di una «crisi climatica per cui dobbiamo distruggere l’economia».

Da quando Vance ha cambiato la sua opinione rispetto alla crisi climatica, virando verso il negazionismo, è diventato uno dei maggiori beneficiari del Congresso di donazioni da parte di compagnie legate al petrolio e al gas, con oltre 35o mila dollari ricevuti tra il 2019 e il 2024, come ha rivelato OpenSecrets, ente no-profit che traccia i dati sul finanziamento delle campagne elettorali e sul lobbismo. Mike Chadsey, portavoce dell’Associazione petrolifera e del gas dell’Ohio, associazione di categoria i cui membri rappresentano le persone e le aziende direttamente responsabili della produzione di petrolio greggio, gas naturale e prodotti associati, ha dichiarato al media statunitense Politico che Vance è «una persona che capisce cosa facciamo e come lo facciamo». Lo stesso Chadsey ha aggiunto anche che se Trump dovesse vincere le elezioni e di conseguenza J.D. Vance diventare vicepresidente, quest’ultimo «continuerà a essere un sostenitore dell’industria e degli investimenti energetici, contribuendo ad assicurare che tali questioni rimangano in primo piano e che tali preoccupazioni trovino voce alla Casa Bianca». 

Sempre sul tema dei combustibili fossili, Vance nell’agosto 2023 ha pubblicato un editoriale su The Marietta Times, giornale locale dell’Ohio, in cui sosteneva che gli abitanti dello Stato «sono fortunati a vivere sopra a un bacino petrolifero e di gas» riferendosi al bacino dell’Utica Shale che secondo il Servizio geologico degli Stati Uniti possiede più di un miliardo di metri cubi di gas non ancora scoperti. Il Senatore si era anche speso a favore di tecniche come la fratturazione idraulica, detta anche fracking, una tecnica che implica la perforazione del terreno fino a raggiungere le rocce contenenti giacimenti di gas naturale, a cui fa seguito l’iniezione ad alta pressione di acqua miscelata con sabbia e altre sostanze chimiche per far emergere il gas in superficie. Questo processo è considerato dannoso da molti studiosi sia per l’enorme quantità di acqua utilizzata, sia per l’utilizzo di sostanze chimiche potenzialmente dannose per la salute umana, oltre che per il fatto che ritarda l’utilizzo di energia pulita e continua a sfruttare i combustibili fossili e di conseguenza aumentare le emissioni di anidride carbonica. Nello stesso editoriale J.D. Vance ha anche criticato l’amministrazione Biden per aver fatto «​​tutto il possibile per sovvenzionare le fonti energetiche alternative e demonizzare le fonti di energia più affidabili della nostra nazione», accusandola di essersi «accanita» contro le aziende produttrici di combustibili fossili.     

Lo scetticismo e la disinformazione hanno un effetto sulle politiche per il clima
La svolta di Vance verso la negazione dell’origine antropica della crisi climatica e delle responsabilità delle industrie del fossile nei cambiamenti climatici non ha solo conseguenze ideologiche, ma anche pratiche, che hanno condizionato le politiche negli ultimi anni e, con le elezioni di novembre, rischiano di farlo in modo ancora più consistente. 

Ad esempio, nel 2023 Vance è stato tra i promotori del cosiddetto “Power Act”, disegno di legge numero 319 presentato al Senato con l’obiettivo di proibire al presidente degli Stati Uniti d’America di imporre sospensioni temporanee sugli affitti e sulle concessioni per l’estrazione di energia e minerali su alcuni terreni di proprietà federale. In pratica, questo disegno di legge prevede che il presidente e le agenzie federali devono ottenere l’approvazione del Congresso, cioè l’organo legislativo degli USA, prima di vietare o ritardare alcuni nuovi contratti o permessi che riguardano, appunto, l’energia e i minerali. In particolare l’approvazione deve essere ottenuta per vietare permessi per nuove trivellazioni, o autorizzazioni che riguardano gas e petrolio, o il carbone, e altre materie prime. Questo implica che anche se ci sono preoccupazioni ambientali o altre ragioni per sospendere queste attività, la sospensione non può avvenire in maniera diretta e ciò significa che operazioni di estrazioni e utilizzo di combustibili fossili su quei terreni continueranno più facilmente.   

J.D. Vance ha co-promosso anche un altro disegno di legge del Senato, il cosiddetto “Stove Act”, che ha come obiettivo quello di impedire alle agenzie federali di emettere divieti sulle stufe a gas e su altri apparecchi a gas. L’amministrazione Biden, fino ad ora, non ha vietato le stufe a gas, ma alcuni repubblicani hanno criticato gli standard di efficienza imposti dal Dipartimento dell’Energia per gli elettrodomestici, che vanno in una direzione di maggiore salvaguardia dell’ambiente. 

L’anno scorso il potenziale vicepresidente degli Stati Uniti d’America ha anche presentato una proposta di legge che abrogherebbe il credito di imposta federale, cioè agevolazioni fiscali che riducono direttamente l’ammontare delle imposte dovute da un contribuente, per i veicoli elettrici. Il “Drive American Act” offrirebbe, invece, vantaggi per veicoli di produzione statunitense alimentati a gas o diesel. E ancora, lo stesso Vance ha dichiarato che vorrebbe eliminare gran parte dell’Inflation Reduction Act, una legge del 2022 che i democratici hanno approvato senza voti dei repubblicani, diventata il centro delle politiche climatiche dell’amministrazione Biden e che, tra le altre misure, include significativi investimenti in energie rinnovabili e tecnologie pulite, con l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra e promuovere la transizione energetica. 

Il negazionismo climatico dei repubblicani e di Trump
Per molto tempo le multinazionali del fossile si sono fatte promotrici di notizie false o imprecise per portare avanti i propri interessi e in questo caso stanno lavorando a stretto contatto direttamente con quello che potrebbe diventare il nuovo vicepresidente degli Stati Uniti d’America. Ma il negazionismo climatico di J.D. Vance non è un caso isolato. Si tratta, invece, di una caratteristica generale di molti membri del Congresso repubblicani, del partito e del candidato Donald Trump.

Alla convention nazionale repubblicana Trump ha illustrato il suo piano per rilanciare l’industria automobilistica statunitense dichiarando che porrà fine al mandato per i veicoli elettrici dell’amministrazione Biden «dal giorno uno» e aumenterà la produzione di automobili negli Stati Uniti. Non esiste nessun mandato di questo tipo sulle auto elettriche, eppure l’ex presidente non si fa ostacolare dai fatti reali, sostenuto dalle grandi aziende del fossile che negli ultimi mesi hanno promosso sui social questo tipo di narrazione. Ad esempio, una campagna pubblicitaria finanziata dal gruppo di lobbying American Fuel and Petrochemical Manufacturers, afferma che l’amministrazione Biden «si sta affrettando a vietare le nuove auto a gas» e a costringere le persone «a salire su un veicolo elettrico». Nella realtà, però, se l’Unione Europea ha annunciato di voler vietare la vendita per le nuove auto a benzina e diesel dal 2035, negli Stati Uniti non esiste un divieto di questo tipo. La realtà è che all’inizio di quest’anno l’EPA, cioè l’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente, ha finalizzato nuovi standard sulle emissioni di gas serra che costringeranno le case automobilistiche ad aumentare le vendite di nuove auto e veicoli leggeri a zero emissioni in maniera graduale entro il 2032. Non si tratta quindi di una sostituzione totale. 

È importante sottolineare anche che all’evento repubblicano le parole “clima”, “crisi climatica” o “cambiamenti climatici” non rientrano nemmeno lontanamente tra le parole più pronunciate, segno del fatto che sono temi che non sono stati trattati. 

La sua elezione, quindi, comporterebbe una serie di conseguenze pratiche sul modo di affrontare – o meglio non affrontare – la crisi climatica in corso. 

Le conseguenze sul clima di una potenziale elezione di Donald Trump
Durante il suo mandato da presidente, dal gennaio 2017 al gennaio 2021, Donald Trump ha smantellato alcuni dei pilastri della politica climatica degli Stati Uniti. Prima di tutto facendo uscire il Paese dall’accordo di Parigi sul clima – fu poi Joe Biden a firmare un ordine esecutivo per rientrare nell’intesa nel suo primo giorno di mandato nel gennaio 2021 – e revocando più di cento regolamenti volti a proteggere l’ambiente e il clima. E questo potrebbe ricapitare se vincesse le elezioni presidenziali del prossimo novembre.  

Uno dei punti focali della nuova politica della destra americana è il “Project 2025”, una sorta di tabella di marcia di oltre 900 pagine che prevede una riforma radicale del governo federale americano e un incremento dei poteri del presidente stesso. Questa agenda politica è stata sviluppata ed è coordinata, insieme ad altre organizzazioni, dalla Heritage Foundation, think tank di stampo conservatore, e prevede anche alcune linee guida sul tema del clima e dell’ambiente che vanno nella direzione dello smantellamento delle politiche climatiche. La politica delineata in “Project 2025”, ad esempio, non sostiene soltanto un nuovo ritiro dall’accordo di Parigi, ma anche dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e questa uscita porrebbe fine a obblighi come la rendicontazione annuale dell’inventario dei gas serra della nazione. Trump ha cercato di prendere le distanze dal progetto, scrivendo sui suoi social media che «alcune delle cose che stanno dicendo (all’interno del “Project 2025”, ndr) sono assolutamente ridicole e abissali», senza specificare a cosa facesse riferimento di preciso. Questo suo apparente distacco, però, non significa che si impegnerà verso politiche volte a mitigare la crisi climatica e promuovere una transizione energetica fuori dai combustibili fossili. 

Durante la sua campagna elettorale il tycoon ha promesso di abrogare norme federali volte a ridurre l’inquinamento da gas serra, ma, insieme a molti del partito Repubblicano, sta elaborando piani per tagliare i bilanci, ma anche rivedere il personale di agenzie che si occupano di clima e ambiente e posizionare figure lealiste in uffici chiave.  

Secondo un’analisi di Carbon Brief, sito web con sede nel Regno Unito e specializzato nell’analisi delle scienze e le politiche sui cambiamenti climatici, una potenziale vittoria di Donald Trump potrebbe portare a un aumento di 4 miliardi di tonnellate di emissioni statunitensi entro il 2030 rispetto alle azioni e ai piani implementati dall’attuale amministrazione Biden. Questi 4 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalente in più causerebbero danni climatici globali per un valore di oltre 900 miliardi di dollari.

Specialmente quando parliamo di clima e crisi climatica, ma non solo, è importante tenere conto che la disinformazione non è mai fine a se stessa. In casi come questo, J.D. Vance, il potenziale nuovo vicepresidente degli Stati Uniti d’America, ma anche Donald Trump e una buona parte del partito repubblicano, con il loro negazionismo climatico mettono a repentaglio il futuro dell’intero Pianeta.

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