Il consenso della comunità scientifica sulla crisi climatica è importante, anche per i negazionisti - Facta
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Il consenso della comunità scientifica sulla crisi climatica è importante, anche per i negazionisti

Di Antonio Scalari

È stato detto spesso, negli ultimi anni, che il negazionismo del cambiamento climatico, almeno quello più radicale, quello che non riconosce le cause e nemmeno l’esistenza del problema, stesse battendo in ritirata. Anzi, che fosse ormai sconfitto, schiacciato dal peso delle prove scientifiche che lo smentiscono. Che negare la realtà del cambiamento climatico antropico sia da tempo una battaglia persa è senz’altro vero dal punto di vista scientifico. Lo dimostrano le posizioni delle principali organizzazioni scientifiche e l’esistenza di un consenso degli esperti che sfiora il 100 per cento, come è emerso da una serie di studi che lo hanno misurato con metodologie diverse.

Tuttavia, non è ancora sconfitto dal punto di vista delle sue implicazioni per il dibattito pubblico. Il negazionismo ha sempre cercato di vanificare i tentativi di regolamentare le emissioni di gas serra, per ragioni ideologiche, per interessi economici o per entrambi. Per raggiungere questo scopo, a volte ha preso di petto la scienza climatica, accusandola di non essere affidabile. In altri casi, ha cercato di screditare le politiche per il clima, per la transizione energetica, per il ripristino degli ecosistemi, politiche che sono tuttora contestate da alcuni partiti. Ha preso di mira, direttamente, questa o quella tecnologia rinnovabile, sfruttando la disinformazione che continua a circolare. La stessa prospettiva di un mondo post-fossile è stata liquidata e derisa come un’utopia da ambientalisti fuori dal mondo e un pericoloso azzardo per il benessere dell’umanità.

È vero quindi che il negazionismo ha fatto leva su un ampio ventaglio di tesi e tattiche, adattandole al contesto politico o al dibattito del momento, spostando l’attenzione di volta in volta su diversi temi. Ma l’esperienza, anche recente, dimostra che non è vero che i negazionisti abbiano del tutto abbandonato il terreno della polemica sulla scienza. Uno dei loro obiettivi rimane quello di far credere che sul cambiamento climatico antropico non esista un reale consenso scientifico, che il dibattito tra gli esperti sia aperto, e che la questione non sia risolta. La sua motivazione di fondo è tuttora in piedi: la scienza è la base stessa delle politiche climatiche. La loro urgenza non sarebbe giustificata, se il pianeta non si stesse davvero riscaldando a causa dei combustibili fossili.

La questione interessa anche chi studia la psicologia del cambiamento climatico e l’impatto della disinformazione sulle opinioni. Una decina di anni fa alcuni esperti hanno elaborato un modello che descrive il processo cognitivo attraverso cui l’informazione sull’esistenza di un consenso scientifico influisce sulle nostre credenze e opinioni, traducendosi infine in un certo livello di supporto per alcune azioni, in questo caso quelle che riguardano il clima e l’energia. Il concetto è meno oscuro di quello che può sembrare: come spiegano i suoi ideatori, il modello parte dal presupposto che la posizione degli scienziati rivesta un ruolo critico nella formazione degli atteggiamenti diffusi nella società. 

In termini ancora più diretti: nel mondo contemporaneo la scienza è come un tribunale dei fatti, e da certi fatti discendono conseguenze pratiche. Ecco perché anche chi fa affermazioni che si possono chiamare “anti-scientifiche” cerca in realtà di portare la scienza dalla propria parte, allineandola alla propria ideologia invece che fare l’opposto (“ci sono scienziati che hanno una posizione diversa”, “la vera scienza dice altro”, eccetera).

Il tema è quindi centrale e lo conferma uno studio, pubblicato sulla rivista Nature Human Behaviour, che ha testato l’efficacia comunicativa di due messaggi in un campione di 10.527 persone di 27 Paesi, compresa l’Italia. Il primo affermava l’esistenza di un consenso scientifico sul cambiamento climatico antropico, il secondo che l’88 per cento degli scienziati autori dei rapporti dell’Intergovermental Panel on Climate Change (IPCC) si è dichiarato d’accordo nel definire il cambiamento climatico una “crisi”. 

Dopo aver misurato la percezione del consenso scientifico sul cambiamento climatico tra i partecipanti – apparsa più bassa del dato reale – i ricercatori hanno sottoposto loro i due messaggi e hanno trovato che erano capaci di modificare la percezione e, anche se di poco, le opinioni sul cambiamento climatico. Il risultato più significativo è stato che il messaggio sul consenso scientifico ha mostrato la maggiore efficacia tra chi aveva meno familiarità con il suo contenuto e una percezione più scarsa della sua consistenza. Le persone più disposte a rivedere le loro posizioni erano proprio quelle che avevano minore fiducia negli scienziati e quelle ideologicamente più a destra. La conclusione dello studio è che comunicare l’esistenza di un consenso scientifico sul cambiamento può correggere alcune percezioni infondate e, cosa ancora più importante, mostra di essere un messaggio che riduce la polarizzazione perché supera gli steccati ideologici.

Questi risultati sono interessanti perché confortano quelli di ricerche precedenti. Ma dobbiamo ricordare che anche nella comunicazione della scienza non esistono proiettili d’argento, cioè armi infallibili e risolutive, e nemmeno ricette facili. Le opinioni di ciascuno sul cambiamento climatico sono modellate da molti fattori, e non potrebbe essere diversamente, per un tema che ha mille implicazioni pratiche, e anche culturali. E alcune ideologie continuano a esercitare un forte condizionamento. 

Questi studi ci dicono però qualcosa di importante su come contrastare, anche oggi, la disinformazione e sui messaggi che dobbiamo continuare a trasmettere. L’esistenza di un consenso scientifico sul cambiamento climatico è un fatto, come lo è l’esistenza del problema stesso. Non si tratta di un dogma imposto da qualcuno, ma dell’esito di una lunga storia di ricerca che ha visto protagonisti molti scienziati, in un processo di continuo vaglio delle prove a disposizione. Ogni discussione sensata sul cambiamento climatico non può che partire da questa premessa.

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