La tutela degli ecosistemi tra cambiamento climatico, lotte politiche e disinformazione - Facta
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La tutela degli ecosistemi tra cambiamento climatico, lotte politiche e disinformazione

Di Antonio Scalari

Lo Skjern è il più grande fiume della Danimarca, per portata e ampiezza del bacino idrografico. Scorre nella regione dello Jutland occidentale e sfocia, disegnando un piccolo delta, in una laguna affacciata sul Mare del Nord. Un tempo il basso corso del fiume attraversava un territorio costellato di canneti, lanche, isolette e laghi poco profondi. Habitat che ospitavano una ricca biodiversità di piante e animali e dove diverse specie di uccelli migratori trovavano numerosi punti di sosta lungo le loro rotte. Negli anni Sessanta una grande opera di bonifica prosciugò migliaia di ettari di questo territorio, obliterando la sua complessità idrografica e ambientale. Il fiume, in quest’area, venne raddrizzato e scavato, chiuso tra due dighe, di fatto ridotto a un canale. Gran parte delle aree umide si restrinse e lasciò il posto a terreni adatti all’agricoltura intensiva del grano e dell’orzo.

In passato le bonifiche hanno permesso di strappare interi territori alle paludi e ai capricci dei fiumi, dando vita a fertili e caratteristici paesaggi agricoli. Diverse zone della Pianura Padana, in Italia, ne sono un esempio. Ma nel caso del fiume Skjern le cose non andarono secondo i piani. Per un certo tempo l’agricoltura prosperò, ma poi emersero diversi problemi. Le opere idrauliche difendevano i terreni coltivati dalle inondazioni, ma ostacolavano l’apporto di nutrienti e sedimenti. Le attività agricole richiedevano un sempre maggiore impiego di fertilizzanti, che si concentravano nel suolo. Da qui, finivano nel fiume, che li trasportava fino alla laguna, causando l’eutrofizzazione delle sue acque. Le popolazioni di salmone atlantico iniziarono a crollare, danneggiando la pesca locale. I terreni, impoveriti, finirono per perdere il loro valore agricolo.

Nel 1987 il parlamento danese decise di affrontare il problema, approvando un piano di recupero dell’ambiente fluviale dello Skjern. Il progetto, partito nel 1999 e terminato nel 2003, ha ripristinato il corso del fiume, per una ventina di chilometri fino alla foce, e le sue connessioni con la pianura circostante. Le immagini mostrano che, dopo questi interventi, lo Skjern ha riacquistato la forma di un corso d’acqua serpeggiante tra zone umide. L’ecosistema non è tornato del tutto quello di un tempo, ma si sono ricreati habitat che oggi sono la dimora di numerose specie animali e piante. Gli uccelli migratori hanno ripreso a fermarsi nelle aree attorno al fiume e l’industria della pesca è rifiorita.

Un obiettivo finora mancato
Quella del fiume Skjern è uno dei casi di studio di ripristino degli ambienti naturali in Europa. Storie di successo, che hanno come protagonisti fiumi, foreste, torbiere, aree marine, praterie. Ecosistemi recuperati, in un continente dove, secondo l’Agenzia europea dell’ambiente (EEA), l’81 per cento degli habitat è in cattivo stato di conservazione. Ad oggi, il principale sistema europeo di tutela degli ecosistemi è la rete Natura 2000, istituita nel 1992, che comprende quasi 28 mila siti protetti, il 18 per cento del territorio terrestre europeo. I dati dell’EEA evidenziano una correlazione positiva tra il livello di estensione della Rete e lo stato di conservazione degli habitat e delle specie. Ma anche dentro queste aree protette si registrano segnali di scarsi progressi e di deterioramento. Natura 2000 si è rivelato uno strumento tutto sommato efficace per coniugare la tutela dell’ambiente con la presenza e le attività umane, che in questi siti non sono rigidamente escluse ma regolamentate. Ma i suoi obiettivi non sono ancora stati raggiunti.

La Commissione europea riconosce che «nonostante le iniziative internazionali e dell’Unione Europea, la perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi proseguono a un ritmo allarmante, danneggiando le persone, l’economia e il clima». Questa affermazione è l’incipit della proposta di legge sul ripristino della natura, che la Commissione ha presentato nel giugno 2022. Dopo essere passata attraverso un primo voto del Parlamento europeo nel luglio del 2023, la proposta è tornata all’esame degli eurodeputati, che il 27 febbraio 2024 l’hanno accolta con 329 sì, 275 no e 24 astensioni. La legge integra legislazioni già in vigore, come le direttive sugli habitat, sulla conservazione degli uccelli selvatici e la direttiva quadro sulle acque, e fissa l’obiettivo di ripristinare almeno il 20 per cento delle aree terrestri e marine entro il 2030 e di tutti gli ecosistemi degradati entro il 2050. Agli Stati membri è affidato il compito di adottare piani nazionali che descrivano, nel dettaglio, come intendono raggiungere gli obiettivi. Secondo diverse organizzazioni, tra cui il WWF, la legge uscita dal voto del Parlamento europeo è afflitta da compromessi al ribasso e scappatoie che hanno indebolito la proposta iniziale. Il testo è stato modificato da emendamenti proposti da parlamentari dei partiti, che fino all’ultimo hanno cercato di affossare l’intera legge.

Entrano in scena i trattori
Nonostante i compromessi, la legge sul ripristino della natura è sopravvissuta alla tempesta delle manifestazioni degli agricoltori, che per settimane hanno infiammato il clima sociale e politico in diversi Paesi europei. La rivolta di una parte del settore agricolo contro l’Unione europea è stata accesa da una serie di questioni, alcune delle quali lambiscono i temi della conservazione della natura e della biodiversità. Gli agricoltori si sentono minacciati da politiche che richiedono cambiamenti in un settore che ha una parte di responsabilità per lo stato in cui versano gli ecosistemi. Ma l’agricoltura e la produzione alimentare hanno bisogno di ecosistemi in buono stato. Uno studio guidato dal Joint Research Centre europeo stima che i processi di degradazione del suolo, a cui contribuiscono le pratiche agricole intensive, causino ogni anno, nei paesi dell’Unione europea, una perdita di produttività del valore di 1.25 miliardi di euro. L’agricoltura è quindi centrale nelle azioni per il ripristino della natura. Come lo è il sistema energetico fossile, che causa il riscaldamento globale ma ne subisce anche gli impatti. E come la transizione energetica, anche il recupero degli ecosistemi agricoli richiede che si facciano investimenti oggi, per evitare un danno o conseguire un guadagno in futuro. Secondo la Commissione europea ogni euro investito nel ripristino della natura ha un ritorno economico compreso tra 4 e 38 euro.

L’Institute for European Environmental Policy (IEEP) afferma che, per il settore agricolo, le disposizioni contenute nella legge sul ripristino della natura riguardano principalmente il miglioramento della salute del suolo e il ripristino di elementi paesaggistici (siepi, filari, fasce arborate) che possono aumentare la qualità ambientale complessiva delle aree agricole. La legge fa riferimento ad alcuni indicatori dello stato di salute degli ecosistemi agricoli, come l’indice delle popolazioni di farfalle e quello dell’avifauna. Entrambi mostrano un chiaro declino negli ultimi decenni. La promozione di pratiche che migliorano la qualità dei suoli è già un obiettivo della Politica agricola comune (PAC), un settore in cui l’Unione europea spende più del 30 per cento del proprio bilancio. La reintroduzione degli elementi caratteristici del paesaggio, ammette l’IEEP, può sacrificare parte dei terreni oggi coltivati, «ma spesso si tratta di aree meno produttive che si trovano ai margini dei campi e gli elementi caratteristici del paesaggio sono collegati al miglioramento dei servizi ecosistemici». Non c’è, dunque, ragione di credere, secondo l’istituto, che la legge per il ripristino della natura possa rappresentare un pericolo per la sicurezza alimentare europea. Se c’è una minaccia con cui oggi l’agricoltura deve fare i conti è il cambiamento climatico. Secondo uno studio pubblicato nel 2021 sulla rivista scientifica Environmental Research Letters, ondate di calore e siccità hanno triplicato la perdita di raccolti nell’arco degli ultimi 50 anni, a parità di superfici coltivate. È una realtà che gli agricoltori vedono con i propri occhi e che misurano quando si fanno i conti in tasca dei danni economici causati, anche di recente, dagli eventi meteo-climatici estremi. 

La disinformazione contro la natura
Nell’attuale contesto europeo il voto del Parlamento sulla legge per il ripristino della natura appare come un mezzo miracolo. Le politiche “verdi” dell’Unione sono al centro di una battaglia non solo politica, ma anche culturale, tra chi le difende come misure necessarie e fondate sulla scienza e chi le dipinge come imposizioni di una “ideologia ambientalista” dannosa per l’economia. E in questa diatriba si fa largo la disinformazione. Il caso forse più bizzarro, di strategia disinformativa per minare la legge per il ripristino della natura, si è manifestato il 9 luglio 2023, quando il profilo su X del gruppo parlamentare del PPE, il Partito Popolare Europeo, ha pubblicato un post che invitava Frans Timmermans, allora vicepresidente della Commissione europea con delega per il clima, «a non cacciare Babbo Natale fuori dalla propria casa». Il PPE, pur riconoscendo la buone intenzioni della proposta sul ripristino della natura, sosteneva che avrebbe trasformato «l’intera città di Rovaniemi in una foresta e in altre aree naturali». Dunque, doveva essere ritirata.

Rovaniemi, una città di 65 mila abitanti, è il capoluogo della regione finlandese della Lapponia e il suo villaggio di Santa Claus, un parco divertimenti, è considerato la residenza ufficiale del tradizionale personaggio natalizio. In un post collegato il PPE spiegava perché Babbo Natale fosse in pericolo: la proposta sul ripristino della natura della Commissione Europea impone, tra l’altro, un aumento del 5 per cento della superficie degli spazi verdi nelle aree urbane. Il post era accompagnato da un’immagine della superficie del comune di Rovaniemi, con un’area rossa tratteggiata che doveva rappresentare l’aumento del 5 per cento delle aree verdi. Dal momento che il territorio di Rovaniemi è già per il 95 per cento coperto da foreste e altre aree naturali, la trasformazione di un ulteriore 5 per cento, secondo i popolari europei, cancellerebbe l’intera superficie residenziale. Il testo della proposta contiene davvero, all’articolo 6, l’obiettivo di aumentare almeno del 5 per cento entro il 2050 gli spazi verdi urbani, ma è riferito alla loro superficie totale a livello nazionale. Un fact-checking pubblicato sul quotidiano irlandese The Journal spiega perché il post del gruppo del PPE presenti un’interpretazione scorretta dell’articolo della legge che parla di aree verdi urbane. A partire dal fatto che in quell’immagine il 5 per cento viene calcolato, in modo ingannevole, sulla superficie dell’intero comune invece che su quella dell’area urbana. «Non c’è nulla nella proposta di legge sul ripristino della natura che impone che intere città siano trasformate in foreste», concludeva il quotidiano.

Tra i mesi di giugno e luglio dello scorso anno, quando infuriava la discussione alla vigilia del primo voto del Parlamento europeo, il mondo scientifico è intervenuto per contrastare la disinformazione sulla legge per il ripristino della natura e per sostenere la sua approvazione. In Italia a favore del provvedimento si è espressa la FISNA, una federazione che riunisce 20 società scientifiche nel campo delle scienze biologiche, naturali e ambientali. Più di 6mila ricercatori hanno sottoscritto un documento per rispondere alle obiezioni alla legge, comprese quelle che riguardano il suo impatto sull’industria agricola e sulla quella della pesca. Nella conclusione gli autori sottolineano che «rispondere alle crisi legate alla perdita di biodiversità e al cambiamento climatico richiede politiche solide e basate sull’evidenza». Il primo firmatario dell’articolo è Guy Pe’er, ecologo dell’Helmholtz-Zentrum für Umweltforschung, un centro di ricerca ambientale della rete tedesca dell’associazione Helmholtz. Pe’er studia, tra l’altro, gli impatti della PAC sui sistemi agricoli, sia dal punto di vista ecologico che umano ed economico, e come questi interagiscono. «I requisiti ambientali [previsti dalla Legge sul ripristino della natura] possono essere implementati dalle aziende agricole più piccole solo se ricevono un sostegno finanziario», nota Pe’er. A questo scopo potrebbero essere mobilitati proprio i fondi della PAC, con l’obiettivo di «sostenere le piccole aziende agricole e gli agricoltori che cercano una transizione verso un’agricoltura sostenibile». 

Clima, ecosistemi, società
Che l’agricoltura e la tutela degli ecosistemi abbiano un ruolo critico nella risposta al cambiamento climatico è un fatto riconosciuto negli ultimi rapporti dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc). Le azioni che li riguardano vengono comprese in una voce chiamata AFOLU (Agriculture, Forestry and Other Land Use, agricoltura, foreste e altri usi del suolo). Gli interventi in questo ambito, che è responsabile di circa il 18 per cento delle emissioni globali di gas serra, sono tra quelli a cui l’Ipcc assegna il maggiore potenziale di riduzione delle emissioni nel breve periodo, dopo l’espansione delle energie rinnovabili. Aree umide come le torbiere sono tra i maggiori depositi naturali di carbonio. In Europa, dove sono concentrate in particolare nel centro e nel nord del continente, coprono il 7,7 per cento della superficie terrestre. Come riporta la European Geoscience Union (EGU), questi ambienti costituiscono appena il 3 per cento della superficie terrestre, ma al loro interno è immagazzinato quasi il 30 per cento del carbonio dei suoli. Distruggere questi ecosistemi significa tramutarli da depositi a sorgenti di CO2. «Più del 50% delle torbiere europee sono andate perdute o convertite», scrive l’EGU.

Gli ecosistemi sono stati assediati dall’espansione delle città, frammentati dalla costruzione di infrastrutture, contaminati da inquinanti, semplificati e omologati dalle attività agricole intensive. A tutto ciò si uniscono gli effetti, sempre più intensi, del cambiamento climatico. Ciò che sta accadendo evidenzia l’interconnessione tra clima, ecosistemi e società di cui parla l’Ipcc. È nell’intersezione tra questi elementi che si collocano le soluzioni per affrontare i problemi dell’ambiente e del clima. La scienza, come sempre, offre evidenze, ma poi è la politica a decidere. Nel caso del fiume Skjern, in Danimarca, la politica lo ha fatto, riconoscendo la necessità e i benefici di quelle azioni. I problemi che abbiamo di fronte oggi sono di scala più vasta, ma, proprio per questo, rimandare le loro soluzioni può comportare rischi molto maggiori. 

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