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Dobbiamo davvero allarmarci per l’allerta dengue?

A causa dell’aumento globale dei casi di dengue, il ministero della Salute italiano ha adottato azioni preventive e intensificato i controlli

16 febbraio 2024
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di Anna Toniolo

L’epidemia di dengue, una malattia virale diffusa da alcune specie di zanzare, che sta colpendo diversi Paesi del mondo ha messo in allerta anche l’Unione Europea e l’Italia. Martedì 13 febbraio il ministero della Salute, a causa dell’aumento globale dei casi di questa malattia, ha innalzato il livello di allerta su persone e merci che arrivano «dai Paesi in cui è frequente e continuo il rischio di contrarre la malattia». L’azione preventiva del ministero è arrivata in seguito al significativo aumento dei casi della malattia soprattutto in Brasile e in altri Paesi del continente sudamericano, così anche in Italia i controlli sono stati intensificati.

Questo non significa, però, che nel nostro Paese ci sia un’epidemia o un pericolo imminente e ingestibile. Tuttavia l’avvenimento è stato riportato da molti media con toni allarmistici e sui social network hanno iniziato a diffondersi alcuni casi di disinformazione che stanno contribuendo a inquinare le informazioni sul tema, creando panico e confusione. Ecco perché è importante fare chiarezza. 

Cos’è la dengue
Prima di tutto è importante capire a cosa facciamo riferimento quando parliamo di dengue. Secondo la definizione fornita dal ministero della Salute, si tratta di una malattia virale trasmessa da alcune specie di zanzare infettate dal Dengue, un virus del genere Flavivirus di cui si conoscono quattro sierotipi. Nell’emisfero occidentale il vettore principale è la zanzara Aedes aegypti, anche se si sono registrati casi trasmessi da Aedes albopictus (la zanzara tigre). 

Sebbene nella maggior parte dei casi l’infezione si presenti in forma asintomatica o come malattia febbrile che tende a risolversi in modo spontaneo, sono state descritte forme gravi, talora con esito fatale. I sintomi più comuni sono mal di testa, febbre, eruzioni cutanee, dolore intorno agli occhi e dolori muscolari e articolari, ma se l’infezione peggiora può causare emorragie e perdite di piastrine nel sangue che possono evolvere in shock circolatori e causare la morte.

Quando una zanzara punge una persona che ha il virus della dengue nel sangue, l’insetto viene infettato e può successivamente trasmettere il virus a persone sane, ma la dengue non può essere trasmessa direttamente da una persona all’altra. 

Ad oggi, non esiste una cura specifica in grado di debellare il virus, ma solo sintomatica, che allevia cioè i sintomi. I medici, infatti, intervengono prescrivendo farmaci come il paracetamolo per ridurre il dolore e abbassare la febbre, in caso di febbre emorragica somministrano liquidi per via endovenosa e vietano l’uso di aspirina e ibuprofene in quanto possono causare sanguinamento o peggiorarlo. Per tutto il decorso della malattia i pazienti dovrebbero essere tenuti sotto una zanzariera, in modo che le zanzare non possano trasmettere l’infezione ad altre persone.

Le prime epidemie di dengue sono state descritte verso la fine del ‘700. La malattia compare  soprattutto durante e dopo la stagione delle piogge nelle zone tropicali e subtropicali di Africa, Sudest asiatico, Cina, India, Medio Oriente, America Latina, America Centrale, Australia e varie zone del Pacifico. In tempi recenti, c’è stato un aumento della diffusione del virus anche in diverse regioni tropicali. Nei Paesi dell’emisfero settentrionale, in particolare in Europa, la dengue costituisce un pericolo in un’ottica di salute globale, dato che si manifesta prevalentemente come una malattia importata, e questa tendenza è in aumento a causa della crescente mobilità di merci e persone. Il clima è un altro dei fattori che influenzano la distribuzione geografica e la trasmissione di questa malattia. Gli scienziati ritengono, infatti, che il cambiamento climatico possa, sempre di più, incidere sulla diffusione globale della dengue e di altre malattie trasmesse da vettori, come le zanzare, per esempio influenzando il ciclo vitale di questi insetti. Questo fenomeno sottolinea l’importanza di affrontare la dengue non solo come una problematica locale ma anche come una sfida globale, richiedendo strategie coordinate per la prevenzione e il controllo della diffusione del virus.

Dove è diffusa principalmente
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), c’è stato un marcato aumento dell’incidenza globale della dengue nei recenti vent’anni. Tra il 2000 e il 2019, l’OMS ha registrato un incremento di dieci volte dei casi segnalati a livello mondiale, passando da 500 mila a 5,2 milioni. A partire dal 2023, la diffusione del virus ha raggiunto quasi un picco storico, con oltre cinque milioni di casi e più di 5 mila decessi registrati in oltre 80 Paesi in tutto il mondo, inclusi quelli appartenenti alle regioni di Africa, Americhe, Sudest asiatico, Pacifico occidentale e Mediterraneo orientale. La regione delle Americhe ha riportato quasi l’80 per cento di questi casi.

In Brasile, infatti, secondo i dati più recenti del ministero della Salute, si sono verificati oltre 512 mila casi di dengue, compresi quelli confermati e quelli probabili, dall’inizio dell’anno. In aggiunta, la malattia ha causato almeno 75 decessi, secondo le stesse fonti. Solo lo scorso gennaio, nel Paese sudamericano si sono verificati 462.750 casi probabili di febbre dengue, con un aumento del 400 per cento rispetto allo stesso mese del 2023. Brasilia, la capitale, ha registrato la più alta incidenza di casi di dengue rispetto alla sua popolazione, con quasi 1.700 infezioni ogni 100mila abitanti. Gli esperti e gli osservatori hanno definito la situazione preoccupante, ma è importante sottolineare che il problema non si limita esclusivamente al Brasile.

Nel momento in cui scriviamo il Sudamerica è nel pieno della sua stagione estiva, caratterizzata da un incremento notevole dell’attività delle zanzare. Recentemente si è verificato un marcato aumento dei casi di dengue anche in Argentina, Uruguay e Paraguay. Il ministero della Salute argentino ha segnalato un totale di quasi 40 mila casi da metà dello scorso anno all’inizio di febbraio, con 29 decessi attribuiti alla malattia nello stesso periodo e circa 14 delle 24 province argentine hanno riferito una circolazione virale nel loro territorio. La situazione preoccupante riflette la complessità della sfida che i sistemi sanitari stanno affrontando nella gestione di questa crescente epidemia.

L’incremento dei casi è strettamente correlato al clima, sempre più caldo e umido, che favorisce la rapida schiusa delle uova e, di conseguenza, un aumento della popolazione complessiva di zanzare. La situazione in Argentina è un esempio tangibile di questo fenomeno, poiché il 98 per cento dei nuovi casi si è verificato tra persone che non hanno visitato le zone tropicali, dove la malattia è endemica, ma nelle aree urbane dove ci si aspetterebbe una maggiore capacità di controllo.

E in Italia, dobbiamo preoccuparci?
Proprio a causa dell’aumento dei casi di dengue in vari Paesi del mondo, su disposizione di Francesco Vaia, direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, gli uffici di Sanità Marittima Aerea e di Frontiera (Usmaf-Sasn), che si occupano del controllo sanitario su passeggeri e merci che transitano attraverso i punti d’ingresso transfrontalieri, hanno avuto l’indicazione di innalzare il livello di allerta e vigilanza nei confronti dei vettori provenienti e delle merci importate dai Paesi in cui «è frequente e continuo il rischio di contrarre la malattia». Tra questi Paesi ci sono proprio l’Argentina, il Brasile, il Bangladesh e molti altri stati del Sud America, dell’Africa, dell’Asia e delle isole del Pacifico.

Ciò che è importante chiarire, però, è che l’emissione dell’allerta è una procedura necessaria, ma questo non significa per forza un incremento del rischio nel nostro Paese. 

Si era già parlato di dengue nell’agosto 2023, quando si erano verificati alcuni casi autoctoni in provincia di Lodi, in Lombardia e, in seguito, in altre zone della regione. Casi che erano stati ​​attentamente monitorati poiché non erano riconducibili a individui tornati da viaggi all’estero, situazione in cui spesso si verifica l’insorgere di infezioni, ma erano invece il risultato di persone che avevano contratto l’infezione direttamente nella zona. A fini precauzionali, erano state condotte operazioni di bonifica per limitare la presenza di zanzare e ridurre il rischio di nuovi casi.

Ad oggi, però, le disposizioni date dal ministero della Salute ricalcano quanto previsto dal Regolamento sanitario internazionale, il quale prevede che «l’area aeroportuale/portuale e i 400 metri circostanti siano tenuti liberi da fonti di infezione e contaminazione, quindi anche roditori e insetti». 

Secondo l’Istituto superiore di sanità i casi di dengue in Italia nel 2023 sono stati in totale 362 – anche se l’ISS precisa che i dati sono in fase di consolidamento – di cui 82 casi sono stati autoctoni, mentre 280 importati. La trasmissione autoctona del virus, seppur in presenza di un numero limitato di casi, è in evoluzione, mentre proseguono le attività di controllo del vettore.

«Ci sono segnali che negli ultimi anni qualcosa stia cambiando, ma al momento la trasmissione autoctona della dengue, così come in altri Paesi europei, è un evento raro. La maggioranza dei casi è stata contratta all’estero» ha precisato Flavia Riccardo, epidemiologa dell’Istituto superiore di sanità, all’Ansa, anche se gli infettivologi invitano comunque alla prudenza. In questo momento, infatti, «l’attenzione alla dengue deve essere alta per chi si reca o ritorna da parti del mondo in cui l’infezione è endemica. Queste persone dovrebbero mettere in atto strategie di prevenzione e, se presentano sintomi al loro ritorno, segnalarli al medico», ha affermato Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), sempre all’agenzia Ansa.  

L’aumento del livello di allerta deliberato dal ministero della Salute, quindi, riguarda le misure adottate principalmente nei porti e negli aeroporti al fine di diminuire la presenza di zanzare e prevenire l’ingresso di insetti infetti provenienti dai Paesi attualmente più esposti al rischio sanitario. L’innalzamento dell’allerta, dunque, è motivato dalla necessità di ridurre il rischio di eventuali contagi provenienti dall’estero, in un momento in cui la dengue si sta diffondendo sempre di più. Questa procedura è stata adottata come parte delle misure standard in situazioni simili, ma è importante sottolineare che al momento non ci sono pericoli immediati per la popolazione italiana. 

Il vaccino
Molta della disinformazione che circola sui social riguarda il vaccino contro la dengue e, in particolare, il fatto che non esisterebbe una vaccinazione contro questo tipo di malattia. In generale, su questo argomento c’è molta confusione e un ruolo importante lo sta giocando la narrazione antivaccinista che pretende di “mettere in guardia” la popolazione da un nuovo vaccino che, viene lasciato intendere, sarà per tutti i cittadini.  

Ma facciamo ordine. Prima di tutto è importante chiarire che esiste un vaccino contro la dengue. Nel 2022 è stato autorizzato nell’Unione Europea un vaccino sviluppato dall’azienda giapponese Takeda. Si tratta di un vaccino vivo attenuato, cioè contiene versioni indebolite e non patogene delle quattro varianti del virus Dengue. Nel 2023 l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) l’ha approvato anche in Italia. Attualmente è l’unico vaccino per la prevenzione della malattia approvato nel nostro Paese anche per chi non ha avuto esposizione al virus o senza la necessità di eseguire un test pre-vaccinale. 

In Italia, il vaccino prodotto da Takeda sarà messo a disposizione all’Istituto Spallanzani di Roma a partire dalla settimana del 19 febbraio 2024, ma non sarà obbligatorio e, soprattutto, non sarà destinato a tutti i cittadini. La visita e la vaccinazione, infatti, saranno a carico dell’utente e quest’ultima sarà somministrata solo su richiesta e attraverso un sistema di prenotazione. Secondo Massimo Andreoni il vaccino è «da prendere in considerazione per chi vive nelle zone in cui l’infezione è endemica o per chi si reca in quelle aree», ma non c’è indicazione a vaccinare la popolazione generale.

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