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Le big tech salite sul carro di Trump hanno ricominciato a investire su X
Dopo l’insediamento della nuova amministrazione, aziende come Apple e Amazon si riallineano con la narrazione politica pro-Trump
Il rapporto tra la piattaforma X e i grandi investitori pubblicitari sembra ricucirsi. Dopo anni di conflittualità caratterizzati dalla gestione di Elon Musk, che ha favorito a più riprese post di disinformazione e disinvestito sulla moderazione dei contenuti, con la sua ascesa a esponente dell’amministrazione di Donald Trump alcuni colossi dell’advertising si sono riaffacciati sulla piattaforma. Tra questi Amazon, che ha da pochi giorni ripreso a investire in pubblicità sul social precedentemente noto come Twitter, come riportato dal Wall Street Journal. Non solo: anche Apple, che prima del cambio di proprietà del 2022 era tra i principali investitori in pubblicità su Twitter, sta valutando un ritorno.
La mossa si inserisce in un quadro più ampio di riallineamento delle big tech con la narrazione politica prevalente: quella pro-Trump. Dopo anni di tensioni tra le grandi aziende tecnologiche e l’attuale presidente, con Jeff Bezos tra i capifila dei suoi oppositori, il settore sembra ora spostarsi verso una strategia più opportunista, in un contesto politico sempre più polarizzato. Non è un caso che il fondatore di Amazon, durante la campagna elettorale, si fosse prodigato a censurare un editoriale di endorsement alla candidata democratica Kamala Harris in procinto di essere pubblicato sulla testata da lui posseduta, il Washington Post. Il tutto mentre i dirigenti della sua azienda spaziale, Blue Origin, incontravano Trump nella sua villa a Mar-a-Lago.
Secondo fonti vicine all’azienda, citate dal Wall Street Journal, Andy Jassy, CEO di Amazon, ha avuto un ruolo chiave nella decisione di aumentare la spesa pubblicitaria su X. Questo suggerisce un nuovo approccio strategico da parte del colosso dell’e-commerce, che potrebbe aver deciso di privilegiare gli investimenti in marketing rispetto alle preoccupazioni etiche e politiche, passate in secondo piano dopo il trionfo schiacciante di Trump alle presidenziali statunitensi. Ma Amazon non è l’unica a rivedere la propria posizione.
Il passo indietro delle big tech
L’avvicinamento tra le grandi aziende tecnologiche e l’entourage di Trump non è una prima volta. Anche nel 2017, durante la prima inaugurazione del presidente repubblicano, diversi CEO delle principali società tech hanno partecipato alla cerimonia, nonostante le tensioni preesistenti. L’inaugurazione del gennaio 2025, oltre che momento di investitura da parte di Mark Zuckerberg (CEO di Meta), Bezos e Musk stesso, è stata occasione di riavvicinamento per altri ex avversari: Google e Microsoft hanno contribuito con oltre un milione di dollari ciascuna al fondo inaugurale, mentre Apple sta cercando di mantenere un dialogo aperto con l’amministrazione, sebbene da una distanza di sicurezza. A recitare un ruolo in questo scenario anche il crescente scetticismo nei confronti delle regolamentazioni imposte durante la presidenza Biden, che ha spinto molti colossi tecnologici a rivedere le proprie priorità, cercando di evitare restrizioni su privacy, intelligenza artificiale e monopolio digitale.
L’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk nel 2022 per 44 miliardi di dollari ha segnato un punto di svolta nel rapporto tra politica dei social media. La sua gestione ha portato a un drastico cambiamento nelle politiche di moderazione, con un approccio più permissivo nei confronti della disinformazione, spacciata dal suo proprietario per libertà di espressione. X è divenuto col passare degli anni uno strumento di potere con una chiara agenda ideologica: anche grazie alla potenza trasformativa del suo social media, intuendo la possibilità di una vittoria repubblicana, Musk ha rafforzato i suoi legami con il mondo conservatore, fino a diventare uno dei principali sostenitori del tycoon al momento della sua candidatura come 47° presidente. Ha finanziato con circa 250 milioni di dollari la sua campagna elettorale e, in cambio, ha ottenuto un ruolo influente nel dipartimento per l’Efficienza del Governo (abbreviato in DOGE), che ha l’incarico di ridurre la spesa pubblica federale di 2.000 miliardi di dollari. Un incarico che sta generando tensioni a causa del conflitto di interessi che porta in seno: molte delle aziende di Musk (Tesla e SpaceX su tutte) vivono di commesse con l’amministrazione statunitense. L’uomo più ricco al mondo ha infatti ingenti interessi economici nei settori dell’intelligenza artificiale, dei trasporti e delle telecomunicazioni.
Il ritorno degli inserzionisti su X è una boccata d’ossigeno per la piattaforma, che negli ultimi anni ha affrontato gravi difficoltà finanziarie, arrivando a perdere tra il 70 e l’80 per cento del suo valore dal momento del suo acquisto a oggi. Dopo l’acquisizione, il crollo delle entrate pubblicitarie ha costretto Musk a cercare nuove fonti di guadagno, tra cui abbonamenti premium e nuovi modelli di monetizzazione per i creator. Tuttavia, la pubblicità resta la colonna portante del business di X. Le banche che avevano finanziato l’acquisto della piattaforma da parte di Musk hanno faticato a scaricare il debito dalle loro casse. Nel 2024, secondo il Wall Street Journal, hanno cercato di vendere le obbligazioni senior (i bond più sicuri emessi da una banca) di X a un valore compreso tra il 90 e il 95 per cento del loro valore nominale. Se il flusso di investimenti pubblicitari riprendesse in modo significativo, sarebbe più facile per gli istituti finanziari trovare acquirenti per quel debito. L’avventura politica, insomma, potrebbe essere per Musk un viatico per salvare la sua azienda dal fallimento e unire l’obiettivo originale – avere un megafono con cui diffondere la sua visione del mondo – al profitto.
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