di Francesca Capoccia
In questi ultimi giorni le foto di Ilaria Salis, ritratta con una catena legata alla vita (che ricorda un guinzaglio) e le manette ai polsi e alle caviglie in un’aula di tribunale in Ungheria, hanno attirato l’attenzione del dibattito pubblico italiano sul caso.
Salis, che è un’insegnante italiana di 39 anni, è reclusa nelle carceri ungheresi da quasi un anno con l’accusa di aver aggredito a febbraio 2023 tre persone durante il periodo delle celebrazioni del Tag der Ehre, “becsület napja” in ungherese, il “Giorno dell’onore” dedicato ai soldati nazisti tedeschi e ungheresi che fino alla metà di febbraio del 1945 tentarono di impedire l’assedio di Budapest da parte dell’Armata Rossa.
Il processo giudiziario nei confronti di Salis è appena iniziato, e la sua presunta colpevolezza deve essere ancora provata, ma sui media e sulle piattaforme di social network c’è chi ha già condannato l’insegnante definendola una «persona che delinque» e che deve restare «in galera a scontare la pena fino all’ ultimo giorno». Questi giudizi frettolosi e approssimativi sono figli anche e soprattutto di un dibattito inquinato dalla disinformazione e dalla scarsa conoscenza del caso che ha coinvolto la cittadina italiana detenuta in Ungheria.
Di cosa è accusata Ilaria Salis
Secondo il rapporto della polizia ungherese, tra il 9 e l’11 febbraio 2023 a Budapest si sono verificati quattro attacchi durante i quali un gruppo di uomini e donne ha aggredito otto persone, tre delle quali hanno riportato ferite gravi e cinque lievi. Secondo quanto riportato dalla stampa italiana, la prognosi per le vittime sarebbe stata tra i 5 e gli 8 giorni. Per la polizia, tutti gli autori avrebbero utilizzato lo stesso metodo: avrebbero attaccato alle spalle, colpendo le vittime con aste metalliche telescopiche e altri dispositivi, per poi spruzzargli addosso uno spray al peperoncino. Le vittime sarebbero state scelte in base al loro abbigliamento, spiegano ancora le forze dell’ordine ungheresi: abiti che richiamano uno stile militare.
A poche ore dagli incidenti sono state arrestate quattro persone: una donna ungherese, due cittadini tedeschi, e una cittadina italiana, ossia Ilaria Salis. L’insegnante è stata fermata nel pomeriggio dell’11 febbraio, il giorno dopo i fatti che le sono contestati, mentre si trovava a bordo di un taxi in compagnia di due cittadini tedeschi e con in tasca un manganello retrattile, riportano diversi media italiani. Secondo il padre Roberto, lo «aveva portato con sé per un’eventuale difesa personale» e su di esso non è stata rilevata «alcuna traccia delle vittime». La zia Carla Rovelli ha spiegato che la nipote si trovava a Budapest perché «ha sentito il bisogno di unirsi» alla contromanifestazione di protesta organizzata dai movimenti antifascisti contro il Tag der Ehre.
Questa giornata viene celebrata dalla fine degli anni Novanta da militanti neofascisti a Budapest per ricordare l’impegno dei militari nazisti durante la Seconda Guerra mondiale per fermare l’Armata Rossa. Fino a pochi anni fa venivano organizzati cortei, concerti ed eventi vari, mentre ora la polizia ungherese non autorizza più grandi parate a causa del pericolo di scontri e disordine pubblico. Oltre a militanti di estrema destra, infatti, a Budapest si recano annualmente anche gruppi pacifisti e antifascisti che organizzano contro manifestazioni di protesta, con il concreto rischio di scontri tra le due fazioni.
Ad oggi Ilaria Salis è accusata dalla procura ungherese di aver partecipato a due aggressioni e rischia un massimo di 24 anni di carcere. L’ipotesi dell’accusa è che abbia agito come membro di Hammerbande, un’organizzazione di antifascisti tedeschi fondata nel 2017 a Lipsia in Germania con l’intento di rintracciare e attaccare esponenti e militanti fascisti. Gli avvocati di Salis hanno spiegato che l’insegnante non risulta fra i membri dell’organizzazione, e il padre Roberto ha dichiarato a Repubblica di non aver mai sentito la figlia parlarne.
Le tre vittime che Salis avrebbe colpito non hanno sporto denuncia, in base a quanto dichiarato alla Stampa dal padre della donna. Le prove dell’accusa si basano sulle immagini delle telecamere di sorveglianza in cui le autorità ungheresi l’avrebbero riconosciuta, ma gli avvocati dell’imputata hanno denunciato l’impossibilità di visionare il filmato in questione. Salis, comunque, sostiene di non aver partecipato alle aggressioni, motivo per cui ha rifiutato una proposta di patteggiamento a 11 anni e all’udienza preliminare del 29 gennaio 2024 si è dichiarata innocente.
La condizioni carcerarie
Ciò che ha scatenato così tanto interesse sul caso Salis, come dicevamo, sono state le foto scattate durante l’udienza preliminare del 29 gennaio, dove Salis è stata fatta entrare in aula con «un guinzaglio collegato a un dispositivo alle caviglie e uno ai polsi», come definito da uno dei suoi avvocati, Mauro Straini.
Già nel 2018 l’Ungheria era stata richiamata dal comitato anti-tortura (CPT) del Consiglio d’Europa per l’uso inappropriato della manette in determinate situazioni, ad esempio alla vista del pubblico mentre vengono trasferite dalle strutture di detenzione ad altri luoghi come gli edifici giudiziari.
Quelle stesse foto sono state utilizzate da una parte dell’opinione pubblica per screditare le pessime condizioni carcerarie a cui è sottoposta Salis. Su X ci sono post che dipingono l’insegnante come in buona salute, sorridente, «non sofferente», che «non presenta segni di maltrattamento». Ma chi era in aula quel giorno racconta una storia diversa. Contattato da Facta, Alessandro Grimaldi, che vive in Ungheria dal 2005, lavora nel campo dei media ed era presente all’udienza, ha spiegato che «Salis ha sorriso perché era contenta di vedere amici presenti» che erano lì a Budapest proprio per il processo. «Sembrava un sorriso forzato, e solo da vicino ti potevi accorgere che era visibilmente stanca», ha aggiunto. Il padre Roberto ha più volte ribadito che la figlia è «molto forte» e cerca di sollevare il morale dei genitori il più possibile, ma nei primi mesi di carcere ha vissuto in condizioni difficili. Nei primi otto giorni, ha raccontato il padre in diverse occasioni, Salis sarebbe stata spogliata e lasciata solo con gli indumenti intimi, e le sarebbero stati dati dei vestiti sporchi e degli stivali con il tacco non della sua misura. Non le sarebbe stato consegnato nemmeno il kit igienico, e in quel periodo aveva anche le mestruazioni, afferma ancora Roberto Salis. Solo dopo 35 giorni dall’arresto l’ambasciata italiana le avrebbe consegnato dei vestiti di ricambio e un asciugamano.
Inoltre, in base a quanto comunicato dalla stessa Salis in una lettera recapitata lo scorso 2 ottobre al consolato italiano di Budapest, per sei mesi non ha potuto comunicare con la sua famiglia. «Il primo settembre (dopo 6 mesi di detenzione) ho ricevuto l’autorizzazione a comunicare con i miei!», ha scritto la donna. Nello stessa lettera, Salis, denunciava le pessime condizioni in cui era detenuta. «Per i primi tre mesi sono stata tormentata dalle punture delle cimici da letto, che mi creavano una reazione allergica. Nonostante le mie ripetute richieste e i segni visibili che avevo anche in volto, non ho ricevuto per tutto il periodo né gli antistaminici né la crema», si legge.
Le pessime condizioni di detenzione nelle carceri ungheresi sono da tempo denunciate da vari comitati ungheresi, tra cui Comitato Helsinki Ungherese. Sulla tematica era intervenuta anche la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) che nel 2015 aveva condannato l’Ungheria per le gravi violazioni dei diritti dei detenuti. Anche l’Unione europea ha espresso in passato le sue preoccupazioni sullo stato di diritto dell’Ungheria, sottolineando come il governo ungherese abbia messo a repentaglio il funzionamento del sistema costituzionale ed elettorale, l’indipendenza della magistratura e il pluralismo dei media. Anche varie organizzazioni, come Amnesty International, sono intervenute denunciando il mancato rispetto dei diritti umani nel Paese, come la libertà di religione, di associazione, il diritto alla parità di trattamento, i diritti delle minoranze, della comunità Lgbt+, dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati.
Ilaria Salis al momento dovrà continuare a restare in carcere, dove però le condizioni sembrano essere migliorate, ha raccontato il padre Roberto. Con l’udienza del 29 gennaio il giudice ungherese ha confermato la misura cautelare della detenzione in carcere per Ilaria Salis e ha fissato la prossima udienza al 24 maggio. L’obiettivo dei legali di Salis, al momento, è farla trasferire agli arresti domiciliari in Italia.
La disinformazione che circola sul caso
In questi giorni sui social network sta circolando un filmato in cui un uomo viene picchiato da un gruppo di persone a volto coperto. L’uomo aggredito, stando ai commenti che si leggono, sarebbe László Dudog, musicista rock ungherese che come immagine del profilo di Instagram ha il busto di Mussolini accanto a una bandiera della Lazio. A febbraio 2023, nel contesto delle aggressioni imputate a militanti antifascisti, l’uomo aveva dichiarato alla stampa ungherese che gli era stata «spaccata la testa, che poi è stata ricucita in ospedale», e rotto uno zigomo.
Tuttavia il video non sembra combaciare con la scena descritta da Dudog per diversi motivi: innanzitutto nelle immagini si vede solo un uomo, e la vittima ha dichiarato di essere stato aggredito mentre si trovava insieme alla compagnia. Inoltre, il filmato ritrae una scena ripresa di giorno, ma lui è stato picchiato in tarda notte. La persona ripresa nel filmato sarebbe invece T. Zoltàn, un tabaccaio che lavora in un punto vendita vicino a piazza Gazdagréti, luogo dell’aggressione avvenuta il 10 febbraio, intorno alle 12:30. Secondo quanto riportato dalla polizia il fatto rientra nelle aggressioni legate al gruppo antifascista.
Questo non è l’unico caso di disinformazione che circola sui social. Ad esempio, su X vengono accostate due foto (attenzione: si tratta di immagini forti) di un volto tumefatto e di una testa con profondi tagli. Secondo chi ha condiviso il contenuto, entrambe le foto mostrerebbero le conseguenze dell’aggressione a László Dudog. In realtà si tratta di due persone diverse. Una mostra effettivamente Dudog, ma l’altra persona è invece un cittadino tedesco che, insieme alla ragazza, è stato aggredito davanti al proprio alloggio sempre nel contesto delle aggressioni imputate a militanti antifascisti.
Contenuti disinformativi sono arrivati anche da importanti partiti politici italiani al governo. Il ministro degli Interni e leader della Lega Matteo Salvini il 31 gennaio su X si è scagliato contro l’insegnante accusandola di essere stata presente in occasione di un attacco al gazebo del partito italiano Lega Nord nel 2017, a Monza. In realtà Salis non ha partecipato agli attacchi al gazebo della Lega, come stabilito dal processo avviato in seguito a quei fatti. La giudice Maria Letizia Borlone il 1° dicembre del 2023 ha infatti accolto la richiesta di assoluzione avanzata sia dalla difesa che dal pubblico ministero, spiegando che «la mera partecipazione al corteo senza partecipazione o istigazione all’azione delittuosa non può costituire un’ipotesi concorsuale neanche morale». Inoltre, risulta che Salis all’epoca avesse addirittura tentato di fermare l’attacco al banchetto, come si può vedere in un filmato e come scritto dalla giudice nelle motivazioni. Ilaria Salis mise «il braccio dietro la schiena ad un giovane che aveva appena buttato a terra la bandiera leghista, come ad invitarlo a proseguire nel corteo», ha scritto la giudice.
Le dichiarazioni di Salvini non sono passate inosservate, e il padre Roberto Salis ha dichiarato di aver deciso di querelare il leader della Lega «a seguito delle dichiarazione lesive» della reputazione della figlia «per quanto riguarda il presunto assalto al chiosco della Lega a Monza».
Photo credits: laika1954 via Instagram