Il recente leak di documenti interni in un centro di propaganda russo controllato dal Cremlino, la Social Design Agency (SDA), ha poi dato uno spaccato molto interessante e dettagliato delle varie attività di interferenza da parte della Russia nelle opinioni pubbliche occidentali. In particolare risulta come venissero creati ad arte articoli di commento in lingue europee, meme, video, thread sui social, commenti, immagini (false) di street art, addirittura cartoni animati, che poi venivano rilanciati su diversi social media da migliaia di bot affinché diventassero virali. Lo scopo era sostenere le narrazioni di disinformazione della Russia sulla guerra in Ucraina e più in generale portare sostegno a quelle forze politiche che si oppongono agli aiuti militari ed economici a Kiev, danneggiando le altre.
Spesso, tuttavia, la Russia non ha nemmeno bisogno di creare autonomamente contenuti per influenzare le opinioni pubbliche occidentali: le è sufficiente aumentare la diffusione di quelle posizioni politiche, ideologiche o anche di comodo che sono favorevoli ai suoi interessi. In questo senso è particolarmente interessante la recente indagine del dipartimento di Giustizia americano, resa pubblica nel settembre 2024, su una compagnia americana che avrebbe ricevuto 10 milioni di dollari dall’emittente russa RT per diffondere contenuti che supportano gli interessi della Russia. Questa diffusione, secondo l’accusa, avveniva anche tramite influencer di estrema destra e simpatizzanti di Donald Trump, che erano probabilmente ignari di essere usati come pedine di Mosca. Le loro idee, infatti, sono quasi certamente genuine e non dicono le cose che dicono perché imbeccati dal Cremlino, ma perché le pensano davvero. In compenso il Cremlino ha tutto l’interesse affinché quelle cose siano viste e credute dal maggior numero possibile di persone, perché favorevoli agli interessi russi (in particolare, per spingere gli Stati Uniti ad abbandonare l’Ucraina al proprio destino).
Anche se al momento è quasi certamente il fenomeno più rilevante nel suo ambito, le influenze esterne russe non sono le uniche. Sono stati riscontrati in passato, in particolare durante la pandemia, tentativi di influenza da parte della Cina e operazioni di propaganda da parte degli Stati Uniti.
Le narrazioni di disinformazione
Prima di concludere vale la pena chiarire un concetto: quello di “narrazioni di disinformazione”, che è fondamentale per capire il funzionamento della disinformazione e il suo complesso rapporto con la libertà di espressione.
In ambito EDMO la definizione di “narrazione di disinformazione” che viene utilizzata è «il messaggio che emerge chiaramente da un insieme di contenuti dimostrabilmente falsi con la metodologia del fact-checking». Questo approccio dal basso verso l’alto, che si basa cioè sull’analisi di contenuti fattuali che non sono opinioni e la cui correttezza o meno può essere dimostrata, e che prescinde dallo stabilire se la falsità è stata creata intenzionalmente o meno, è una fondamentale garanzia contro qualsiasi eccesso di discrezionalità.
Che una certa foto sia stata manipolata, che un video sia stato modificato con l’intelligenza artificiale, che un dato contenuto in una dichiarazione sia errato, non sono questioni soggettive. Se poi questi contenuti veicolano, ad esempio, il messaggio che il governo ucraino è in larga parte composto e supportato da nazisti, si può dire che questa sia la narrazione di disinformazione.
Ma è qui che le cose si complicano. È possibile, e spesso accade, che una narrazione di disinformazione possa sovrapporsi a una legittima opinione, che in quanto tale non può essere considerata vera o falsa. Ad esempio, c’è indubbiamente una narrazione di disinformazione secondo cui gli immigrati, in particolare quelli di religione musulmana, non sarebbero compatibili con le società europee. Nel corso degli anni abbiamo infatti verificato una quantità enorme di contenuti dimostrabilmente falsi e fuorvianti che trasmettono questo messaggio. Ma questo messaggio è allo stesso tempo una legittima opinione. Quando diciamo, quindi, che esiste questa narrazione di disinformazione non stiamo dicendo che l’opinione sia sbagliata, diciamo più semplicemente che a sostegno di quell’opinione sono stati diffusi una serie di contenuti dimostrabilmente falsi.
Diffidare dalle semplificazioni senza cadere nel nichilismo
La disinformazione non è insomma un fenomeno semplice e lineare. È una nube tossica di particelle che sembrano, e spesso sono, impazzite. A volte si riesce a scovare un filo rosso che unisce vari punti e racconta una storia ben precisa, come quella di un’operazione di influenza russa durante la campagna elettorale per le elezioni americane, o come quella di una falsità diffusa sui social dall’estrema destra inglese, a proposito di un caso di cronaca, che porta poi a episodi di violenza contro la comunità musulmana nel Regno Unito.
È importantissimo che queste storie vengano analizzate e raccontate. Ma non si deve cedere alla tentazione delle semplificazioni: è tutta colpa della Russia, è tutta colpa dei social network, è tutta colpa dell’estrema destra, e via dicendo. Molti di questi attori hanno grandi responsabilità, ma nessuno è da solo il demiurgo della disinformazione. È poi fondamentale non scoraggiarsi: la diffusa circolazione di falsità non vuol dire che sia tutto falso o che non ci si possa fidare più di nulla. Spingere le persone nel nichilismo e nell’apatia, far loro diffidare anche di ciò che è dimostrabilmente vero, è uno degli obiettivi principali di chi diffonde consapevolmente la disinformazione.
Gli attori più importanti nel contrasto alla disinformazione sono insomma le persone. Sono loro che hanno il potere, e quindi la responsabilità, di diffondere o meno un certo contenuto, di renderlo virale, di credere a quello che è vero e di non credere a quello che è falso. Per questo è fondamentale informarle correttamente, investigare e portare alla luce eventuali operazioni di propaganda e disinformazione, mettere a loro disposizione contenuti e strumenti di fact-checking, educarle alla “media literacy” – cioè la capacità di comprendere e valutare criticamente i diversi aspetti dei media a cominciare dai loro contenuti –, e in generale renderle consapevoli del ruolo centrale che ricoprono nella prevenzione e nel contrasto alla disinformazione.