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La Generazione Z è particolarmente vulnerabile alla disinformazione, ma ne è consapevole

Secondo alcuni esperti, la convinzione che i più giovani abbiano una migliore alfabetizzazione digitale non è supportata dalla ricerca

11 aprile 2025
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La generazione Z, cioè i nati tra il 1997 il 2012, è uno dei gruppi sociali più vulnerabili alla disinformazione, ma è anche tra i più consapevoli di esserlo. Lo scrive un gruppo di psicologi sulla rivista Personality and Individual Differences, tra cui Sander Van Der Linden, uno dei più noti studiosi di psicologia della disinformazione.

La disinformazione, scrivono gli autori, rappresenta «una seria minaccia per il funzionamento delle società in tutto il mondo» e per contrastare questo problema serve fare ricerca, per comprendere chi è maggiormente a rischio e quali sono i fattori e le dinamiche alla base della diffusione di questo fenomeno.

Gli esperti hanno condotto una ricerca che ha coinvolto più di 66.000 partecipanti in 24 Paesi, chiedendosi quanto sia probabile che diversi gruppi siano vittime della disinformazione e quanta consapevolezza abbiano gli stessi riguardo alla propria capacità di riconoscere le notizie false.

Per fare questo hanno utilizzato un test psicometrico progettato per questo tipo di analisi dall’Università di Cambridge. Il test è composto da venti notizie, metà vere e metà false, e assegna un punteggio a ogni risposta. Tra le notizie false comparivano titoli come “Il governo sta compiendo un massiccio insabbiamento del proprio coinvolgimento nell’11 settembre”, “Il governo sta consapevolmente diffondendo malattie attraverso le onde radio e il cibo” e “Alcuni vaccini contengono tossine e sostanze pericolose”. I partecipanti dovevano poi rispondere a questa domanda: “quanto pensi che sia buona la tua capacità di distinguere le notizie vere dalle notizie false?”.

Dai risultati è emerso che i gruppi più vulnerabili alla disinformazione, oltre alla generazione Z, sono i non-maschi, le persone meno istruite e di orientamento politico più estremo verso destra. Tuttavia alcuni gruppi sono apparsi più coscienti di altri delle proprie difficoltà nel riconoscere la disinformazione e tra questi ci sono anche i membri della Generazione Z.

Un risultato simile era stato ottenuto da un sondaggio svolto dalla società YouGov nel 2023 su un campione di cittadini americani attraverso lo stesso test di suscettibilità alla disinformazione. I giovani avevano ottenuto risultati peggiori rispetto ai più adulti: 12 risposte corrette in media su 20, rispetto ai 15 dei secondi. 

Anche le donne, sebbene leggermente più propense degli uomini a credere vera una notizia falsa, sono state più accurate nel valutare le proprie capacità. Invece, le persone con titoli di studio più elevati avevano la tendenza a sovrastimarle, nonostante abbiano ottenuto punteggi più alti di quelle non istruite, cosa di per sé non sorprendente.

Uno degli aspetti più rilevanti di questa ricerca riguarda proprio la Generazione Z. Gli autori dello studio scrivono che l’idea secondo cui i nativi digitali abbiano una migliore alfabetizzazione nell’uso della Rete e nella capacità di orientarsi tra i contenuti on-line è «da tempo popolare tra educatori, genitori e decisori politici» sebbene sia stata «ampiamente screditata dalla ricerca empirica». Già nel 2017 uno studio aveva presentato le evidenze che suggerivano che non esistesse qualcosa come un nativo digitale che avesse competenze riguardo al mondo della Rete per il semplice fatto di non aver mai conosciuto un mondo non-digitale.

Secondo Friedrich Götz, professore di psicologia all’Università della British Columbia, in Canada, e uno degli autori della nuova ricerca, «c‘è ancora questa diffusa convinzione errata che i nativi digitali siano più abili» a muoversi nell’ambiente online. Il fatto che si sia rivelata infondata non si è ancora tradotto nella coscienza pubblica.

Lo studio suggerisce che, invece, i membri di questa fascia della popolazione ne siano consapevoli. Nessuna categoria è completamente immune alla disinformazione e, come sottolinea Götz, «dovremmo renderci conto che tutti noi siamo esposti regolarmente alla disinformazione e che tutti noi probabilmente prima o poi ne saremo vittime».

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