
La “ghiblizzazione” della propaganda politica
Negli ultimi giorni diversi leader e partiti politici hanno cavalcato il trend delle illustrazioni generate dall’IA con lo stile dello Studio Ghibli
Negli ultimi giorni le immagini «ghiblizzate», ispirate cioè al celebre studio di animazione giapponese Ghibli, si sono moltiplicate esponenzialmente sulla Rete: decine se non centinaia di migliaia di persone hanno dato in pasto all’intelligenza artificiale proprie foto o prompt più o meno dettagliati per ricreare momenti storici, meme o attimi di vita quotidiana in quello stile e quei colori inconfondibili.
Il trend è esploso dopo che OpenAI ha introdotto una nuova funzionalità per generare immagini, integrata con ChatGPT, e che risponde a istruzioni molto più complesse. Il primo risultato è stata quella che in inglese viene definita la «slopification» dello studio Ghibli, ovvero quel meccanismo per cui una cosa diventa incredibilmente sciatta, di bassa qualità, in pratica una sbobba schifosa.
E di AI slop – la sbobba generata dall’IA – da un po’ di tempo su tutti i social network ce n’è sempre di più, anche grazie al contributo dell’estrema destra al potere che ne ha fatto uno strumento di propaganda. Questa volta a farne le spese è stato il co-fondatore dello Studio Ghibli e maestro dell’animazione Hayao Miyazaki.
Ad annunciare la nuova funzionalità di ChatGPT è stato lo stesso Sam Altman che, a una manciata di ore dal lancio, ha contribuito ad amplificare il trend cambiando la propria foto profilo di X con un suo ritratto «ghiblizzato».
Le immagini create da ChatGPT hanno avuto un tale successo che l’estensione alla versione gratuita è stata rimandata. Sempre su X, Altman ha persino chiesto alle persone di generare meno immagini per permettere di fare una pausa al suo team, che non riesce a stare dietro all’alto numero di accessi alla piattaforma.
can yall please chill on generating images this is insane our team needs sleep
— Sam Altman (@sama) March 30, 2025
L’area grigia legale in cui si muovono OpenAI e l’IA generativa
Il fatto che le immagini «ghiblizzate» siano così simili allo stile di Miyazaki ha sollevato subito un tema non nuovo quando si parla di intelligenza artificiale generativa.
Come ha spiegato a TechCrunch un legale che si occupa di proprietà intellettuale, generatori di immagini come GPT 4.0 si muovono in un’area grigia, poiché lo stile di per sé non è protetto dal diritto d’autore.
Il problema risiede piuttosto nel fatto che queste tecnologie, per riuscire come in questo caso a riprodurre immagini «ghiblizzate», si sono dovute addestrare su milioni di frame contenuti nei film dello Studio Ghibli. È plausibile che questo tipo di addestramento sia stato fatto senza il consenso del diretto interessato o senza pagare i diritti d’autore.
Negli Stati Uniti sono stati aperti diversi contenziosi legali proprio per questo motivo: tra i casi più noti c’è la denuncia fatta dal New York Times contro OpenAI e Microsoft, a fine 2023, proprio perché i chatbot di queste due aziende si sarebbero addestrate su milioni di articoli del quotidiano americano senza chiedere alcun tipo di autorizzazione.
Al momento non ci sono ancora sentenze che facciano giurisprudenza sulla materia. Nel frattempo, però, c’è chi si sta adoperando per salvaguardare il lavoro degli artisti dallo scraping (la raccolta automatizzata dei dati) massivo e non consensuale.
La rivista MIT Technology Review ha recentemente parlato di due strumenti in via di sviluppo in grado di mascherare le informazioni contenute nelle immagini online. Agendo sul livello dei pixel – apportando quindi modifiche impercettibili all’occhio umano – si riesce ad “avvelenare” e sabotare il processo di addestramento dell’intelligenza artificiale, che così genererà degli output totalmente inaspettati (come un cane che sembra un gatto, e così via).
L’utilizzo politico delle immagini «ghiblizzate»
Nel frattempo, il fenomeno delle immagini «ghiblizzate» ha assunto anche una rilevanza politica e propagandistica.
Sui social sono comparse riproduzioni di vari avvenimenti storici, come l’omicidio dell’ex premier giapponese Shinzo Abe, l’assassinio del presidente statunitense John Fitzgerald Kennedy e i carri armati in piazza Tiananmen nel 1989.
Dal canto suo, il presidente francese Emmanuel Macron ha ringraziato la Protezione Civile francese per i sessant’anni di onorato servizio con un’immagine generata con l’IA.
L’account ufficiale di Fratelli d’Italia su Instagram ha invece pubblicato due illustrazioni celebrative di Giorgia Meloni in stile Ghibli, sollevando diverse critiche sui social. Molti utenti, anche nei commenti al post, hanno citato una famosa scena del film Porco Rosso del 1992 in cui il protagonista dice: «piuttosto che diventare un fascista, meglio essere un maiale».
Anche la Casa Bianca ha ricondiviso sul proprio account ufficiale di X la notizia dell’arresto di una donna originaria della Repubblica Dominicana, presunta trafficante di fentanyl, ricorrendo proprio a un’immagine «ghiblizzata».
https://t.co/PVdINmsHXs pic.twitter.com/Bw5YUCI2xL
— The White House (@WhiteHouse) March 27, 2025
In questo ultimo caso specifico, per un crudele contrappasso lo stile di Miyazaki viene utilizzato da politici autoritari che reprimono il dissenso e che fanno del nazionalismo e della lotta all’immigrazione i capisaldi del proprio programma politico. Valori ripudiati dall’artista giapponese, che ha sempre intriso tutta la sua opera di un profondo sentimento antifascista.
Le posizioni di Miyazaki sull’uso dell’IA nell’animazione
«Il fatto che [OpenAI] abbia scelto Ghibli è indicativo della popolarità di Miyazaki e soci, ma anche delle dimensioni ridotte dello studio. Difficilmente vedremo qualcosa del genere con lo stile Disney: gli avvocati del colosso americano darebbero filo da torcere ai responsabili», ha spiegato a Facta Matteo Boscarol, critico cinematografico e autore del libro I mondi di Miyazaki, percorsi filosofici negli universi dell’artista giapponese (Mimesis Edizioni).
«La stessa cosa succederebbe probabilmente se ad essere “colpito” fosse uno studio giapponese con più risorse economiche come Toei, studio di animazione che produce One Piece», prosegue Boscarol.
Per il resto, Miyazaki è stato spesso critico nei confronti delle tecnologie e del lavoro grafico prodotto dalle macchine. In passato aveva definito la computer grafica (CGI) come «debole, superficiale e falsa». In un’intervista al Guardian del 2005 si era però parzialmente ricreduto, dicendo che «la CGI ha il potenziale per eguagliare o persino superare ciò che la mano umana può fare. Ma per me è troppo tardi per provarci». In un discorso ai suoi collaboratori del 2016 Miyazaki aveva invece speso parole durissime contro l’intelligenza artificiale, definendola «un insulto alla vita stessa» e spiegando che non l’avrebbe mai integrata al suo lavoro.
We thought we’d also hop on the Ghibli trend. pic.twitter.com/fdmUfn3o4o
— Israel Defense Forces (@IDF) March 30, 2025
A quest’ultimo proposito, Boscarol sottolinea come il commento fosse «in risposta a un video sperimentale realizzato completamente con l’intelligenza artificiale – molto brutto e amatoriale fra le altre cose – mostratogli da alcuni esperti del settore. Il commento non era certo in risposta all’AI usata “rubando” o non pagando i diritti d’autore durante il processo di apprendimento».
Dell’utilizzo dell’IA nell’animazione si è discusso anche alla terza edizione del Niigata Animation International Film Festival, tenutosi a marzo. «Molte delle persone presenti», racconta Boscarol, che ha seguito l’incontro, «vedono l’impiego di queste tecnologie come un possibile e inevitabile aiuto nel processo produttivo dell’animazione, un mezzo per tagliare i costi e non sfruttare gli animatori, che sono storicamente sottopagati in Giappone».
Naturalmente, i problemi principali – sollevati anche nella tavola rotonda di Niigata – sono quelli «legati ai diritti d’autore violati o non pagati durante il processo di apprendimento dell’IA; e quello della modalità con cui integrare la visione autoriale del regista con la tecnologia, che dovrebbe occuparsi solamente della parte più ripetitiva e monotona della catena di montaggio dell’animazione».
Nell’attesa di una dichiarazione di Miyazaki o di un comunicato dello Studio Ghibli sul trend lanciato da OpenAI, vale la pena riportare un aneddoto che lo stesso regista ha confermato sempre nella già citata intervista rilasciata Guardian del 2005.
Quando la Miramax venne incaricata della distribuzione negli Stati Uniti della Principessa Mononoke, Miyazaki inviò al produttore Harvey Weinstein (condannato nel 2023 a 16 anni di carcere per violenza sessuale e stupro) una katana accompagnata dal messaggio «No cuts» («niente tagli»).
L’iniziativa, raccontò Miyazaki al quotidiano britannico, era stata del socio e produttore dello studio Ghibli, Suzuki Toshio, che ama ingrandire le storie e creare mitologie. Tuttavia, quando incontrò Weinstein a New York, Miyazaki rimase profondamente turbato dall’aggressività del produttore americano e dalle sue continue richieste di fare tagli.
Probabilmente anche grazie a quel gesto lo studio Ghibli ebbe la meglio sulla Miramax, che non fece più alcun taglio sul film di animazione.
- Questa foto di una giovane donna con il padre netturbino è stata creata artificialmenteQuesta foto di una giovane donna con il padre netturbino è stata creata artificialmente
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