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Uomini che odiano le donne, online

Sui social media italiani spopolano le parole d’ordine degli incel redpillati, una comunità fondata su un’ideologia violenta e misogina che negli anni è stata collegata a svariati crimini d’odio

31 ottobre 2024
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Quando il 20 ottobre scorso il deputato leghista Alberto Bagnai ha pubblicato su X la frase «Cumcettina, come stai?» per rivolgersi a una sua follower, la maggior parte degli utenti della piattaforma avrà pensato a un affettuoso scambio di cordialità tra conoscenti. Bagnai stava invece attingendo da una terminologia nata negli ambienti più misogini dell’internet italiano, partorita da una comunità cresciuta ai margini di un’ideologia estremista che negli anni è stata collegata a crimini d’odio e attacchi terroristici.

Rintracciare le origini del termine non è difficile: la parola Cumcettina viene utilizzata per descrivere una ragazza dall’aspetto insignificante e dalla personalità anonima, alla ricerca di un partner decisamente più attraente di lei. La formula deriva dal nome Concettina, associato allo stereotipo della donna meridionale, mentre il prefisso Cum- in inglese significa “sperma” e strizza l’occhio a una sua presunta promiscuità sessuale. Cumcettina è insomma tutto ciò che la comunità degli incel redpillati detesta: una donna che sceglie liberamente il suo partner sessuale. 

Gli incel e la pillola rossa   

Gli animatori di questa comunità si fanno chiamare incel, contrazione di involuntary celibates (celibi involontari), e a un primo sguardo si presentano come una sottocultura di internet particolarmente misogina e aggressiva, che accusa le donne  – e il femminismo in generale – di discriminare gli uomini poco attraenti, privandoli di quelli che considerano diritti inalienabili: il sesso e l’affettività. I loro luoghi di incontro virtuali sono i forum online, spazi in cui avviene la condivisione di esperienze più o meno traumatiche con il genere femminile, ma negli ultimi tempi le politiche di moderazione volute da Elon Musk hanno portato le parole d’ordine di questi gruppi a spopolare anche su X.

Oltre che una sottocultura, quella incel è anche e soprattutto una vera e propria ideologia, con testi di riferimento, tentativi di elaborazione teorica e una mitologia condivisa. Una parte maggioritaria degli incel crede che alla base di tutte le dinamiche umane ci sia la cosiddetta “teoria LMS”, un acronimo che sta per Look (aspetto fisico), Money (disponibilità economica) e Status (status sociale). Sarebbero queste tre variabili a condizionare la vita affettiva e sessuale di ciascun individuo, che può lavorare sul successo personale e su quello economico, ma che difficilmente potrà sfuggire al giudizio estetico. Non a caso i membri della comunità incel sono ossessionati dall’aspetto fisico e una delle attività principali dei forum di discussione sul tema consiste nel dare un voto alle caratteristiche fisiche degli utenti.

Secondo questa frangia di incel, esisterebbero due tipi di uomini: chi ha preso la pillola blu (blue pill o blupillati, in italiano) e chi invece ha scelto la pillola rossa (red pill o redpillati). Si tratta di una citazione proveniente dal primo episodio della saga cinematografica Matrix diretta dalle sorelle Wachowski, in cui il protagonista è posto di fronte alla scelta di prendere la pillola rossa e vedere il mondo nella sua vera natura o di prendere quella blu, continuando a vivere in una comoda finzione. Allo stesso modo, la maggior parte degli incel sostiene di aver scelto la pillola rossa e di aver cioè compreso quella che considerano la reale natura dei rapporti tra uomo e donna: una relazione basata sulla subordinazione, in cui il genere femminile – uscito vincitore dalla rivoluzione sessuale del Sessantotto – detiene tutto il potere sessuale e può decidere di “ipergamare”, ovvero scegliere partner più attraenti e lasciare gli uomini meno prestanti nel celibato involontario, appunto.

La mitologia redpill

Le teorie incel arrivano per larga parte dagli Stati Uniti, dove le prime comunità si erano costituite come gruppi di pressione spontanei per sensibilizzare la società sul tema degli uomini “privati” della possibilità di avere relazioni affettive e sessuali, e in quanto tali oppressi. Col tempo le cose sono però cambiate e le principali comunità sono andate incontro a un rapido, quanto spaventoso, processo di radicalizzazione. 

Il punto di svolta è arrivato il 23 maggio 2014, quando l’allora ventiduenne Elliot Rodger si rese protagonista del massacro di Isla Vista, in California, una strage in cui morirono sei persone. Prima di entrare in azione e aprire il fuoco in un’associazione studentesca femminile, Rodger aveva pubblicato un documento autobiografico di 141 pagine, nel quale dichiarava di aver scelto la vendetta nei confronti di una società che gli aveva «negato il sesso e l’amore». Il documento, che oggi è diventato un vero e proprio manifesto incel, si conclude con la frase: «Io sono la vera vittima di tutto questo. Io sono un bravo ragazzo». Rodger, che poco dopo l’azione si tolse la vita, era un membro attivo di PUAHate, un forum della comunità incel americana rimosso dal web in seguito alla strage. 

In breve tempo Elliot Rodger è diventato un simbolo negli spazi virtuali abitati dagli incel, l’eroe che per primo ha imbracciato le armi e dato inizio alla «ribellione», come l’ha definita il 23 aprile 2018 su Facebook Alek Minassian, poco prima di uscire di casa e investire 26 persone con un furgone preso a noleggio. Una ribellione che da allora ha provocato oltre 50 vittime tra Canada e Stati Uniti, tutte riconducibili ad azioni criminali motivate da odio misogino e innescate da persone definitesi incel. 

Nel 2023 un tribunale canadese ha parlato per la prima volta di «atto terroristico ispirato dal movimento incel», mentre in molti Stati americani – tra cui il Texas – la comunità è trattata come una potenziale minaccia di terrorismo interno. In Italia la percezione del fenomeno è ancora piuttosto distante da quella sviluppata in Nord America, complice l’assenza di atti violenti riconducibili agli incel. Nonostante ciò, le comunità italiane appaiono ben strutturate e in costante espansione. Proprio come negli Stati Uniti, il loro collante ideologico è la misoginia e il disprezzo per ogni forma di femminismo e per questo motivo nelle comunità online le donne non sono mai chiamate con il loro nome ma definite “NP”, ovvero “non persone”. 

Nella rappresentazione messa in scena dal mondo incel italiano, le “non persone” sono quasi tutte Cumcettine con l’obiettivo di ipergamare, mentre gli uomini che non hanno preso la pillola rossa si dividono in Chad – naturalmente prestanti e per questo ambiti dalle Cumcettine – e Piergiorgio, ossia il ragazzo normale costretto a ipogamare, ad “accontentarsi” di una donna meno attraente. Questo concetto è recentemente diventato la base per una serie di meme misogini e grassofobici molto diffusi su X. Ci sono poi le Stacy, femminili, attraenti e che escono solo con i Chad. 

Insomma, nella retorica incel tutto contribuisce a dipingere il quadro di un genere maschile “oppresso” dalla libertà femminile, sessualmente represso e discriminato. Una condizione che nell’ideologia redpill si può ribaltare in un solo modo: la restaurazione del patriarcato.

Ideologia o condizione?

Di pari passo con le fantasie misogine, un’altra delle convinzioni radicate nei gruppi dedicati alla redpill è che quella incel non sia un’ideologia né tantomeno un movimento, bensì una condizione medica.

In altre parole, nessuno sceglierebbe davvero di essere incel, il celibato involontario è semplicemente qualcosa che hai dentro e sviluppare una rabbia misogina la naturale conseguenza di un malessere ineludibile. Partendo dal presupposto che il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5) non contiene alcun riferimento a una simile condizione medica, abbiamo chiesto il parere di Federico Russo, psicologo e psicoterapeuta che da anni si occupa del tema a livello clinico.

«Partiamo dal presupposto che gli incel non sono dei mostri e che come tutti affrontano ansia sociale e un senso di inadeguatezza verso sé stessi» ha spiegato Russo alla redazione di Facta, «quando una persona che si identifica o che si identificherà come incel vive un rifiuto, anche fisiologico, questo si trasforma in un blocco che porta a non voler ripetere l’esperienza. Non a caso molti incel scelgono la via della reclusione e dell’isolamento sociale, diventando ciò che in gergo si definisce un hikikomori»

Secondo Russo, dunque, il quadro clinico di un incel non è così dissimile da quello di chi sviluppa uno stato depressivo come conseguenza di un trauma o di un rifiuto. La differenza, semmai, sta nelle risposte che ciascuno elabora a quel rifiuto. «Gli incel pensano di non poter stabilire relazioni romantiche o sessuali, ma il desiderio non manca» continua Russo, «e questo innesca un conflitto tra ciò che si desidera e l’ostacolo rappresentato dalla propria ansia, dall’insicurezza». Un conflitto che si trasforma in frustrazione, in rabbia verso sé stessi e verso il mondo. Una rabbia cieca rivolta soprattutto verso l’oggetto del proprio desiderio, in questo caso le donne. È così che si innesca un processo di radicalizzazione che porta a odiare indistintamente il genere femminile e una società che viene vista come materialista ed escludente. 

Questa è la risposta più semplice, quella che sceglie di scaricare tutte le proprie frustrazioni su un capro espiatorio. «Il problema è proprio che questa narrazione è estremamente semplice, semplifica la realtà» spiega ancora Russo. «Di conseguenza, un po’ come accade ai complottisti, entra in gioco un tratto chiamato “need for closure”, opposto al cosiddetto “need for cognition”, che rappresenta una chiusura istantanea all’incertezza, preferendo narrazioni distorte e semplificate a una realtà complessa e ricca di sfumature». Questo approccio viene poi amplificato dalle dinamiche di gruppo che si innescano su forum e comunità incel e che tendono a confermare i pregiudizi sviluppati individualmente. 

Una tale banalizzazione della realtà finisce per favorire la radicalizzazione, un meccanismo che ha come logica conseguenza la disumanizzazione dell’altro. «Obbedire a questa narrazione è facile e la deumanizzazione ne è la conseguenza più o meno naturale. Esattamente come i terroristi tendono a non avere rimorsi nell’uccidere individui o interi gruppi sociali, proprio perché quelle persone non vengono considerate esseri umani», conclude Russo. Da qui alla misoginia estrema, alle “non persone” e alle teorie totalizzanti sui rapporti umani, il passo è veramente breve. Un passo che però è sempre e comunque una scelta personale, non la realizzazione di un destino ineludibile dovuto a una condizione medica.

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