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Come Musk, Milei e Trump sono diventati dei “fuffaguru” delle criptovalute

Alcuni tra gli uomini più influenti al mondo stanno promuovendo delle improbabili “meme coin”, con risultati non proprio incoraggianti

21 febbraio 2025
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Javier Milei è finito nel peggior scandalo della sua presidenza a causa di una criptovaluta. Tutto è cominciato il pomeriggio di venerdì 14 febbraio 2025, quando il presidente argentino ha pubblicato un post sul suo profilo X – seguito da quasi quattro milioni di persone – con cui promuoveva il token $LIBRA.

«L’Argentina liberale sta crescendo!», ha scritto enfaticamente. «Questo progetto privato sarà dedicato a incoraggiare la crescita dell’economia argentina, a finanziare le piccole imprese e le iniziative argentine. Il mondo vuole investire in Argentina. $LIBRA». Al termine c’era anche un link al progetto, chiamato «Viva la libertad project» in omaggio allo slogan di Milei «Viva la libertad, carajo!”»

Il post è stato interpretato come un invito a investire, e in pochi minuti il valore di ogni $LIBRA è passato da pochi centesimi a oltre cinque dollari, toccando un market cap (capitalizzazione di mercato) di oltre quattro miliardi di dollari.

Tuttavia, in poche ore quel valore si è praticamente azzerato: circa l’80 per cento della criptovaluta era concentrato in cinque portafogli (cioè cinque conti), che si sono intascati la liquidità. In sostanza, i primi investitori hanno incassato più di 90 milioni di dollari, mentre circa 40mila persone hanno perso tutto l’investimento.

$LIBRA ha dunque seguito lo schema di una delle più classiche truffe cripto: il «rug pull», un’espressione idiomatica che significa «levare il tappeto da sotto i piedi». Si verifica quando gli sviluppatori di una criptovaluta generano attenzione sul progetto (preferibilmente con l’aiuto di personalità pubbliche), attirano molti investitori e poi «tirano via» la maggior parte del capitale investito a loro vantaggio, lasciando le persone con un token che non vale più nulla.

Milei ha cancellato il tweet dopo qualche ora, aggiungendo di non aver promosso la criptovaluta in alcun modo. Ha poi addossato la colpa agli investitori: «se vai al casinò e perdi soldi, di cosa ti lamenti?». Il presidente argentino ha poi detto di non aver «alcun rapporto con la società che ha creato questa criptovaluta», che si chiama KIP Protocol.

Tuttavia, come ha puntualizzato la stampa argentina, il fondatore dell’azienda Julian Peh – un argentino con la cittadinanza a Singapore – si era visto con Milei lo scorso ottobre per discutere di intelligenza artificiale e investimenti.

Un altro promotore, lo statunitense Hayden Mark Davis, ha detto in alcuni messaggi rivelati dal quotidiano La Nacion di aver pagato Karina Milei – sorella e principale consigliera del presidente – per far promuovere la criptovaluta. Davis ha poi negato al sito CoinDesk di aver dato soldi a Karina.

La Nacion ha inoltre scoperto che la sorella di Milei ha organizzato un incontro alla Casa Rosada (il palazzo presidenziale) con Mauricio Novelli, un investitore in criptovalute legato ai promotori di $LIBRA.

L’opposizione ha proposto l’istituzione di una commissione d’inchiesta, ma il Senato ha respinto la richiesta per un solo voto, optando per una richiesta formale di spiegazioni all’esecutivo. Nel frattempo, decine di investitori raggirati hanno sporto denuncia sia in Argentina che negli Stati Uniti.

L’ascesa delle «meme coin», da Dogecoin a Luigi Mangione

La crisi che ha investito Milei è il segnale di un fenomeno più ampio: la crescente rilevanza delle cosiddette «meme coin», ossia le criptovalute basate su meme di Internet.

A lungo le «meme coin» sono state relegate ai margini della comunità cripto e considerate una cosa poco seria, oltre che un pessimo investimento. La prima criptovaluta di questo genere, del resto, era nata proprio per scherzo.

Nel 2013, gli ingegneri informatici Billy Markus e Jackson Palmer avevano creato «Dogecoin», una criptovaluta ispirata al famoso meme di Doge, un cane Shiba Inu giapponese di nome Kabosu (poi deceduto nel maggio del 2024). L’intento era satirico: i due volevano prendersi gioco di Bitcoin, la prima criptovaluta decentralizzata inventata nel 2009 da “Satoshi Nakamoto”, la cui identità rimane ancora oggi avvolta nel mistero.

Dogecoin ha oscillato per anni tra alti e bassi, salvo poi esplodere nel 2021 grazie all’interessamento di Elon Musk. Sull’allora Twitter l’imprenditore sudafricano l’aveva descritta come «la valuta del futuro della Terra», mentre in un’apparizione alla trasmissione Saturday Night Live si era autodefinito «the Dogefather» – il padrino della criptovaluta.

La pubblicità di Musk ha portato Dogecoin al suo massimo storico di 0,7376 dollari. Il proprietario di Tesla e SpaceX è stato poi accusato da un gruppo di investitori di aver allestito uno schema piramidale, ma la causa da 258 miliardi di dollari è stata archiviata.

Nel 2022 la «meme coin» è stata invece travolta dal crollo generalizzato del mercato delle criptovalute ed è precipitata a 0,05 dollari. Si è ripresa lentamente nel 2023, per poi registrare una nuova impennata nel 2024 grazie alla vittoria di Trump alle presidenziali e – ancora una volta – a Musk.

L’imprenditore è stato infatti messo a capo del cosiddetto «dipartimento per l’efficienza governativa», che in inglese compone l’acronimo DOGE. La notizia ha fatto schizzare in alto la valutazione di Dogecoin, che nell’arco di qualche giorno è cresciuta del 121 per cento.

Nell’ultimo anno – insieme all’ascesa di piattaforme di trading come Pump.fun, Solana o Raydium – si è creata una vera e propria bolla delle «meme coin», al punto tale che diversi osservatori l’hanno paragonata alla bolla dei NFT (acronimo di «non fungible token») scoppiata tra il 2021 e il 2022.

Secondo un rapporto di DWFLabs, una società di intermediazione cripto, il valore (virtuale) delle «meme coin» è passato da 20 miliardi di dollari a 120 – un aumento del 500 per cento. La crescita è dovuta soprattutto alla facilità con cui si possono creare queste criptovalute, sfruttando per l’appunto i meme virali, le celebrità o i fatti d’attualità. A titolo di esempio, come avevamo sottolineato su Facta, sono state dedicate decine di «meme coin» a Luigi Mangione, accusato dell’omicidio dell’amministratore delegato di UnitedHealthcare Brian Thompson.

Un’altra caratteristica fondamentale di queste criptovalute è la loro estrema volatilità, tant’è che alcuni investitori hanno paragonato le «meme coin» al gioco d’azzardo. Secondo la società di consulenza cripto BDC, citata da un articolo di Forbes, il 40 per cento dei progetti lanciati è uno schema «pump and dump» («pompa e sgonfia»), una tattica di manipolazione in cui il valore di una criptomoneta viene gonfiato artificialmente per attirare compratori e poi essere venduto, causando il crollo del prezzo. Un altro 30 per cento, invece, è considerato un «rug pull».

La speculazione, sottolinea Forbes, è ulteriormente esacerbata dalla presenza di bot gestiti dall’intelligenza artificiale che sono «addestrati per manipolare il mercato e provocare anomale oscillazioni del prezzo». Il risultato, sostiene BDC, è che in media una «meme coin» dura appena 78 minuti prima di perdere completamente il suo valore.

Le «meme coin» di Donald Trump e i conflitti d’interesse del presidente statunitense

Nonostante ciò, le «meme coin» sono ormai un elemento centrale della cripto-finanziarizzazione della vita pubblica e della politica.

Il loro definitivo sdoganamento è avvenuto grazie a Donald Trump, che solo fino a qualche anno bollava le criptovalute come una «truffa». Ora invece ha promesso di diventare il primo «presidente cripto» e trasformare gli Stati Uniti nella «capitale cripto del pianeta». L’industria delle criptovalute ha donato alla sua campagna elettorale più di 130 milioni di dollari.

Il 18 gennaio, a due giorni dall’inaugurazione, il presidente ha lanciato la criptovaluta $TRUMP, detenuta per l’ottanta per cento da società legate a Trump. In sole 24 ore il market cap è schizzato a 14 miliardi di dollari, per poi perdere rapidamente fino all’ottanta per cento del suo valore. Qualche giorno dopo anche la moglie Melania Trump ha lanciato una propria criptovaluta, che ha perso quasi tutto il suo valore ancora più velocemente.

Il giornalista Jacob Silverman – co-autore del saggio Easy Money: Cryptocurrency, Casino Capitalism, and the Golden Age of Fraud – ha detto a Wired che la «meme coin» di Trump rientra «nel classico schema pompa e sgonfia» ed è fatta esclusivamente per arricchire chi l’ha creata.

Al tempo stesso, ha avvertito Silverman, potrebbe trattarsi di «una nuova forma di corruzione»: per ingraziarsi Trump potrebbe essere sufficiente investire ingenti somme in una criptovaluta in cui ha un forte interesse economico.

$TRUMP presenta diversi problemi anche sotto il profilo della sicurezza nazionale. Come ha evidenziato la giornalista Danielle Allen su The Atlantic, i primi scambi sulla criptovaluta sono stati fatti sulle piattaforme Gate.io e Binance, che non sono autorizzate a prestare servizi negli Stati Uniti.

«Anche se ci vorranno anni di analisi per determinare chi siano gli eventuali proprietari effettivi», ha scritto Allen, l’utilizzo di Gate e Binance implica che «la diffusione iniziale è avvenuta all’estero, e in particolare nei mercati controllati dagli avversari degli Stati Uniti: Cina, Iran, Corea del Nord, Russia». In altre parole, Trump deve la sua «nuova ricchezza in criptovalute» a investitori di stati ostili «che molto probabilmente sono collegati a quei governi».

Una terza piattaforma dove sono avvenuti gli scambi è Meteora. Secondo Reuters, le società che hanno creato $TRUMP hanno incassato tra gli 86 e i 100 milioni di dollari in commissioni sugli scambi. Non è chiaro però quanto soldi abbia effettivamente intascato il presidente: sia le società che le piattaforme dove sono avvenuti quegli scambi sono estremamente opache.

La criptovaluta di Trump ha destato forti perplessità all’interno della stessa comunità cripto, oltre che allarmare diversi esperti su possibili conflitti d’interesse. Richard Briffault, professore di legge alla Columbia University, ha spiegato a Reuters che «esiste una preoccupazione etica per il fatto che il presidente ha il potere di regolamentare la propria attività economica».

In più, la famiglia Trump ha una società di investimento in criptovalute che inevitabilmente beneficerà delle decisioni dell’amministrazione Trump, che tra le varie cose intende creare una riserva federale strategica di Bitcoin e allentare i controlli delle autorità regolatorie.

Norman Eisen, ex consulente di Barack Obama sull’etica, è stato ancora più categorico in un’intervista al Washington Post: «quello di Trump [e le criptovalute] potrebbe essere il peggior conflitto d’interessi nella storia moderna della presidenza statunitense».

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