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Sono cinque anni che la fuga dal laboratorio non spiega l’origine del coronavirus
Per spiegare com’è nata la pandemia di Covid-19 sono state fatte ipotesi alternative a quella dello “spillover”, ma non ci sono prove in loro favore
Sono passati cinque anni da quel 21 febbraio in cui l’Istituto superiore di sanità ha confermato il primo caso nazionale di Covid-19. Iniziava una catena di eventi che nell’arco di una ventina di giorni avrebbe portato l’Italia a essere il primo Paese, fuori dalla Cina, ad applicare un lockdown su scala nazionale per arginare la diffusione di un virus che in Lombardia correva sottotraccia, silenzioso, da settimane, e che avrebbe spinto il sistema sanitario nazionale sull’orlo del collasso.
Da allora, e per l’intera durata della pandemia, la disinformazione è circolata in tutto il globo alla stessa velocità del virus. Non c’è stato nulla della pandemia, dalla comparsa del virus alle terapie, dal contenimento ai vaccini, che non sia stato oggetto di distorsioni e manipolazioni. Molti scienziati, impegnati nella ricerca sulla malattia e nella divulgazione sui social media, sono stati il bersaglio di minacce e intimidazioni, fomentate dalle campagne disinformative.
Sull’origine del virus Sars-CoV-2 c’è chi ha spinto l’acceleratore di ipotesi alternative e complottiste che ancora oggi continuano ad avere adepti.
Da dove è saltato fuori il virus della Covid-19? Prima di capire quale sia la risposta a questa domanda, dobbiamo fare un passo indietro, a prima della pandemia scoppiata nel 2020, l’anno in cui il mondo ha familiarizzato con una parola, “coronavirus”, che la scienza conosceva già molto bene.
«Tutto ha un’origine»
Tutti i coronavirus umani ad oggi scoperti, così come la stragrande maggioranza dei virus che infettano la nostra specie, sono zoonosi, cioè malattie di origine animale. Lo è il virus della Sars, responsabile dell’epidemia che tra il 2002 e il 2003 ha infettato in tutto il mondo più di 8mila persone e ne ha uccise 774, tra le quali Carlo Urbani, il medico italiano che per primo la identificò come nuova malattia. Lo è il virus della Mers, un’altra sindrome respiratoria comparsa in Arabia Saudita nel 2012. Lo sono gli altri coronavirus che causano infezioni respiratorie di varia gravità, compreso il raffreddore.
«Tutto ha un’origine», come è intitolato un capitolo di Spillover, il saggio dello scrittore di scienza David Quammen, che nel 2012 riassumeva lo stato dell’arte della scienza su zoonosi, epidemie e pandemie, quando questo argomento era ancora ignorato dai più.
Sars, Mers e Covid-19, oltre a essere, tutte e tre, sindromi respiratorie causate da coronavirus, hanno un’altra cosa in comune: i pipistrelli. Diverse specie di questi mammiferi volanti, anche in Europa, sono il serbatoio naturale di vari gruppi di coronavirus all’interno della vasta famiglia di questi virus, compreso il genere di coronavirus “Sars-correlati”, a cui appartengono il virus della Sars e quello della Covid-19, chiamato Sars-CoV-2. In alcuni pipistrelli, oltre alla rabbia, si trovano i virus Marburg, Hendra e forse Ebola, quando non infettano altre specie, come quella umana.
Un serbatoio naturale è un animale che contiene al suo interno un agente patogeno senza ammalarsi. I pipistrelli ospitano una grande diversità virale, grazie a un sistema immunitario che ha sviluppato particolari adattamenti nel corso di decine di milioni di anni di evoluzione.
La fuoriuscita di un patogeno dal suo serbatoio e il suo ingresso negli esseri umani avviene spesso attraverso il passaggio in un ospite intermedio. A ottobre del 2003, quando l’epidemia di Sars iniziata l’anno precedente nella Cina meridionale stava scemando, comparve sulla rivista Science uno studio di ricercatori cinesi che riportavano l’isolamento di virus simili a quello della Sars in alcuni esemplari di civette delle palme, mammiferi dalle sembianze vagamente feline ma che appartengono a un’altra famiglia, quella dei viverridi. Gli animali erano stati rinvenuti in un mercato che vendeva animali nella provincia di Guandong, in cui erano scoppiati i primi focolai di Sars.
La scoperta di questi virus era l’indizio di una trasmissione tra specie, ma era improbabile che fossero le civette delle palme il serbatoio d’origine della sindrome respiratoria che aveva scatenato un’emergenza sanitaria internazionale. La ricerca della specie-serbatoio proseguiva.
Due anni dopo, un secondo studio annunciava la scoperta di virus Sars-correlati in popolazioni di pipistrelli del genere Rhinolophus, chiamati comunemente ferri di cavallo. Gli scienziati ipotizzarono che fossero proprio questi animali il luogo biologico d’origine del virus della Sars. Nel 2017 un altro gruppo di ricerca descriveva i risultati di cinque anni di sorveglianza dei virus Sars-correlati in una popolazione di pipistrelli ferro di cavallo che si trovava in una grotta dello Yunnan, un’altra provincia della Cina meridionale.
All’interno di questi virus gli scienziati trovarono tutti gli elementi costitutivi del genoma del virus della Sars. Il suo progenitore poteva essere il prodotto di eventi di ricombinazione tra virus precursori, cioè scambi di pezzi di genoma, un meccanismo frequente nei coronavirus.
Lo studio, avevano messo in guardia gli scienziati, evidenziava «la necessità di prepararsi per il futuro all’emergenza di malattie simili alla Sars». Questo futuro è arrivato appena due anni dopo. Lo studio che lo prediceva recava diverse firme, tra cui quella di Shi Zhengli, dell’Istituto di virologia di Wuhan.
Dietrologie e ipotesi alternative
Tutte le evidenze scientifiche accumulate fin qui dicono che l’origine del virus della Covid-19 presenta chiare somiglianze con quella di altri coronavirus, Sars in testa. Ma c’è una coincidenza che ha contribuito a dare linfa a ipotesi alternative e ricostruzioni complottiste.
Wuhan, una metropoli di più di 12 milioni di abitanti nella Cina centrale, è la città dove nel dicembre del 2019 ha fatto la sua comparsa una polmonite di ignota eziologia. Qui, sulle sponde opposte del fiume Yangtze, si trovano due luoghi protagonisti di questa storia: l’Istituto di virologia e il mercato ittico di Huanan.
L’Istituto, fondato nel 1956, è un importante centro di ricerca virologica, all’avanguardia nello studio dei coronavirus e di patogeni pericolosi. Dal 2017 è dotato di un laboratorio BSL-4, il massimo livello di sicurezza biologica. Il mercato ittico, aperto nel 2002, è una grande area commerciale dove, a dispetto del nome, nell’autunno del 2019 si vendono illegalmente, vivi e in condizioni di scarsa igiene, anche vari mammiferi selvatici, come cani procioni, tassi, porcospini, donnole. E civette delle palme, l’ospite intermedio del virus della Sars. Nessuno vende pipistrelli. Non è l’unico mercato di questo tipo in città.
Alla fine del gennaio del 2020, quando i morti a Wuhan sono già circa 80, i ricercatori cinesi, tra cui Shi Zhengli – a cui in seguito i media affibbieranno il nomignolo di “Batwoman” – inviano alla rivista Nature un articolo in cui descrivono l’agente patogeno di questa polmonite sconosciuta, un «nuovo coronavirus probabilmente originato dai pipistrelli». La sua sequenza genomica è simile per circa l’80 per cento a quello della Sars e per il 96,2 per cento a quello di un virus trovato in un pipistrello ferro di cavallo, chiamato RaTG13, rinvenuto nel 2013 in seguito a campionamenti effettuati in una grotta della provincia del Yunnan, che dista 1500 chilometri da Wuhan.
Le dietrologie cominciano qui. Un’epidemia da coronavirus scoppia proprio in una città dove c’è un laboratorio che studia questi virus. Solo una coincidenza? Le tesi alternative a quella della zoonosi dai pipistrelli, magari attraverso una specie intermedia, si dividono in due tronconi. C’è chi avanza la possibilità di un incidente, una fuoriuscita non dolosa del virus dal laboratorio; e chi propone un’idea più estrema: Sars-CoV-2 è un virus inventato, progettato e costruito in laboratorio. In entrambi i casi i riflettori dei sospetti illuminano la virologa Shi Zhengli, le ricerche che venivano condotte dal suo gruppo e quel virus, RaTG13, la cui presenza nell’Istituto sembra costituire un’altra, sospetta, coincidenza.
È possibile che Sars-CoV-2 sia un virus creato in laboratorio? La domanda viene sollevata da chi accusa i ricercatori dell’Istituto di virologia di Wuhan di aver pasticciato con altri virus, di aver svolto studi chiamati “guadagno di funzione” (gain of function). In queste ricerche si modifica un virus per studiare le sue caratteristiche, come la trasmissibilità e la virulenza. Lo si può fare in due modi: facendogli fare una serie di passaggi all’interno delle cellule di un animale ospite o modificando direttamente il suo genoma attraverso tecniche di biologia molecolare.
Di queste illazioni, nella primavera del 2020, viene chiamata a rispondere anche la EcoHealth Alliance, un’organizzazione no-profit statunitense che promuove la ricerca sulle zoonosi e la conservazione degli habitat naturali e delle specie animali, come i pipistrelli, con l’obiettivo di prevenire le pandemie. L’allora direttore, il biologo Peter Daszak, finisce nel mirino del Congresso degli Stati Uniti a causa dei legami con l’Istituto di virologia di Wuhan, con cui la EcoHealth collabora da alcuni anni grazie a un finanziamento dei National Institute of Health (NIH), l’Istituto nazionale americano della sanità. Una controversia politica e mediatica che si trascina fino a oggi, con i repubblicani e il mondo trumpiano a spingerla con particolare veemenza.
Daszak è uno dei ricercatori che in quello studio del 2017, insieme alla virologa Shi Zhengli, avevano fornito altre prove dell’origine animale del virus della Sars. Nell’articolo compariva una parola, per qualcuno inquietante: «chimere». Sono costrutti artificiali realizzati con pezzi di genoma di diversi virus. I ricercatori li avevano impiegati per riuscire a studiare in vitro i virus Sars-simili rinvenuti nella popolazione di pipistrelli della provincia dello Yunnan. Erano particolarmente interessati al loro gene S, dove si trova l’informazione per produrre la proteina Spike che permette a questi virus di legarsi alla cellule respiratorie umane e di infettarle. In questo modo scoprirono tre virus Sars-simili capaci di utilizzare i recettori umani, che stavano circolando tra i pipistrelli di quella provincia cinese.
Secondo la EcoHealth Alliance, la ricerca condotta a Wuhan non rientrava nella definizione di gain of function stabilita dalle linee guida del NIH. In ogni caso, non è possibile che il virus Sars-CoV-2 sia spuntato fuori durante quella ricerca, perché gli scienziati avevano usato virus simili a quello della Sars, non a quello della Covid-19. Per la costruzione di quelle chimere, infatti, era stato impiegato lo “scheletro” genomico di un virus Sars-simile isolato nel 2013.
I sostenitori della tesi del virus creato in laboratorio puntano però il dito su una particolare regione della proteina Spike del virus della Covid-19, che è il bersaglio di un enzima presente nelle cellule umane, chiamato furina, che taglia il recettore del virus in quel punto, aumentando la sua infettività. Non è l’unico virus con questa caratteristica. Il sospetto di alcuni però è che una specifica sequenza (CGG CGG) sia una pistola fumante, la prova che dimostrerebbe l’origine artificiale del virus. È un’illazione priva di fondamento perché questo elemento si trova anche in altri coronavirus, compresi ceppi simili a Sars-CoV-2, e non c’è nulla, nel genoma di questo virus, che faccia pensare a qualcosa di “innaturale” e che non possa essere spiegato attraverso naturali meccanismi evolutivi.
Ma che dire di RaTG13, il virus che a detta degli stessi ricercatori di Wuhan somiglia per più del 96 per cento a quello che ha causato la pandemia? Potrebbe essere un suo diretto progenitore? La risposta è no e per due ragioni. La prima è che, pur essendo simile, la sequenza del suo genoma differisce abbastanza da stabilire una distanza evolutiva di qualche decennio tra questo virus e quello della Covid-19; la seconda ragione è che, in realtà, questo virus non esiste. O, meglio, esiste come sequenza individuata durante l’analisi dei campioni prelevati dai pipistrelli prima del 2019, ma non è mai stato isolato e coltivato in laboratorio, non esiste quindi come virus integro.
Inoltre dall’inizio della pandemia sono stati scoperti altri parenti molto stretti del virus della Covid-19. Tre di questi, trovati in pipistrelli Rhinolophus nel Laos, presentano somiglianze genetiche ancora maggiori rispetto a RaTG13. «Questi virus si ricombinano così tanto che diversi pezzi del genoma hanno storie evolutive diverse», ha detto il virologo Spyros Lytras commentando la scoperta di questi virus nel Laos.
Nessuno di questi virus è il progenitore diretto di quello responsabile della pandemia e, dato il precedente della Sars, resta più probabile il passaggio attraverso una specie diversa dai pipistrelli (il pangolino? Probabilmente no). Ma abbiamo capito che l’area tra la Cina meridionale e il Sud-Est Asiatico è un hotspot geografico di enorme diversità di coronavirus simili a Sars-CoV-2.
Gli ingredienti della pandemia
Altre tessere di questo complicato mosaico si trovano proprio a Wuhan. Se l’Istituto di virologia fosse il luogo d’origine della pandemia, dovremmo riscontrarlo nella distribuzione dei primi contagi nel territorio della città. All’inizio di gennaio 2020, erano 41 le persone ricoverate con una polmonite da Covid-19. Di queste, 27 erano state al mercato di Huanan.
La localizzazione dei primi casi mostra che la maggior parte di essi si raggruppa intorno al mercato, che è situato a nord, cioè sulla riva sinistra del fiume Yangtze, mentre l’Istituto di virologia si trova a sud. I quartieri circostanti al mercato sono stati i primi a mostrare un eccesso di morti per polmonite nel gennaio 2020. «Non esiste un legame epidemiologico con nessun’altra località di Wuhan, incluso l’Istituto di virologia di Wuhan», scrivono alcuni esperti.
Anche se non tutte le prime persone che si sono ammalate avevano una frequentazione diretta con il mercato di Huanan, perché lavoravano lì o lo avevano visitato, è plausibile che fossero casi di trasmissione secondaria. Il fatto che molte delle persone che si sono ammalate nel dicembre del 2019 fossero comunque residenti nelle vicinanze del mercato è una «prova convincente», secondo il biologo evoluzionista Michael Worobey, che la circolazione del virus sia partita proprio lì.
Sappiamo per certo che al mercato di Huanan, prima della comparsa della misteriosa polmonite, si commerciavano mammiferi potenziali ospiti del virus. Un gruppo internazionale di scienziati ha pubblicato nel settembre del 2024 i risultati dell’analisi genetica di campioni ambientali raccolti all’interno del mercato su gabbie, carrelli, congelatori, da cui si evince che gli animali a rischio erano esposti su alcune bancarelle collocate nell’ala ovest del mercato, che era frequentata da alcune delle persone che si sono contagiate per prime. Uno studio simile era già uscito nel 2022 e aveva confermato la distribuzione dei primi casi di polmonite a Wuhan e la presenza di campioni ambientali positivi al virus nel mercato di Huanan. L'”epicentro” iniziale della pandemia, concludevano, era proprio lì.
Due ulteriori elementi. Il primo: le sequenze virali trovate nel mercato indicano una tempistica della comparsa del virus compatibile con quella dell’epidemia, tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre del 2019; il secondo: al mercato di Huanan erano presenti entrambi i lignaggi, chiamati A e B, in cui il virus Sars-CoV-2 era inizialmente diviso. Si tratta di un altro elemento difficilmente compatibile con l’ipotesi di una fuga dall’Istituto di virologia e, ancora di più, con quella di un virus artificiale, mentre lo è con la possibilità che ci siano stati almeno due eventi di spillover, due passaggi zoonotici.
Lo studio di genomi animali e virali del mercato di Huanan contiene «uno degli insiemi di dati più importanti sull’origine della pandemia di Covid-19», ha dichiarato uno degli autori della ricerca, e potrebbe essere sufficiente a dissipare ogni ragionevole dubbio.
Al mosaico mancano ancora delle tessere, che neanche questi studi ci forniscono. Là fuori, da qualche parte tra la Cina meridionale e il Sud Est asiatico, devono esserci popolazioni di pipistrelli che albergano coronavirus ancora più simili a quello pandemico, forse qualcuno dei suoi progenitori diretti. Inoltre, quale animale, tra quelli sospettati o altri, ha fatto da ospite intermedio del virus nel suo passaggio dai pipistrelli agli umani? Come è arrivato a Wuhan (qualche ipotesi forse si può fare)? Anche se si cercano ancora queste risposte, riusciamo a distinguere i lineamenti del mosaico, vediamo l’immagine che raffigura.
«Dobbiamo prendere sul serio sia l’ipotesi dell’origine naturale che quella dell’origine dal laboratorio fino a quando non avremo dati sufficienti», avevano riconosciuto con onestà intellettuale alcuni scienziati nel maggio del 2021, dopo che l’Organizzazione mondiale della sanità aveva affrontato la questione in un rapporto nel quale aveva valutato la prima ipotesi da «probabile a molto probabile» e la seconda «estremamente improbabile». Le evidenze sono state esaminate; le ipotesi, anche le più improbabili, sono state vagliate. Oggi sappiamo che nel 2019 al mercato di Huanan, a Wuhan, c’erano gli ingredienti necessari per far scoppiare una grave emergenza sanitaria.
Ciononostante, la CIA ha affermato lo scorso 25 gennaio di ritenere «più probabile» l’ipotesi della fuga da laboratorio, anche se con un basso livello di confidenza e sulla base di evidenze considerate insufficienti e contraddittorie. La dichiarazione è arrivata due giorni dopo l’insediamento di John Ratcliffe, il direttore dell’agenzia di intelligence, nominato da Donald Trump, ma è la conclusione di un rapporto che era stato preparato su richiesta dell’Amministrazione precedente, quella di Joe Biden.
La valutazione della CIA non si basa però su nessuna nuova informazione. Nel 2023 Ratcliffe aveva sostenuto che la fuga dal laboratorio fosse «l’unica spiegazione credibile» e «supportata dalla scienza e dal buon senso». Come abbiamo visto, questo non è vero.
«La scienza è la migliore assicurazione dell’umanità contro le minacce che provengono dalla natura, ma è un’impresa fragile che deve essere nutrita e protetta», avevano affermato l’anno scorso diversi scienziati. Le ipotesi alternative sull’origine della Covid-19 finiscono per scaricare la responsabilità proprio sugli scienziati, mentre rafforzano agende politiche alimentate da teorie cospirative. In ultima analisi, finiscono per danneggiare gli sforzi per prevenire una prossima pandemia, che dovrebbero essere guidati non dalle supposizioni, ma dalle evidenze, e da quello che abbiamo imparato sulle zoonosi e sulla loro origine. Molte scienze sono diventate scomodi grilli parlanti che faticano sempre di più a mettere in guardia l’umanità dai gravi rischi che corre.
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