Nel 2018 Marjorie Taylor Greene non era ancora una deputata repubblicana, né tanto meno una delle esponenti di punta del trumpismo più radicale.
Era però una commentatrice politica che rilanciava teorie del complotto di ogni tipo: da QAnon fino all’11 settembre come inside job (cioè auto-attentato), passando per le stragi scolastiche che sarebbero una messinscena o la presunta fede islamica di Barack Obama.
Non sorprendentemente, promuoveva pure teorie negazioniste dei cambiamenti climatici. Nel novembre di quell’anno, in un post su Facebook recuperato dal giornalista di Media Matters Eric Hananoki, Greene aveva sostenuto che gli incendi che nel 2018 avevano devastato la California erano stati causati da raggi laser sparati da «generatori solari nello spazio» e controllati dalla Pacific Gas and Electric Company (PG&E, una società privata di pubblica utilità che fornisce energia alla parte settentrionale dello Stato).
L’obiettivo degli incendi – continuava il post – era duplice: quello di fare spazio per la creazione di una linea ferroviaria ad alta velocità; e quello di speculare sulle azioni della PG&E per far arricchire i suoi principali azionisti. Guarda caso tra questi c’era Roger Kimmel, il vicepresidente della “Rothschild Inc.”, una banca d’investimento legata alla famosa famiglia di banchieri di origine ebraica.
Le implicazioni dell’aver tirato in ballo quel nome erano fin troppo chiare. Per Greene, stando alla sarcastica sintesi fatta dal giornalista Jonathan Chait, gli incendi in California sarebbero stati dunque provocati da «raggi laser spaziali ebraici».
E non è finita qui: oltre a far scoppiare roghi, i Rothschild sarebbero anche in grado di scatenare tempeste di neve.
È quello che ha sostenuto nel marzo del 2018 il consigliere comunale democratico di Washington D. C. Trayon White. In un video, pubblicato su Facebook durante un’abbondante e improvvisa nevicata, aveva accusato la famiglia di «controllare il clima e creare disastri naturali» per farci sopra ingenti profitti.
Per quanto queste affermazioni sulla manipolazione del clima da parte dei Rothschild possano sembrare bizzarre, in realtà vanno prese sul serio: sono l’ultima evoluzione di uno dei più longevi, floridi e celebri filoni complottisti della storia recente.
Nel corso degli ultimi due secoli, infatti, i Rothschild sono stati accusati praticamente di tutto: di aver causato guerre, di aver fatto cadere governi e nazioni, di aver ucciso John Fitzgerald Kennedy, di aver tirato giù le Torri Gemelle, di aver in mano le banche centrali, di possedere «l’80 per cento della ricchezza globale» e, in definitiva, di controllare segretamente il mondo intero.
Come ha ricordato il giornalista Mike Rothschild – che non ha legami di parentela ed è l’autore del saggio Jewish Space Lasers, che ripercorre la storia delle teorie del complotto sulla famiglia – «i Rothschild sono tra gli ebrei più conosciuti degli ultimi tempi, e sotto diversi aspetti la loro storia è la storia dell’antisemitismo contemporaneo».
Le origini del mito: il pettegolezzo di Waterloo
Le origini del mito complottista dei Rothschild risalgono alla seconda metà dell’Ottocento, quando la dinastia di banchieri (avviata dal capostipite Mayer Amschel Rothschild) si era ormai sparsa in tutta Europa e aveva investimenti nel settore ferroviario, nell’industria mineraria e nell’immobiliare – esattamente come facevano altre famiglie facoltose dell’epoca.
Nell’estate del 1846, per l’appunto, in Francia uscì un pamphlet di 36 pagine intitolato Histoire édifiante et curieuse de Rothschild Ier, Roi des Juifs (in italiano “Storia edificante e curiosa di Rothschild I, Re degli ebrei”) firmato da “Satan”, uno pseudonimo usato dal giornalista marsigliese di sinistra Mathieu Georges Dairnvaell.
La tesi centrale del testo è che la grande fortuna economica dei Rothschild derivi da un colossale inganno – a metà tra insider trading (l’abuso di informazioni privilegiate) e la diffusione di notizie false – legato alla battaglia di Waterloo del 1815, che segnò la definitiva sconfitta dell’imperatore francese Napoleone Bonaparte e il suo successivo esilio nell’isola di Sant’Elena.
Secondo Dairnvaell, quel fatidico 18 giugno del 1815 Nathan Rothschild – figlio di Mayer Amschel e patriarca del ramo londinese della famiglia – si trovava nella città belga e aveva assistito personalmente alla sconfitta di Napoleone per mano delle truppe anglo-prussiane guidate dal Duca di Wellington. La notte stessa Nathan sarebbe riuscito a raggiungere le coste del Belgio e tornare nel Regno Unito con mezzi rocamboleschi, sfidando addirittura una tempesta sulla Manica.
Approfittando della preziosa informazione che solo lui possedeva in anticipo, il banchiere avrebbe quindi speculato sulla sconfitta di Napoleone alla borsa di Londra, guadagnando «in un solo colpo venti milioni franchi» – che con altri investimenti collegati gli avrebbero fruttato un totale di 135 milioni nel corso dell’anno, una cifra davvero astronomica per l’epoca.
Tuttavia, il racconto di “Satan” è completamente falso. Anzitutto, Nathan Rothschild non si trovava a Waterloo quel giorno e non poteva conoscere in anticipo l’esito della battaglia; di conseguenza, non ha nemmeno guadagnato una fortuna incredibile in borsa. Inoltre, sulla Manica non si era abbattuta alcuna tempesta.