Il mito dei crisis actor: dalla strage di Sandy Hook alla guerra in Ucraina  - Facta
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Il mito dei crisis actor: dalla strage di Sandy Hook alla guerra in Ucraina 

di Leonardo Bianchi

Da diversi anni a questa parte praticamente ogni strage commessa negli Stati Uniti – e anche in altri Paesi – genera una grande quantità di teorie del complotto, la maggior parte delle quali incentrate sulla presunta falsità dell’accaduto.

In sostanza, le stragi sarebbero delle elaborate messinscene per portare avanti obiettivi politici occulti; e le vittime non sono veramente tali, o addirittura non sono morte per davvero, ma sarebbero dei crisis actor, attori impiegati in situazioni di crisi.

Questo termine è ormai uno dei più gettonati nel gergo complottista globale, e recentemente ha fatto capolino anche in scenari di guerra, ad esempio per negare i massacri di Mariupol e Bucha in Ucraina. Ma da dove nasce il mito dei crisis actor, e perché ha avuto una diffusione così inarrestabile? Scopriamolo.

I crisis actor di Uvalde
La sparatoria alla Robb Elementary School di Uvalde, in Texas, è stata una delle peggiori nella storia recente degli Stati Uniti. Il 24 maggio del 2022 il diciottenne Salvador Ramos ha aperto il fuoco nelle aule 111 e 112, uccidendo diciannove tra bambini e bambine e due insegnanti. In seguito, Ramos è stato ucciso dalle forze dell’ordine.

Sin dai primi momenti, però, l’identità dello stragista è stata messa in dubbio da notizie e supposizioni infondate su siti complottisti e social network. Una di queste, apparsa originariamente sul forum 4chan (uno dei maggiori aggregatori di troll, meme, teorie del complotto e sottoculture digitali su Internet), affermava che il vero autore fosse una ragazza transgender di vent’anni di nome Sam. La prova starebbe nella presunta somiglianza con Ramos, desunta da una foto prelevata dal profilo personale della ragazza su Reddit.

Suo malgrado, Sam è costretta a smentire la falsità pubblicando su Reddit un’altra sua foto accompagnata dalla seguente didascalia: “Non sono stata io, non vivo nemmeno in Texas”. Nonostante ciò, la menzogna ha continuato a circolare ed è stata ripresa da associazioni di orientamento conservatore (come i Giovani Conservatori dell’Indiana del Sud) e persino dal deputato repubblicano Paul Gosar, che su Twitter ha scritto: “[L’attentatore] è un clandestino transessuale di sinistra di nome Salvatore [sic] Ramos”.

Quella transfobica non è l’unica teoria sulla strage di Uvalde. Un’altra, circolata soprattutto su Gab (un clone di Twitter frequentato principalmente da estremisti di destra) e alcuni canali Telegram, sosteneva che l’attentatore fosse un immigrato irregolare. In realtà, Ramos è nato nello stato del North Dakota.

Ci sono poi le teorie riconducibili al filone delle false flag, cioè le operazioni “sotto falsa bandiera” commesse con l’intento di mascherare gli effettivi responsabili di un’azione per incolparne altri. In questo caso, la strage di Uvalde sarebbe stata compiuta dal governo degli Stati Uniti per sequestrare le armi e abolire il secondo emendamento (che garantisce il diritto di possedere armi).

Un articolo pubblicato sul sito di estrema destra NewsTreason, ad esempio, sosteneva che Uvalde fosse, per l’appunto, una false flag; un post su un altro sito estremista, Patriots.win, ribadiva la medesima tesi; e lo stesso aveva fatto anche un influencer neonazista e antisemita legato al movimento complottista di QAnon che si firma “GhostEzra” – nickname dietro al quale si cela l’imprenditore Robert Smart – che sul suo canale Telegram seguito da quasi 300mila persone ha scritto che si trattava dell’ennesima false flag.

Non mancano, infine, i crisis actor. In particolare, sono i genitori di una vittima (Amerie Jo Garza, di 10 anni) a finire al centro della fantasia dei complottisti. Diversi post su Facebook, Twitter e altri social network hanno sostenuto che due uomini avrebbero detto di essere il padre della stessa bambina, il che ha fatto supporre che si trattasse di attori. La falsa tesi, di cui ci siamo occupati, fa leva sul fatto che Cnn e Nbc News hanno intervistato il padre biologico e il padre della bambina, che hanno un nome molto simile: Alfred Garza III il primo, Angel Garza il secondo.

Oltre ai Garza, a essere erroneamente indicato come crisis actor a Uvalde è stato anche lo streamer di 36 anni Jordie Jordan. Una sua foto è stata rilanciata da vari utenti su Twitter, che lo hanno indicato come un insegnante della Robb Elementary School di nome “Bernie” morto durante la sparatoria.

Gli stessi utenti hanno però notato che in passato quella stessa foto era stata usata per indicare un giornalista giustiziato dai talebani in Afghanistan, un attivista ucraino ucciso dai russi e una vittima dell’attentato razzista di Buffalo, negli Stati Uniti. In altre parole, il “Bernie” di Uvalde sarebbe un attore professionista impiegato in tante messinscene.

In un articolo pubblicato nel giugno del 2022 dal New York Times, la giornalista Tiffany Hsu aveva ripercorso la storia di quella foto, dimostrando che nel corso degli anni era stata usata da troll e complottisti americani sia come un macabro scherzo ai danni di Jordan, sia come un veicolo di disinformazione su grandi fatti di cronaca statunitensi e internazionali.  

Per quanto possano sembrare improbabili e crudeli, teorie di questo tipo non sono nuove o originali e non riguardano solo la strage di Uvalde; anzi, meccanismi di questo tipo ricalcano quelli apparsi dopo la strage di Sandy Hook.  

Le origini del mito: Sandy Hook
Il 14 dicembre del 2012 il ventenne Adam Lanza ha fatto irruzione all’interno della Sandy Hook Elementary School di Sandy Hook (un sobborgo della città di Newtown, nel Connecticut) e ha ucciso 26 persone, per lo più bambini. 

Qualche giorno dopo la strage James Tracy, professore di comunicazione alla Florida Atlantic University (incarico dal quale sarà rimosso), ha pubblicato sul proprio blog una serie di articoli in cui analizzava la narrazione dell’evento e quelle che, a detta sua, erano delle contraddizioni rispetto alla versione ufficiale. Aveva anche fatto esplicitamente riferimento ai crisis actors.

Prima di allora, questo termine era pressoché sconosciuto. Come ha ricostruito il giornalista Jason Koebler su Motherboard, la teoria di Tracy – al pari di quasi tutte le teorie del complotto – contiene un granello di verità: i cosiddetti crisis actor esistono sul serio, anche se ovviamente non hanno nulla a che vedere con le le stragi reali.

Il 31 ottobre del 2012, ad esempio, lo studio di recitazione Visionbox aveva rilasciato un comunicato in cui pubblicizzava un servizio di simulazione di sparatorie in centri commerciali (e altri luoghi), che prevedeva per l’appunto l’impiego di attori professionisti. Tracy si è quindi appropriato del termine, cambiandolo completamente di segno.

A partire dai contenuti pubblicati da James Tracy è nato un vero e proprio movimento complottista che nega alla radice l’accaduto. In quella scuola non sarebbe morto nessuno, ripetono i cosiddetti “Sandy Hook truther” (i “cercatori di verità su Sandy Hook”), dal momento che i genitori e i loro figli deceduti sarebbero crisis actor assoldati dall’amministrazione di Barack Obama (all’epoca presidente degli Stati Uniti) per togliere le armi ai patrioti e abolire il Secondo emendamento.

La circolazione della teoria è vertiginosa: a gennaio, un video di mezz’ora che promette di rivelare “la verità su Sandy Hook” raggiunge in poco tempo dieci milioni di visualizzazioni su YouTube. Un altro professore universitario, James Fetzer della Università di Minnesota Duluth, pubblica un libro intitolato Nobody Died at Sandy Hook (“Non è morto nessuno a Sandy Hook”) che viene scaricato oltre dieci milioni di volte. Fetzer sarà poi condannato a risarcire il padre di una vittima.

Il più famoso diffusore di falsità sulla strage è senza dubbio Alex Jones, il fondatore del sito complottista InfoWars, che in seguito verrà denunciato per diffamazione da diversi parenti delle vittime e condannato a risarcirli con oltre quattro milioni di dollari. Jones amplifica qualsiasi teoria e concede molto spazio a Tracy e a Wolfgang Halbig, un pensionato di 70 anni che si reca a Newtown ben 22 volte per condurre le sue “ricerche”. Le richieste di Halbig sono macabre e raccapriccianti. Tra le varie, esige di vedere il contratto della ditta che ha pulito la scuola dopo l’eccidio; pretende di avere i referti autoptici dei bambini e chiede di aprire le bare delle vittime per vedere se dentro ci siano effettivamente i loro resti.

Tutto ciò, ricorda la giornalista Elizabeth Williamson nel suo recente libro Sandy Hook: An American Tragedy and the Battle for Truth, avviene in una città traumatizzata. I genitori subiscono una doppia tragedia: la prima è l’aver perso i propri figli e le proprie figlie in quella maniera, la seconda è doversi confrontare con chi dice la strage non è mai avvenuta.

La persecuzione dei “cercatori di verità” nei confronti dei parenti è martellante e brutale. Non vengono risparmiati nemmeno poliziotti, insegnanti, fotografi, soccorritori e vicini di casa. Le minacce sono a tutto campo, sia online che nella vita reale

Nel 2014 un uomo della Virginia ruba le targhe commemorative di due vittime e in seguito telefona ai genitori per dire di farsi una ragione di quel furto: tanto i loro figli non sono mai esistiti. L’anno successivo, nell’ambito di una maratona a Stratford (Connecticut) per ricordare Victoria Soto – una maestra di 33 anni uccisa nel massacro mentre cercava di proteggere i suoi alunni – un uomo di New York si avvicina alla sorella Jillian Soto, sventolandole in faccia una foto della defunta e urlando che Victoria non è morta.

Una teoria del complotto replicabile e globalizzata
Con Sandy Hook, insomma, si va ben oltre il concetto di false flag. Nelle teorie del complotto sull’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre, giusto per fare un esempio, non si mette in discussione l’esistenza dell’attentato; si assegna piuttosto la responsabilità al governo degli Stati Uniti, a Israele, al Nuovo Ordine Mondiale e così via.

I crisis actor, scrive il giornalista Jason Wilson in un articolo pubblicato nel 2018 sul Guardian, offrono invece «una narrazione alternativa per spiegare gli episodi di violenza di massa: i governi, o altri poteri forti, simulano sparatorie o attentati e poi pagano degli attori per impersonare vittime, testimoni e passanti».

E ciò non vale solo per gli Stati Uniti. Il modello complottista visto all’opera con Sandy Hook (e in molte altre sparatorie) è stato infatti impiegato anche in altre circostanze, tra cui gli attentati in Francia a Charlie Hebdo e al Bataclan (anche l’italiana Valeria Solesin viene definita una crisis actor), nonché per la pandemia di Covid-19.

Nel luglio del 2021 la Bbc manda in onda un’intervista a Henry Dyne, un giovane informatico non vaccinato che aveva contratto la malattia in forma grave ed era finito in ospedale. Dyne accetta di raccontare la sua esperienza – «molto peggiore di quello che pensavo» – e invita i suoi coetanei a vaccinarsi. Il segmento in questione circola in alcuni gruppi antivaccinisti e poi prende quota sui social network, dove gli utenti accusano Dyne di essere un crisis actor. Con sua grande sorpresa, l’uomo si ritrova la casella dei messaggi privati su Instagram intasata di insulti e minacce.

Dyne reagisce prendendosi gioco di chi lo accusa di un essere un attore, mettendo nella sua biografia di Instagram la dicitura crisis actor. Paradossalmente, quella presa in giro diventa la prova del complotto: quando la Bbc ritrasmette l’intervista a dicembre del 2021, all’interno dello speciale di fine anno, gli antivaccinisti la ricondividono e sostengono che Dyne sia un crisis actor proprio perché si definisce così nella sua biografia di Instagram.

I crisis actor sono stati tirati in ballo anche nel corso dell’invasione russa dell’Ucraina. Sin dalle prime settimane dell’aggressione militare, come ha riportato Reuters nel marzo del 2022, vecchi video decontestualizzati tratti dalle riprese di una serie tv ucraina (Contamin) vengono condivisi sui social per denunciare la falsità della guerra.

Sempre a marzo, teorie analoghe sono comparse sul bombardamento dell’ospedale di Mariupol. In particolare, Marianna Podgurskaya (una influencer ucraina che si trovava all’interno del reparto pediatrico) è stata falsamente accusata dall’ambasciata russa nel Regno Unito di essere un’attrice pagata dalle autorità ucraine per screditare la Russia.

Lo stesso è successo anche in relazione al massacro di Bucha: il ministero della difesa russo ha affermato su Telegram che i corpi delle persone giustiziate sarebbero stati messi in strada dopo il ritiro delle truppe russe, intorno al 30 marzo. La propaganda russa si è dunque  avvalsa di una teoria del complotto nata negli Stati Uniti per deflettere le proprie responsabilità e negare i crimini di guerra.

Le teorie sui crisis actor, insomma, hanno la capacità di creare una realtà parallela rispetto a quella ufficiale: le stragi non sono mai avvenute, non c’è alcun problema legato alle armi da fuoco, le vittime e i loro familiari sono attori pagati dal governo, e per risolvere queste situazioni basta armarsi di più o dare più risorse alla polizia. Non sorprende, dunque, che queste teorie abbiano una forte componente politico-ideologica al loro interno. 

In conclusione
Il termine crisis actor (traducibile come attore impiegato in situazioni di crisi) fa ormai parte del gergo complottista globale e viene usato per negare le stragi, che sarebbero in realtà orchestrate da governi e altri cospiratori.

La teoria in questione ha iniziato a diffondersi per la prima volta nel 2012, dopo la strage nella scuola elementare di Sandy Hook, e da allora ha accompagnato praticamente ogni sparatoria di massa, fino ad arrivare al recente episodio della Robb Elementary School di Uvalde, in Texas.

La crescente popolarità della teoria l’ha fatta uscire dai confini degli Stati Uniti: le speculazioni sui crisis actor sono apparse in relazione agli attentati a Charlie Hebdo e al Bataclan, alla pandemia di Covid-19 e all’invasione russa dell’Ucraina. In quest’ultimo caso è stata adottata anche dalla propaganda ufficiale della Russia.   

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