Venerdì 22 maggio la redazione di Facta ha ricevuto via WhatsApp una segnalazione che chiedeva di verificare un messaggio, circolato sull’app di messaggistica istantanea, secondo cui il magistrato Luca Palamara avrebbe «ordinato» ai colleghi di «attaccare Salvini», nel corso di una conversazione privata pubblicata dai giornali, per via delle misure di contrasto all’immigrazione clandestina intraprese a partire dall’estate del 2018, nel ruolo di ministro dell’Interno.
«Le clamorose intercettazioni di Palamara incontrano il silenzio dei media mainstream e soprattutto del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella», prosegue il messaggio, che si conclude con la frase «Basta, non parlate più di democrazia. In Italia non esiste più».
La conversazione citata nel messaggio è realmente avvenuta, ma il suo contesto non fa pensare ad un «ordine» diretto ad altri magistrati. Facciamo chiarezza.
A partire dal 14 maggio, alcuni quotidiani hanno pubblicato (qui e qui, ad esempio) il contenuto di intercettazioni e conversazioni WhatsApp del magistrato Luca Palamara – ex membro togato del Consiglio Superiore della Magistratura (Csm) ed ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (Anm) – che, nel giugno 2019, è finito al centro di alcune indagini della procura di Perugia con l’accusa di corruzione.
La frase oggetto della segnalazione, in particolare, è stata pubblicata in esclusiva lo scorso 21 maggio dal quotidiano La Verità e riguarda il contenuto di alcune chat tra Palamara e il procuratore capo di Viterbo Paolo Auriemma avvenute ad agosto 2018, quando Matteo Salvini era già indagato con l’accusa di sequestro di persona nella gestione del caso Diciotti.
«Mi dispiace dover dire che non vedo veramente dove Salvini stia sbagliando» sosteneva Auriemma nella conversazione privata, secondo quanto riporta La Verità, frase che ha provocato la risposta di Palamara: «Ora Salvini va attaccato». Lo scambio è concluso da Auriemma, che scrive: «Comunque è una cazzata atroce attaccarlo adesso perché tutti la pensano come lui. E tutti pensano che ha fatto benissimo a bloccare i migranti che avrebbero dovuto portare di nuovo da dove erano partiti. Indagato per non aver permesso l’ingresso a soggetti invasori. Siamo indifendibili. Indifendibili».
La frase oggetto di verifica è stata confermata dallo stesso Palamara che il 23 maggio ha chiesto pubblicamente scusa a Matteo Salvini. Sul tema si è espresso Nicola Morra, presidente della Commissione parlamentare antimafia ed esponente del Movimento 5 Stelle, che in un intervento alla Camera ha definito «inammissibile» il giudizio su Salvini di un magistrato come Palamara, «seppur espresso in chat privata» (minuto 2:09).
D’altra parte, il 21 maggio il leader della Lega Matteo Salvini ha scritto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella (che ricopre anche l’incarico di presidente del Csm), mostrando preoccupazione per l’imparzialità della magistratura, dal momento che «a ottobre inizierà l’udienza preliminare innanzi al Gup [giudice di udienza preliminare n.d.r] presso il Tribunale di Catania ove sono chiamato a rispondere dell’ipotesi di sequestro di persona per fatti compiuti nell’esercizio delle mie funzioni di ministro dell’Interno».
Le informazioni pubblicate dai giornali, in ogni caso, non fanno pensare alle parole di Palamara come ad «un ordine», come invece viene sostenuto nella segnalazione ricevuta dalla redazione di Facta. Al momento delle intercettazioni, infatti, Palamara aveva abbandonato sia la carica di presidente dell’Anm che quella di consigliere del Csm (mandato scaduto a luglio 2018), pur mantenendo una discreta influenza in veste di leader di Unicost (la corrente della magistratura Unità per la Costituzione), grazie alla quale era diventato uno dei favoriti per il ruolo di procuratore aggiunto di Roma.
La frase riguardante l’attacco a Salvini è inoltre emersa da una conversazione privata e nessuno dei magistrati siciliani che finora si sono occupati delle indagini su Salvini (e quindi il pm di Agrigento Luigi Patronaggio e quello di Catania Carmelo Zuccaro) compare nelle conversazioni di Palamara.
In conclusione, la frase riportata dal quotidiano La Verità pare essere stata effettivamente pronunciata da Luca Palamara che ha chiesto pubblicamente scusa esprimendo «rammarico per le parole dette». Al momento dell’intercettazione, in ogni caso, il magistrato non era chiamato a giudicare Matteo Salvini e non ricopriva alcuna posizione che gli permettesse di dare ordini ad altri magistrati come viene invece alluso nel messaggio circolato su WhatsApp e segnalato a Facta. Precisiamo infine che nessun magistrato che si è occupato della vicenda giudiziaria di Matteo Salvini compare nelle intercettazioni di Palamara.
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