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No, Human Rights Watch non ha denunciato limitazioni del diritto di informazione da parte dei «nostri Paesi occidentali»

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23 marzo 2021
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Lunedì 22 marzo 2021 la redazione di Facta ha ricevuto una segnalazione via WhatsApp che chiedeva di verificare le informazioni contenute in un articolo dal titolo «Onu: pandemia scusa per ridurre libertà, dissenso, informazione e diritti», pubblicato il 19 marzo dal sito web Affaritaliani.it e ripreso lo stesso giorno da Imola Oggi.

L’articolo oggetto della nostra verifica racconta di un allarme lanciato dall’Onu e di una denuncia de «l’organizzazione non governativa internazionale Human Rights Watch», secondo cui «83 Paesi hanno approfittato del virus per attaccare la libertà di parola». A questi Paesi, racconta Affaritaliani, «si aggiungono tanti altri, come i nostri Paesi occidentali, che hanno sospeso o limitato il diritto di informazione, come quello di richiedere e ricevere riscontri dalle autorità, anche su questioni di salute pubblica».

Alla data del 22 marzo 2021 l’articolo è stato condiviso complessivamente oltre 1.200 volte su Facebook, accompagnato spesso da commenti tesi a negare l’esistenza della pandemia o a delineare l’esistenza di una «dittatura sanitaria».

Si tratta di una notizia fuorviante.

Il dato riportato nell’articolo fa riferimento a un report dal titolo «La Covid-19 ha scatenato un’ondata di repressione della libertà d’espressione», pubblicato l’11 febbraio 2021 da Human Rights Watch, organizzazione non governativa che si occupa della difesa dei diritti umani e che non ha legami di parentela con l’Onu.

Il report denuncia la tendenza di alcuni Paesi – 83 in tutto – a servirsi della pandemia di Covid-19 «come un’opportunità per mettere a tacere i critici e adottare nuove leggi repressive che criminalizzano il linguaggio». Gli abusi dei diritti umani che sfruttano l’emergenza sanitaria sono iniziati a gennaio 2020 e sarebbero avvenuti in cinque aree chiave: arresti di giornalisti e manifestanti, misure arbitrarie e persecutorie nei confronti di oppositori politici, censura di media e social network, sospensione del diritto a ricevere informazioni riguardanti la salute pubblica e divieto di proteste relative alla pandemia, anche sfruttando misure di distanziamento sociale.

Il report non intende attuare alcuna generalizzazione e presenta infatti cinque mappe che segnano i luoghi dove sarebbero avvenute le violazioni dei diritti umani in ognuna delle singole aree chiave. Quella che ci interessa ai fini della nostra verifica è l’area denominata «Limitazione dell’accesso alle informazioni sulla salute pubblica», che secondo Affaritaliani riguarderebbe «i nostri Paesi occidentali»

L’unico Paese dell’Unione europea segnato sulla cartina è l’Ungheria, dove nello scorso agosto Human Rights Watch ha riscontrato un’assenza di misure igieniche e di «dati e statistiche affidabili sulle infezioni contratte in ospedale, comprese le morti che ne derivano». I Paesi inclusi in questa lista sono in tutto 9 e oltre all’Ungheria troviamo anche Brasile, El Salvador, Nicaragua, Bielorussia, Kirghizistan, Nigeria, Algeria e Namibia.

L’Italia non compare nella lista degli 83 Paesi che hanno violato i diritti umani sfruttando l’emergenza sanitaria e Human Rights Watch non fa alcun accenno a violazioni “minori” commesse da Paesi non inclusi nella lista. Gli unici Stati Ue presenti nel report sono Ungheria, Grecia, Polonia e Romania. L’organizzazione umanitaria, inoltre, non dà alcun giudizio di merito sulla bontà delle misure di distanziamento sociale, né sulla gravità dell’emergenza sanitaria globale.

Quanto all’allarme lanciato dall’Onu, il riferimento è a un articolo pubblicato sul Guardian il 22 febbraio e firmato dal segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres. Il numero uno dell’Onu mette in guardia dalle gravi violazioni dei diritti umani che da inizio pandemia sono avvenute utilizzando il pretesto dell’emergenza sanitaria, definite da Guterres «un virus che ha infettato i diritti politici e i diritti civili». In questo caso, l’articolo punta il dito contro la criminalizzazione del dissenso, gli abusi contro i giornalisti e le organizzazioni non governative, ma non fa il nome di nessuno tra gli Stati coinvolti.

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