L’11 maggio la redazione di Facta ha ricevuto numerose segnalazioni di una notizia, pubblicata alle 15:17 del 10 maggio dal sito Affari Italiani, dal titolo: «Coronavirus, le autopsie non vanno fatte. Ordine del Ministero della Salute». Nell’articolo si legge che il «bilancio sanitario devastante» dell’epidemia di Covid-19 in Italia sarebbe imputabile alla mancata pratica delle autopsie sui cadaveri: ciò avrebbe impedito di venire a conoscenza di aspetti fondamentali della malattia e, quindi, di trattarla adeguatamente.
A sostegno di questa tesi, Affari Italiani cita e allega una circolare della Direzione generale della prevenzione sanitaria (organo interno al Ministero della Salute) con oggetto: «Indicazioni emergenziali connesse ad epidemia COVID-19 riguardanti il settore funebre, cimiteriale e di cremazione». L’assenza di autopsie, stando a quanto si legge nell’articolo, avrebbe portato «a errate diagnosi e terapie», mentre sarebbe bastato «fare da subito l’autopsia ai primi deceduti da Covid per evitare percorsi e rimedi sbagliati e controproducenti». Il risultato viene giudicato dalla testata «un autogol incredibile, anche se probabilmente suggerito da motivazioni igieniche e di profilassi».
Tra i primi a sposare e ad alimentare questa teoria ritroviamo, come fatto notare da altri colleghi che hanno trattato il tema delle autopsie (qui, per esempio) un tweet, pubblicato alle 07:52 del 10 maggio (quindi prima della dell’articolo di Affari Italiani) e divenuto virale nel corso della giornata. Precisiamo che il tweet è stato pubblicato dal profilo privato di un utente che in passato è già stato oggetto di indagine qui su Facta per aver diffuso un video (in quel caso su Facebook, il 6 aprile 2020) dove aveva sostenuto, aggirandosi per l’ospedale Humanitas Gavazzeni di Bergamo in violazione delle leggi vigenti, che non vi fosse alcuna emergenza in atto, dichiarando il falso. Ai nostri occhi non si tratta quindi di una fonte attendibile.
Fatta questa precisazione, torniamo alla nostra segnalazione. Il tweet a tema autopsie pubblicato il 10 maggio riportava lo screenshot di due pagine della circolare emessa dalla Direzione generale della prevenzione sanitaria e recitava: «se si fossero fatte le autopsie, terapie sbagliate sarebbero state evitate e molte persone non sarebbero morte. Non volevano far venire fuori la verità. Volevano insabbiarla».
Sia il contenuto del tweet sia l’articolo segnalato alla redazione di Facta, sono notizie fuorvianti e legate ad un’errata interpretazione del documento citato che ora andremo brevemente ad analizzare.
L’accusa di Affari Italiani si basa su quanto riportato nella «sezione c» della circolare (che è reale ed è la n.15280 del 2 maggio 2020), quella dedicata agli «Esami autoptici e riscontri diagnostici», e ne riporta integralmente il punto 1: «per l’intero periodo della fase emergenziale non si dovrebbe procedere all’esecuzione di autopsie o riscontri diagnostici nei casi conclamati Covid 19, sia se deceduti in corso di ricovero presso un reparto ospedaliero sia se deceduti presso il proprio domicilio», si legge.
La frase è reale e coincide con quanto riportato nel documento originale, presente sul sito del Ministero della Salute, ma è stata mal interpretata. Nello specifico, l’espressione «non si dovrebbe» è stata letta come un divieto, mentre come notato dai colleghi di Open, in lingua italiana per esprimere un divieto non si sarebbe scelto un verbo al condizionale, ma piuttosto un presente, come per esempio «è vietato» o «è proibito». Si tratta di un’espressione che ha creato confusione, leggiamo, anche in altri contesti, ma che stava semplicemente a indicare il fatto che non fosse necessario intraprendere un’autopsia qualora la causa del decesso fosse già nota. «Il ragionamento alla base di quell’indicazione era semplice e non riguardava tanto i rischi di contagio, ma altro: inutile fare esami autoptici se si conosce già la causa del decesso» aveva commentato il 7 maggio Andrea Gianatti, direttore del dipartimento di Medicina di laboratorio e Anatomia patologica del Papa Giovanni sull’edizione bergamasca del Corriere della Sera.
Se così non fosse, non avrebbero senso i punti successivi della sezione della circolare, dove viene stabilita una lista di indicazioni riguardanti proprio le autopsie, come è evidente a pagina 4 del documento originale. Al punto 2, per esempio, si legge che «l’autorità giudiziaria potrà valutare, nella propria autonomia, la possibilità di limitare l’accertamento alla sola ispezione esterna del cadavere in tutti i casi in cui l’autopsia non sia strettamente necessaria. Analogamente le direzioni sanitarie di ciascuna regione daranno indicazioni finalizzate a limitare l’esecuzione dei riscontri diagnostici ai soli casi volti alla diagnosi di causa del decesso, limitando allo stretto necessario quelli da eseguire per motivi di studio e approfondimento». Gli esami autoptici sono quindi consentiti, previa valutazione delle autorità giudiziarie e delle direzioni sanitarie, qualora necessari per accertare la causa della morte o per motivi di ricerca medica.
Inoltre, dal punto 3 in poi, troviamo una serie di disposizioni più pratiche, che spiegano cioè come gli operatori sono tenuti a condurre l’esame autoptico, a partire dalla scelta di una sala idonea, (che deve garantire «condizioni di massima sicurezza e protezione infettivologica»), passando per la descrizione dei dispositivi di protezione individuale (come mascherine e guanti) dei quali «è obbligatorio» (senza alcun condizionale, n.d.r.) l’impiego. Tutte indicazioni che non avrebbero alcun motivo di essere precisate se le autopsie fossero davvero vietate.