Tra il 13 e il 15 gennaio 2021 la redazione di Facta ha ricevuto più segnalazioni relative a due articoli, uno pubblicato su Affaritaliani.it il 12 gennaio e uno pubblicato su Il Giornale il 13 gennaio, secondo cui l’efficacia dei vaccini Pfizer/BioNTech e Moderna nel prevenire i sintomi della Covid-19 non sarebbe intorno al 95 per cento, come risulta dagli studi clinici pubblicati, ma tra il 19 e il 29 per cento.
La notizia è priva di fondamento scientifico e basata su una interpretazione tendenziosa dei dati. Vediamo perché.
Innanzitutto quello di cui si parla non è uno studio scientifico, ma un editoriale (ovvero un articolo di opinione) pubblicato il 4 gennaio 2021 sulla rivista medica British Medical Journal da Peter Doshi, redattore della testata, e intitolato “I vaccini di Pfizer e Moderna efficaci al 95 per cento: servono più dettagli e i dati grezzi”.
Peter Doshi non è un medico, ma ha un stretto rapporto scientifico con la medicina e le malattie infettive. È professore associato di servizi sanitari farmaceutici alla Scuola di Farmacia dell’Università del Maryland e ha collaborato a una Cochrane Review sui farmaci antiinfluenzali (Cochrane è la principale iniziativa di revisione indipendente dei dati scientifici in medicina). Collabora con il British Medical Journal dal 2005 ed è impegnato soprattutto sulla questione della trasparenza degli studi clinici. Precisiamo che in passato ha preso posizioni controverse, ad esempio mettendo in dubbio l’efficacia dei vaccini antinfluenzali.
Torniamo ora alla notizia oggetto di verifica. L’editoriale di Doshi tocca diversi aspetti che secondo l’autore sono poco chiari negli articoli scientifici relativi agli studi clinici sui vaccini contro Covid-19 e nei documenti relativi che sono stati portati all’attenzione della Food and Drug Administration (Fda) statunitense; gli articoli segnalati alla redazione di Facta discutono invece principalmente la questione dell’effettiva efficacia dei vaccini.
Doshi si concentra su un dato segnalato all’interno del documento fornito da Pfizer e BioNTech alla Fda, secondo cui nello studio clinico di fase III del vaccino ci sono stati 3.410 casi di «Covid-19 presunto ma non confermato». Si tratta di casi in cui sono stati osservati sintomi (febbre, tosse, brividi, perdita di olfatto e gusto, vomito etc.) in qualche modo compatibili con la Covid-19, ma con esito del tampone molecolare negativo. Di questi casi 1.594 sono avvenuti nei partecipanti al gruppo vaccinato e 1.816 nel gruppo placebo.
Doshi fa notare che, se noi prendessimo in esame questi casi e li contassimo come Covid-19, senza tenere conto del tampone, allora l’efficacia del vaccino sarebbe di circa il 19 per cento. Questo dato sale al 29 per cento se eliminiamo i casi avvenuti entro sette giorni dalla vaccinazione e che quindi il vaccino non avrebbe avuto tempo di eliminare.
Considerare tutti quei casi (negativi al tampone, ricordiamo) come casi di Covid-19 che però per qualche motivo non risultano al test molecolare è un’interpretazione estrema dei dati, e Doshi stesso lo dice. Si legge: «Se molti o la maggior parte di questi casi presunti fossero in persone che hanno avuto un risultato falso negativo al tampone, questo ridurrebbe drasticamente l’efficacia del vaccino. Considerando però che le malattie simil-influenzali hanno una miriade di cause — rinovirus, virus influenzale, altri coronavirus, adenovirus, virus sinciziale respiratorio, ecc.— alcuni o molti di questi casi presunti di Covid-19 potrebbero essere dovuti a un’altra causa».
In altre parole, è del tutto plausibile che molti di quei casi «non confermati» semplicemente non fossero casi di Covid-19. Il documento Fda riporta come due casi che hanno richiesto ricovero in ospedale di «Covid-19 non confermato» siano risultati ripetutamente negativi al tampone, il che rende assai improbabile che fossero veri casi di Covid-19.
L’editoriale del British Medical Journal è sicuramente provocatorio, e forse sarebbe stata opportuna maggiore cautela nel scriverlo, ma non vuole dimostrare che l’efficacia del vaccino Pfizer sia del 19 o 29 per cento. Vuole piuttosto puntare il dito su un caso di scarsa trasparenza dei dati. Come ha fatto notare il biologo Enrico Bucci il 14 gennaio 2021 sulla sua pagina Facebook, «mi pare chiaro, anche dalle sue stesse parole, che egli [Doshi] abbia utilizzato volutamente un caso limite irrealistico ed un argomento paradossale, per richiamare correttamente l’attenzione sul fatto che i dati vanno forniti comunque tutti». Il che, come prosegue Bucci, non vuol dire affatto che tutti quei casi siano falsi negativi, né che il vaccino non sia efficace.
In conclusione, la notizia che il vaccino Pfizer contro la Covid-19 avrebbe un’efficacia compresa tra 19 e 29 per cento è priva di fondamento: quelle cifre sono un’interpretazione limite di un dato poco chiaro, tesa a dimostrare cosa può voler dire la mancata trasparenza dei dati. La trasparenza negli studi clinici è però un problema reale di cui abbiamo parlato in precedenza. In questo caso, è del tutto improbabile che tutti i casi non confermati siano veramente Covid-19; viceversa il fatto stesso che questi casi siano di meno nel gruppo vaccinato lascia aperta la possibilità che alcuni di questi soggetti, sebbene con tampone negativo, possano essere stati davvero Covid-19.
Come mai? Mentre, come abbiamo ampiamente spiegato, i falsi positivi nei tamponi molecolari non sono quasi mai un problema, i falsi negativi possono esserlo. Già a maggio 2020 il British Medical Journal denunciava il fatto che i falsi negativi possono essere una percentuale significativa, dal 2 al 30 per cento e, a settembre 2020, la rivista medica JAMA Otolaryngology-Head and Neck Surgery spiegava come una procedura scorretta per i tamponi molecolari possa causare falsi negativi. Secondo il documento fornito da Pfizer-BioNTech all’Fda, in alcuni casi i partecipanti al test potevano farsi il tampone nasale da soli («se la valutazione era condotta telematicamente, il partecipante doveva raccogliere da solo un tampone nasale e inviarlo per l’analisi al laboratorio centrale»), il che può essere risultato in tamponi applicati male e, quindi, falsi risultati negativi.
In conclusione, resta il fatto che, sui casi accertati tramite tampone, l’efficacia del vaccino è molto elevata, e non c’è motivo di credere che un caso di Covid diagnosticato correttamente debba rispondere al vaccino diversamente da uno non diagnosticato a causa di un tampone somministrato male. Al momento quindi i dati, sebbene soffrano di punti che sarebbe opportuno chiarire (anche proprio per evitare che si diffondano false notizie come questa) non mostrano che l’efficacia del vaccino sarebbe significativamente inferiore a quanto comunicato ufficialmente.