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Il video del «santo sacerdote» sui vaccini anti-Covid contiene diverse informazioni false

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5 marzo 2021
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Il 4 marzo 2021 la redazione di Facta ha ricevuto via WhatsApp una segnalazione che chiedeva di verificare le informazioni contenute in un video pubblicato su Facebook il 2 marzo e che in meno di tre giorni ha collezionato oltre 6 mila condivisioni. Il video oggetto della nostra verifica dura in tutto 11 minuti e consiste in un lungo monologo di un uomo che si presenta come un sacerdote e che viene filmato all’interno di una chiesa cattolica.

L’uomo tratta nel filmato diverse questioni di natura teologica, ma si sofferma a lungo anche sul tema dei vaccini anti-Covid e della loro presunta incompatibilità con i valori cristiani. La didascalia che accompagna il video riporta il presunto nome e cognome dell’uomo ripreso: si tratterebbe di don «Giorgio Ghigo», un sacerdote di cui non siamo stati in grado di verificare l’identità.

Il video contiene diverse notizie false e prive di fondamento scientifico sul vaccino anti-Covid, particolarmente pericolose dato il momento storico e l’emergenza sanitaria in corso. Ma andiamo con ordine, analizzando le affermazioni presenti nel filmato.

«Quelli attualmente in commercio non sono vaccini propriamente detti, ma farmaci sperimentali, contenenti organismi geneticamente modificati» (minuto o3:23)

Secondo l’Istituto superiore di sanità, il vaccino è «un farmaco che stimola il sistema immunitario a produrre anticorpi, deputati a combattere i microrganismi causa di malattia» e non esiste dunque alcuna contrapposizione tra vaccini e farmaci. Come abbiamo più volte raccontato, inoltre, tutti i vaccini in commercio hanno superato con successo tre fasi di sperimentazione e gli esaustivi dati clinici raccolti ne garantiscono la sicurezza.

I vaccini contro la Covid-19 non contengono organismi e di conseguenza non possono contenere organismi geneticamente modificati. L’unico riferimento possibile (sebbene improprio) potrebbe essere al vaccino prodotto dall’università di Oxford e da AstraZeneca, contenente una versione incapace di riprodursi dell’adenovirus dello scimpanzè, in cui è stato innestato materiale genetico della proteina Spike del Sars-Cov-2.

«Il materiale biologico utilizzato per la ricerca scientifica [del vaccino] provenendo dalla stessa specie del ricevente può entrare in interazione con il suo patrimonio genetico» (minuto o3:49)

Si tratta di una bufala che circola ormai da qualche tempo e che avevamo già verificato in passato. Sottolineiamo ancora volta che nessun vaccino è in grado di modificare il Dna umano o di «riprogrammare il sistema immunitario», ma il loro obiettivo è quello di simulare un’infezione naturale per innescare una risposta immunitaria più potente e potenzialmente in grado di proteggere dall’infezione del nuovo coronavirus.

«Quel materiale biologico proviene da feti umani abortiti su commissione, a pagamento. È stato prelevato da soggetti ancora vivi ed è del tutto improbabile che sia bastato un singolo aborto» (minuto 4.30)

Questo è una delle argomentazioni più diffuse in area no-vax e fa riferimento a una linea cellulare umana – la WI-38 – utilizzata per sviluppare diversi vaccini, tra cui quelli contro la polio, la rosolia, il morbillo e la varicella. Le cellule umane utilizzate nelle sperimentazioni provenivano effettivamente da un feto abortito e donato alla ricerca nel 1962 da una donna svedese, che aveva scelto in piena autonomia di interrompere la gravidanza.

Grazie a quella linea cellulare, riprodotta in laboratorio e utilizzata ancora oggi, la scienza è riuscita a sconfiggere molte malattie un tempo mortali, ma non esiste alcuna prova di «feti abortiti su commissione», né di cellule prelevate da feti «ancora vivi».

«L’utilizzo di quel materiale biologico comporta rischi fortissimi per la salute delle persone. Non solo a breve termine, come dimostrano le migliaia di casi di gravi reazioni avverse, ma anche a medio e lungo termine, con una probabile impennata nei prossimi anni di tumori e di malattie autoimmuni» (minuto 05:11)

Partiamo dalle reazioni avverse gravi, che secondo l’uomo ripreso nel video sarebbero «migliaia». Innanzitutto, per “reazione avversa grave» si intende una reazione al farmaco che ha causato la morte o che ha messo in pericolo la vita del paziente, che ha provocato una prolungata ospedalizzazione, invalidità o anomalie congenite. Vale la pena specificare che in questi casi sarebbe meglio parlare di eventi avversi, dal momento che questi non sono necessariamente effetti collaterali del vaccino, ma si presentano spesso per coincidenza.

Il dato più recente sulle sospette reazioni avverse in Italia risale allo scorso 4 febbraio e secondo il rapporto Aifa queste sarebbero il 7,6 per cento delle oltre 7 mila segnalazioni totali – a fronte di un milione e mezzo di dosi somministrate – quindi poco più di 500. Sottolineiamo ancora una volta che non esiste alcuna prova che gli eventi segnalati siano dipesi dalla vaccinazione, che questi dovranni essere sottoposti a rigorose indagini e che le segnalazioni stesse possono essere inviate in via anonima attraverso un form online.

Abbiamo già spiegato come il sistema di farmacovigilanza italiano funzioni meglio rispetto a quelli degli altri Stati, ma per confronto possiamo citare i numeri registrati negli altri Paesi: le sospette reazioni avverse negli Stati Uniti sono 640 (dato aggiornato al 19 febbraio), nel Regno Unito 273 (al 2 marzo), in Francia 150 (al 25 febbraio). I trial clinici sui vaccini non hanno inoltre evidenziato alcun rischio di tumori collegato ai vaccini, mentre è stata ampiamente smentita la teoria anti-vaccinista di una presunta relazione causale tra vaccini e sviluppo di autoimmunità e malattie autoimmuni.

«Il tasso di letalità [della Covid-19] è stimato intorno allo 0,2-0,3 per cento» (minuto 09:16)

Secondo gli ultimi dati pubblicati dalla Johns Hopkins University, l’Italia è il quinto Paese al mondo per tasso di letalità, con il 3,3 per cento di decessi in relazione alle persone che hanno contratto la Covid-19.

Al primo posto c’è il Messico, con l’8,9 per cento, seguito da Perù, Ungheria e Sudafrica, tutte attorno al 3,5 per cento. Si tratta di dati parziali, vista la difficoltà a tracciare tutte le persone che hanno contratto la malattia, ma comunque ben lontani da quelli riportati nel video.

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