A partire dal 18 ottobre 2020 è diventato virale su Facebook ed è stato più volte segnalato via Whatsapp alla redazione di Factaun video della durata complessiva di 13 minuti contenente alcuni brani di un’intervista con il professor Giorgio Palù sul tema dell’attuale pandemia.
Secondo il curriculum pubblicamente disponibile sul sito dell’Università di Padova, Palù è un medico, docente emerito di microbiologia (oggi in pensione) ed ex direttore del Dipartimento di medicina molecolare presso l’Università di Padova. Palù è anche tra i soci fondatori della Società italiana di virologia – ente che riunisce esperti di virologia per promuovere la ricerca nel campo – di cui ha ricoperto il ruolo di presidente dal 2013 al 2019.
Il video diventato virale su Facebook è in realtà il risultato di un montaggio dei punti cruciali di un’intervista più lunga (della durata complessiva di circa 93 minuti) che Palù ha rilasciato il 14 ottobre 2020 alla trasmissione Primus inter pares della rete televisiva locale TV7 Triveneta. Il montaggio contiene un watermark della pagina Facebook “Buffonate di Stato”, che ha condiviso il 18 ottobre il filmato: ad oggi esso conta oltre 113.000 condivisioni.
Il tema centrale del video è la pandemia. Palù ha parlato dei pazienti positivi alla Covid-19 e dei ricoveri negli ospedali italiani, della percentuale di asintomatici, della letalità della malattia se confrontata con incidenti stradali e suicidi, e ha paragonato la gestione dell’emergenza sanitaria in Italia e nel resto del mondo.
Ripercorrendo passo dopo passo i contenuti del video diventato virale sui social network e confrontandolo con la versione originale dell’intervista, abbiamo verificato le diverse informazioni riportate da Palù. Non tutto quello che viene riportato è vero, e quello che è vero è riportato spesso, anche a causa del montaggio, in modo fuorviante.
Tamponi, esito positivo e pazienti Covid
Nella parte iniziale del video che ci è stato segnalato, si parla dei tamponi molecolari, del possibile esito positivo e dei ricoveri di pazienti Covid in Italia durante la seconda ondata di pandemia. Palù ha sostenuto che nel momento in cui il risultato di un tampone per Sars-Cov-2 dà un esito positivo, non è detto che questo implichi che nell’organismo del soggetto che vi si è sottoposto vi sia un virus capace di contagiare. Al contrario, il risultato potrebbe essere legato alla presenza di «un po’ di acido nucleico del virus, ma non è detto che quell’acido nucleico rappresenti una particella virale infettante: può essere un residuo, un virus morto, oppure non è detto che quell’acido nucleico sia rappresentante di una concentrazione di virus sufficiente a infettare».
È vero che diversi studi (qui, qui, qui ad esempio) mostrano che, in alcuni casi, un tampone Sars-Cov-2 con esito positivo possa non corrispondere alla presenza di virus capace di infettare, perché alcuni frammenti inattivi di genoma virale possono rimanere nelle cellule. Ciò accade però, stando agli studi sul tema oggi disponibili, per lo più verso la fine della malattia. Si tratta, quindi, di un discorso che risulta corretto fare al momento di far uscire le persone dall’isolamento domiciliare e non prima.
Nella parte iniziale del filmato, invece, Palù riporta questo dato senza precisare il centrale aspetto temporale evidenziato negli studi, non fornendo quindi il contesto per comprendere correttamente la portata delle informazioni. L’ex professore è poi impreciso anche per un altro aspetto: si riferisce agli asintomatici, mentre negli studi si parla di possibili tracce non infettive di virus presenti dopo lo sviluppo dei sintomi e la loro successiva guarigione. Sappiamo poi che le persone positive prive di sintomi possono avere comunque una carica virale importante ed essere altamente contagiose, come abbiamo approfondito di recente.
Verso la fine dell’intervista completa, Palù mostra una diapositiva che torna su questo punto, con un grafico tratto da un articolo del 30 settembre 2020 pubblicato dal New England Journal of Medicine. In questa immagine, assente dal montaggio video che è diventato virale, si mostra che effettivamente esiste una finestra in cui un soggetto può essere positivo al tampone ma non infettivo anche prima della comparsa dei sintomi, ma si vede anche che tale finestra è estremamente breve rispetto a quella dopo il decorso della malattia.
Nei minuti successivi Palù ha parlato dei ricoveri Covid, dichiarando che «molti di questi ricoverati [si riferisce ai ricoverati per Covid-19 al momento dell’intervista, n.d.R.] hanno sintomi lievi. Alcuni sono ricoverati per ragioni sociali, perché non hanno a casa nessuno».
Per accertarci di quanto dichiarato, abbiamo contattato alcuni dei principali ospedali italiani per la lotta alla pandemia e chiesto loro qual era il carico di ricoveri di pazienti Covid a metà ottobre, quando Palù ha rilasciato la sua intervista. Nell’attesa di eventuali risposte – che saranno pubblicate come aggiornamenti di questo articolo – possiamo sicuramente dire che tra il 22 e il 23 ottobre – più di una settimana dopo l’intervista di Palù – c’erano state lamentele (per esempio a Roma da parte del sindacato medico Anaao Assomed, e a Genova da parte del direttore Anestesia e Rianimazioni dell’Ospedale San Martino) sul fatto che i Pronto soccorso faticassero a gestire un carico importante di casi sintomatici non gravi, magari solo per fare un tampone.
Il timore era che eventuali ricoveri non essenziali mettessero a ulteriore prova il nostro sistema sanitario. Il 22 ottobre il segretario dell’Anaao Assomed Lazio, Guido Coen Tirelli, ha dichiarato a Adnkronos che «la mancanza di organizzazione ci fa temere: se ci arrivano pazienti sintomatici non possiamo mandarli a casa anche se non gravi. Eppure potrebbero essere curati a domicilio» se ci fosse un servizio dedicato.
Se quindi le affermazioni di Palù potevano essere in qualche modo valide fino a qualche giorno dopo l’intervista, nel momento in cui scriviamo – 27 ottobre – la situazione è invece in grave peggioramento, come mostra anche la rapida accelerazione dei ricoveri in terapia intensiva, che sono raddoppiati dal giorno dell’intervista a Palù a oggi. Le testimonianze più recenti inoltre suggeriscono che, per esempio a Milano, la condizione dei malati che si presentano in ospedale negli ultimi giorni sia in media piuttosto grave.
Gli asintomatici
Dopo aver fatto riferimento alla condizione in cui si trovano gli ospedali italiani, Palù ha ampiamente parlato di una categoria che spesso nelle ultime settimane è stata al centro di dibattiti e domande: gli asintomatici. L’ex professore ha sostenuto che oggi in Italia gli asintomatici sono il «95 per cento» e si è retoricamente domandato che senso abbia «inseguire e tracciare gli asintomatici» dal momento che sono la maggior parte dei pazienti Covid.
Gli asintomatici in Italia non sono il 95 per cento dei positivi: come abbiamo scritto recentemente, al 13 ottobre 2020 – giorno precedente all’intervista rilasciata da Palù – stando ai dati forniti dall’Istituto superiore di sanità, le persone prive di sintomi al tampone erano il 55,6 per cento. Tra questi, gli asintomatici veri e propri – ovvero positivi a Sars-Cov-2 che non sviluppano mai sintomi per tutto il corso dell’infezione – sono stimati circa il 20 per cento del totale.
Ricordiamo poi che i presintomatici, ovvero le persone che non hanno ancora sintomi ma che stanno incubando la malattia Covid-19, sono tra i principali diffusori della pandemia, responsabili dal 40 all’80 per cento dei contagi secondo vari studi (es. qui e qui).
Si tratta quindi di una categoria alla quale va dedicata una particolare attenzione nell’ottica del contenimento del contagio. Su questo punto, ci troviamo d’accordo su quanto sostenuto da Palù nella versione completa dell’intervista (dettaglio non presente invece nel montaggio virale) quando l’ex professore ha chiarito che seguire gli asintomatici è utile, in cluster limitati di contagio o all’inizio della pandemia.
Covid-19, incidenti stradali, suicidi: confronti su letalità e mortalità
Durante la sua intervista, Palù ha poi dedicato spazio al confronto tra la letalità «relativamente bassa» della Covid-19 (che, secondo l’ex professore «oscilla tra lo 0,3 e lo 0,6 per cento») e quella annuale «degli incidenti stradali, dei suicidi» e «delle patologie respiratorie per causa di nanopolveri». Con quest’ultimo termine presumibilmente Palù si riferisce a polveri sottili come le Pm2.5, concausa di tumori al polmone e altre patologie respiratorie e cardiovascolari.
Cominciamo con il distinguere tra mortalità e letalità (come fa correttamente, tra l’altro, anche Palù nell’intervista completa). La mortalità è il numero di persone decedute nel complesso per una data causa all’interno di una popolazione (come, ad esempio, quella italiana). Il tasso di letalità di una malattia è invece la percentuale di malati o – nel momento in cui parliamo di malattie infettive – di persone venute a contatto con il virus che ne causa poi il decesso.
Non ha quindi senso impostare un confronto basato sulla «letalità» tra Covid-19 e incidenti stradali o suicidi, dal momento che solo nel primo caso si ha a che fare con una malattia. Probabilmente Palù parlando ha fatto confusione sull’utilizzo dei termini.
Inoltre, per quanto riguarda la letalità della Covid-19, è molto difficile ottenere un numero unico che abbia senso (qui una spiegazione dettagliata) poiché dipende da diversi fattori: l’età e le condizioni pregresse dei malati, le capacità di tracciare le persone con scarsi o nessun sintomo, il tipo di cure a cui i pazienti riescono ad accedere e altri fattori (qui numerosi esempi di come può variare questo valore).
Secondo l’ultimo bollettino complessivo dell’Istituto Superiore di Sanità, aggiornato al 13 ottobre 2020, la letalità apparente della Covid-19 è del 10,1 per cento. Questo numero però soffre del fatto che, da un lato, durante la prima ondata di Covid-19 venivano tracciati quasi solo i sintomatici, e dall’altro, che molti decessi da Covid-19 non sono stati registrati come tali. Possiamo provare a ottenere un ordine di grandezza più realistico, fermo restando che si tratta di un calcolo approssimato, sapendo che la sieroprevalenza, a fine luglio 2020, era di circa il 2,5 per cento, pari a 1.482.000 persone circa. Messi insieme, questi numeri suggeriscono una letalità approssimativamente intorno al 3 per cento, ovvero 3 decessi ogni 100 infetti.
Chiarito questo punto, proviamo ad impostare un confronto basato sulla mortalità cosa che, forse, voleva fare Palù.
Oggi sappiamo, come hanno scritto i nostri colleghi di Pagella Politica, che ci sono stati oltre 37.400 decessi Covid ufficiali, e un totale di circa 47.000 decessi in eccesso, rispetto alla media degli anni precedenti, tra gennaio e agosto 2020 ovvero durante la prima ondata di pandemia. Quest’ultima cifra, come ha spiegato sempre Pagella Politica, rappresenta una stima probabilmente più accurata dell’effettiva mortalità da Covid-19, in quanto permette di contare anche sia i decessi diretti da Covid-19 che non sono stati registrati come tali, sia i decessi indiretti dovuti alla pressione sul sistema sanitario nelle settimane più critiche della prima ondata.
Come comunicato dall’Istat l’8 ottobre 2020, nel 2019 – dato più recente – gli incidenti stradali in Italia hanno causato 3.173 vittime, meno di un decimo rispetto a quelle attribuite alla Covid-19. Passando ai suicidi, questi in Italia hanno un tasso di mortalità simile agli incidenti stradali: gli ultimi dati disponibili e forniti dall’Istituto superiore di sanità ci dicono che nel 2016 nostro Paese le vittime di suicidio sono state 3.780.
È invece vero che le stime annue dei morti per polveri sottili in Italia sono superiori (anche se dello stesso ordine di grandezza) a quelle finora avvenute nel 2020 per Covid-19. I dati dell’European Environment Agency attribuivano alle polveri sottili una stima di 58.600 decessi in Italia per l’anno 2016.
Covid-19, Sars e Mers
Continuando a parlare di letalità, Palù ha poi sostenuto che «la letalità per la Sars era del 10 per cento e della Mers, due coronavirus che si sono estinti nel giro di un anno circa, del 37 per cento». Sars e Mers sono, ricordiamo, due malattie respiratorie causate da altri coronavirus.
I numeri citati sulla letalità (intesa come case fatality rate, numero di decessi sui casi ufficiali) di Sars e Mers sono in sostanza corretti (Lancetriportava a luglio 2020 9,7 per cento per Sars e 34 per cento per Mers). È vero poi che non ci sono più stati casi riportati di Sars da maggio 2004 ma è sbagliato sostenere che il coronavirus che causa la Mers si sia estinto «nel giro di un anno»: il primo caso riportato è del 2012 e, secondo l’European Centre for Disease Prevention and Control, dal 1° gennaio al 1° settembre 2020 sono stati riportati 61 casi di Mers.
La pandemia in Italia e all’estero
Nella seconda parte del filmato diventato virale sui social network si parla poi della gestione della pandemia in Italia e in altri Paesi. Palù ha detto che gli italiani sono i «detentori del record mondiale della letalità per coronavirus».
In realtà – al 28 ottobre 2020 – l’Italia è al secondo posto per la letalità apparente (stimata a partire dai positivi e decessi ufficialmente riportati) da Covid-19 dietro il Messico. Come tasso di mortalità (decessi da Covid-19 ogni 100.000 abitanti), il nostro Paese è al momento all’ottavo posto, dietro Belgio, Brasile, Spagna, Messico, Stati Uniti, Regno Unito e Argentina.
Superato il discorso relativo al «record mondiale della mortalità da coronavirus», Palù è passato al Regno Unito sostenendo che «gli inglesi avevano detto, all’inizio, bisogna che isoliamo i nostri anziani… e dobbiamo immunizzarci contro questo virus, non c’è altra soluzione naturale. Quindi era un approccio pragmatico».
Il professore fa riferimento all’approccio dell’immunità di gruppo (o di gregge) che era stato considerato dal Regno Unito nella prima metà di marzo, all’inizio dell prima ondata pandemica. Lungi dall’essere un «approccio pragmatico», oggi il consenso scientifico è che il raggiungimento dell’immunità di gregge non è una strategia percorribile per contenere Covid-19, come denunciato a ottobre dalle principali riviste scientifiche e mediche mondiali come Nature, Lancet e Jama.
Per Lancet, «la trasmissione incontrollata [del virus] nei più giovani pone il rischio di una grave incidenza di malattia e mortalità lungo tutta la popolazione. In aggiunta al costo umano, questo avrebbe un impatto sulla forza lavoro in generale e supererebbe la capacità dei sistemi sanitari di provvedere cure di routine […]. Tale strategia non terminerebbe la pandemia di Covid-19 ma risulterebbe in epidemie ricorrenti, come è stato per numerose malattie infettive prima dell’avvento delle vaccinazioni» e porterebbe infatti a «centinaia di migliaia di morti in più» nei soli Stati Uniti.
Una strategia parzialmente ispirata all’immunità di gregge è stata tentata in Svezia e ha portato a una mortalità altamente superiore a quella di Paesi confinanti e confrontabili demograficamente e culturalmente, come Norvegia e Danimarca. Inoltre in Svezia l’isolamento degli anziani dalla pandemia è fallito: a maggio 2020 quasi la metà delle morti da Covid-19 in Svezia era nelle case di riposo.
Le terapie intensive e i contagi tra i giovanissimi
Giorgio Palù ha poi riportato alcuni dati relativi alle terapie intensive. Secondo l’ex professore, «abbiamo poche persone in rianimazione, lo 0,5 per cento di tutti i casi positivi»
Benché il dato sia vicino a essere corretto (lo 0,7 per cento dei positivi era in condizioni critiche secondo l’ultimo report Iss, al 13 ottobre 2020), bisogna intendersi su cosa siano «poche». I posti di terapia intensiva in Italia sono stimati essere 6.458 a ottobre secondo Quotidiano Sanità, e nel momento in cui scriviamo (27 ottobre 2020) 1.284 sono occupati da pazienti Covid-19, ovvero il 18,71 per cento. Ci sono, tra le altre, anche situazioni estreme come l’Umbria dove al momento in cui scriviamo su 97 posti disponibili, 38 sono occupati solo da malati Covid-19.
A questi numeri si deve aggiungere la normale occupazione delle terapie intensive da pazienti con altre patologie: il tasso di occupazione medio prima della pandemia era di 48,4 per cento per (all’epoca) 5.090 posti, quindi approssimativamente 2.500 posti devono essere considerati come già occupati. Questo significa che la Covid-19 al momento ha aumentato circa del 50 per cento il numero dei pazienti in terapia intensiva.
Subito prima di questa frase, nell’intervista completa Palù effettivamente denuncia il fatto che la pandemia è in fase esponenziale e che questo «ci deve giustamente preoccupare: più aumenta l’incidenza, più possono aumentare i ricoveri per casi gravi e la letalità». Il montaggio virale su Facebook e WhatsApp omette invece queste affermazioni.
Nella parte conclusiva del video frammentario diffuso sui social network, Palù ha infine sostenuto che i bambini e i giovani «non si ammalano […] perché sono belli sani». Non è però vero che bambini e giovani non contraggono la Covid-19 e non subiscono conseguenze dalla malattia.
Circa metà dei bambini e adolescenti positivi al virus a Sars-Cov-2 sviluppa sintomi, come riportato da Science. Nei bambini il nuovo coronavirus può causare una seria sindrome infiammatoria (riportata anche in Italia) con febbre, ipotensione, dolore addominale e disfunzioni cardiache. Benché di certo i decessi siano di gran lunga superiori tra gli anziani, dall’inizio della pandemia al 22 ottobre, secondo il rapporto Iss sui deceduti, ci sono stati in Italia 90 decessi da Covid-19 tra le persone sotto 40 anni, di cui 15 nella fascia tra 20 e 29 anni e 4 tra i bambini sotto i 9 anni. Il 10 ottobre il primario di Rianimazione al Policlinico di Milano, Antonio Pesenti, denunciava che «l’età media dei ricoverati è scesa da 71 a 61 anni, con malati gravi anche fra i quarantenni e in alcuni casi anche più giovani».
In conclusione
Il montaggio dell’intervista che vede protagonista Giorgio Palù e diventata dal 18 ottobre virale sui social network italiani riporta alcune affermazioni medico-scientifiche che sono fuorvianti se private di un contesto più ampio o se si dimentica che nel frattempo la situazione pandemica è cambiata. Il montaggio priva alcune affermazioni dell’ex professore dal contesto in cui erano inserite nell’intervista completa.
Quanto sostenuto da Palù sul numero degli asintomatici («95 per cento») è in contrasto con i dati epidemiologici, e le dichiarazioni sulla potenzialità di contagio di questi individui sono per lo più parziali e fuorvianti. I confronti che vengono fatti tra la pericolosità del Covid-19 rispetto ad incidenti stradali e suicidi sono errati e confutati dai dati ufficiali così come risultano imprecisi i dati riguardanti la Mers e la sua diffusione.
L’accenno al potenziale raggiungimento dell’immunità di gregge come «approccio pragmatico» al contenimento della pandemia è invece del tutto fuorviante, nel momento in cui non si ricorda che tale approccio è stato decisamente rifiutato da pressoché l’intera comunità scientifica.
Infine, le affermazioni di Palù sull’occupazione delle terapie intensive sono datate, e limitandosi a restituire le percentuali di ricoverati su tutti i positivi non offrono il giusto contesto della gravità della situazione, che deve invece tenere conto del numero limitato di posti disponibili rispetto alla larga diffusione del contagio. Il montaggio del video omette il punto in cui, subito prima, Palù mette in guardia proprio dall’andamento esponenziale della pandemia in questo momento storico. Infine, è bene ricordare che Covid-19 è potenzialmente pericolosa anche per le fasce più giovani della popolazione.