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Perché non abbiamo un vaccino contro Hiv-Aids? 

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11 dicembre 2020
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Il velocissimo sviluppo dei vaccini contro la Covid-19 ha fatto sorgere ad alcuni un dubbio: come mai siamo stati così bravi a sviluppare un vaccino contro la Covid-19 mentre non abbiamo ancora un vaccino contro l’altra grande pandemia degli ultimi decenni, quella da virus Hiv, causa dell’Aids? È una domanda che si è fatto, per esempio, il giornalista Gianluigi Nuzzi.  Abbiamo deciso di fare chiarezza.


Post pubblicato su Facebook il 10 dicembre 2020 dal giornalista Gianluigi Nuzzi

In breve: mettere a confronto Sars-CoV-2 e Hiv ha poco senso, dal momento che i due virus non si somigliano. Con Hiv, in particolare, parliamo di un virus dalla riproduzione e struttura che lo rendono un bersaglio assai più complesso.

Due virus che non si somigliano

La velocità con cui siamo arrivati ad avere candidati vaccini contro la Covid-19 e le difficoltà con cui invece si cerca di raggiungere, da anni, lo stesso obiettivo contro l’Aids non nascondono alcun complotto. Il motivo di questa diversità è infatti soprattutto in una differenza biologica: Sars-CoV-2 e Hiv sono due virus molto diversi tra loro e, nel secondo caso, parliamo di un virus particolarmente ingegnoso.

Il coronavirus Sars-CoV-2 e il virus Hiv sono entrambi virus il cui materiale genetico è basato su molecole di Rna, una variante chimica del Dna che compone il genoma delle nostre cellule o di quelle di animali e piante. Entrambi sono sostanzialmente piccole capsule di proteine e lipidi che proteggono il genoma virale. Le somiglianze tra i due virus, però, finiscono qua.

Sars-CoV-2 è un beta-coronavirus. Come tutti i coronavirus, il genoma virale viene direttamente tradotto in proteine dalla cellula ospite. Queste proteine, che sono i “pezzi” del virus, a loro volta replicano il genoma virale e infine si autoassemblano in nuove particelle di virus. In nessun momento Sars-CoV-2 va ad alterare il genoma della cellula che infetta: usa la cellula semplicemente come macchinario biochimico.

Hiv invece è un retrovirus e sfrutta una strategia più subdola. Il genoma dei retrovirus non viene direttamente tradotto in proteine per formare nuovi virus, ma viene prima copiato in una molecola di Dna (in gergo tecnico, si dice che viene retrotrascritto) da un enzima del virus, detto trascrittasi inversa. Questa molecola di Dna si inserisce, con l’aiuto di altri enzimi del virus, all’interno del genoma della cellula che ospita il virus.

A questo punto il virus non è più una particella indipendente, ma è diventato a tutti gli effetti un frammento del genoma della cellula, che la cellula tratta come tale. È, a conti fatti, ingegneria genetica naturale. I geni del virus, diventati parte del genoma della cellula, vengono quindi trascritti sotto forma di molecole di Rna da parte degli enzimi della cellula, come per tutti i geni umani, e come questi tradotti in proteine. Solo che invece di essere le proteine che fanno funzionare la cellula umana, sono proteine virali, che di nuovo si autoassemblano a formare nuove particelle di virus Hiv.

Hiv, un virus estremamente sfuggente

La strategia ingegnosa e affascinante che Hiv usa per riprodursi rende estremamente difficile creare un vaccino efficace.

Per prima cosa, mentre un coronavirus si replica ed esce rapidamente dalla cellula, il virus Hiv può nascondersi a lungo, integrato nel genoma della cellula ospite. È il motivo per cui i pazienti sieropositivi a Hiv devono prendere farmaci per tutta la vita con l’obbiettivo di tenere sotto controllo il virus. Eliminare le particelle virali libere tramite gli anticorpi (la reazione indotta normalmente dai vaccini), non libera necessariamente dall’infezione da virus Hiv, che infetta stabilmente l’organismo entro 24 ore dal contagio proprio grazie al meccanismo di integrazione nel genoma.

Alcuni dei candidati più promettenti per un vaccino anti-Hiv inducono un altro tipo di risposta immunitaria, quella mediata dai linfociti T: senza entrare nei dettagli più scientifici, diciamo che i linfociti T sono cellule del nostro sistema immunitario che possono riconoscere patogeni anche quando sono all’interno di una cellula. Un vaccino capace di stimolare la risposta dei linfociti T potrebbe essere efficace nel fermare l’infezione agli stadi iniziali. Purtroppo però Hiv infetta proprio alcuni tipi di linfociti T: colpisce cioè le cellule che ci servirebbero per difenderci.

Il secondo problema è che la copiatura di Hiv in una molecola di Dna è particolarmente imprecisa: il tasso di mutazione di Hiv è il più elevato di ogni agente biologico noto. Questi errori di copiatura, lungi dall’essere un problema per il virus, sono la chiave della sua inafferrabilità: significa che le varianti del virus possono rapidamente sfuggire agli anticorpi sviluppati in precedenza. Le proteine della superficie di Hiv, il bersaglio naturale per un vaccino, possono differire, tra ceppi diversi del virus, per oltre il 30 per cento.

In breve: per il sistema immunitario, nel caso di Hiv si tratta di combattere contro un virus che cambia continuamente volto. Un vaccino efficace contro Hiv deve essere in grado di proteggerci in modo consistente dalle possibili varianti del virus. Per confronto, Sars-CoV-2 ha un tasso di mutazione che è solo un quarto di quello di Hiv.

Lo sviluppo di un vaccino anti-Hiv inoltre incontra questioni legate alla gravità della malattia che Hiv induce. A differenza dell’infezione da Sars-CoV-2, in cui la maggior parte dei pazienti guarisce, pressoché nessun paziente si è mai liberato spontaneamente dal virus Hiv. Non sappiamo quindi come si presenta una reazione immunitaria a Hiv capace di liberarci dal virus, e questo rende più difficile valutare i candidati alla vaccinazione.

Infine, ricordiamo che due delle strategie più classiche per i vaccini – l’uso di virus vivi ma attenuati o di virus interi inattivati – sono ritenute non applicabili per Hiv a causa dei gravi problemi di etica e sicurezza. Come abbiamo raccontato, un errore nella inattivazione del virus o l’evolversi di un ceppo patogeno a partire dal virus attenuato possono indurre la malattia. Questo metterebbe a rischio di infezione da Hiv milioni di vaccinati. Un tempo letale, l’infezione da Hiv oggi è compatibile con una qualità quasi normale di vita ma solo se tenuta sotto controllo con i farmaci.

A che punto siamo per un vaccino contro Hiv?

Ciò nonostante, e di fronte a tutti gli ostacoli tecnici che abbiamo esposto, la comunità scientifica non si è arresa. Nel 2009 in Thailandia il doppio vaccino Alvac/Aidsvax durante test clinici di fase 3 – che, ricordiamo, è la fase in cui il vaccino viene sperimentato per vedere se è in grado di proteggere dall’infezione in circostanze analoghe al suo uso reale – aveva mostrato un’efficacia intorno al 30 per cento (un doppio vaccino è un vaccino da somministrare in due preparati diversi). Troppo scarsa per giustificare una campagna di vaccinazione, ma utile come punto di partenza per future ricerche.

Oggi sappiamo che alcuni pazienti sviluppano anticorpi capaci di neutralizzare Hiv nonostante le numerose mutazioni del virus, e che questi anticorpi possono bloccare l’infezione negli animali. Ciò significa che è possibile ottenere una risposta immunitaria utile contro Hiv ed esistono studi clinici che suggeriscono l’utilizzo degli anticorpi stessi per la prevenzione. Un punto della situazione pubblicato nel 2020 elenca cinque studi clinici tuttora in corso (in fase 2 o 3) per vaccini o anticorpi con l’obiettivo di prevenire Hiv.

In conclusione

L’eccezionale rapidità con cui abbiamo ottenuto vaccini efficaci contro il virus Sars-CoV-2 è dovuto principalmente all’enorme sforzo che è stato fatto per velocizzare le fasi di studio clinico (sforzo che non c’è stato nel caso di Hiv), ma anche alla biologia del virus.

Sars-CoV-2 è molto meno sfuggente di Hiv: in questo senso siamo stati relativamente fortunati. Verso Sars-CoV-2 abbiamo usato tecnologie innovative come i vaccini a mRna, ma in cui l’obiettivo finale era piuttosto classico: indurre la produzione di anticorpi contro le proteine alla superficie del virus, ovvero lo stesso tipo di anticorpi che combattono Sars-CoV-2 durante l’infezione. Hiv è invece un virus resistente a quasi tutte le strategie immunitarie dell’ospite e, quindi, anche alle strategie normalmente usate per la vaccinazione.
Bisogna anche ammettere che Hiv è un virus oggi principalmente diffuso in Africa rispetto ai paesi occidentali, ed è un virus che colpisce categorie spesso discriminate e oggetto di stigma e persecuzione, come sex workers e omosessuali: aspetti che sarebbe fondamentale affrontare per combattere efficacemente la pandemia da Hiv. È anche vero che, benché i fondi complessivi contro Hiv siano in crescita, i paesi più ricchi stanno riducendo i fondi per contrastare Hiv nei paesi poveri. Di sicuro verso Hiv non c’è mai stato uno sforzo così rapido per ottenere un vaccino come c’è stato per Sars-CoV-2, anche perché la pandemia da Hiv rappresenta un rischio più graduale rispetto alla rapidità con cui Sars-CoV-2 si è diffuso e ha messo in crisi i sistemi sanitari dei paesi colpiti. Ma gli sforzi scientifici non sono mancati in decenni di convivenza con Hiv: se abbiamo ottenuto un vaccino verso un virus sconosciuto fino a un anno fa mentre ancora non abbiamo un vaccino contro un virus come Hiv, noto da decenni, la principale spiegazione è, semplicemente, che sono due nemici molto diversi.

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