Negli ultimi giorni è circolata molto sui social network – ed è stata più volte inviata alla redazione di Facta tramite i nostri canali di segnalazione – una grafica diffusa con l’intento di rassicurare sul possibile rischio di trombosi legato al vaccino AstraZeneca contro la Covid-19 (di cui ci eravamo occupati in precedenza), confrontandolo con altri fattori di rischio come la pillola anticoncezionale, il fumo o la stessa Covid-19.
Nella versione italiana la grafica – come indicato dal logo in alto a sinistra e confermato dallo strumento di analisi dei social network CrowdTangle – è stata pubblicata per la prima volta in italiano dalla pagina Facebook di Close-up Engineering, un network di siti di divulgazione scientifica, il 12 aprile 2021 (il logo “CuE” è visibile in alto a sinistra).
La versione originale sembra essere stata pubblicata originariamente in lingua portoghese il 10 aprile 2021, con una grafica diversa, dalla pagina Facebook dell’Unità di Salute Familiare (un centro di assistenza medica pubblica) Terras de Cira, in Portogallo.
L’infografica, di per sé, è accurata. Dei numeri indicati è citata o è facilmente reperibile la fonte: nell’ordine riportato dall’infografica, le fonti sono rispettivamente il report dell’European Medical Agency (Ema) sul rischio di trombosi dei seni venosi associata al vaccino, pubblicato il 24 marzo 2021 e che esamina dei dati che riguardano la Germania; una pagina informativa dell’Ema sui contraccettivi ormonali; una meta-analisi (studio che raccoglie e analizza statisticamente i risultati di numerosi studi precedenti) del 2013 sui fattori di rischio legati alla trombosi venosa; e infine una meta-analisi del 15 dicembre 2020 sull’incidenza di trombosi venosa collegata alla Covid-19.
L’unica imprecisione è nel rischio di eventi tromboembolici legati alla Covid-19, che nella traduzione italiana è diventata 16,4 invece di 16,5 per cento. Quest’ultima percentuale riportata nello studio è però riferita all’embolia polmonare e non alle trombosi delle vene profonde (tra cui la rara trombosi dei seni venosi cerebrali che è stata associata al vaccino AstraZeneca), con cui sarebbe stato più corretto fare il confronto. Queste trombosi hanno un’incidenza del 14,8 per cento, sempre secondo la fonte riportata dalla grafica.
Al di là del discorso sull’accuratezza delle cifre e l’affidabilità dell’informazione, la domanda da porsi è quanto siano validi e utili questi confronti, sia pure a “fin di bene” (rassicurare sul vaccino) come in questo caso. Vediamo cosa sta dietro questi paragoni apparentemente semplici e oggettivi.
Confronti non così semplici
Un confronto secco tra quattro probabilità di rischio di trombosi privo di contesto, come quello dell’infografica diventata virale, nasconde e semplifica un quadro molto più complesso. Trombosi è un termine medico molto ampio e le trombosi correlate ai vari fattori di rischio elencati non sono le stesse.
L’indagine dell’Ema su AstraZeneca ha stabilito che il vaccino non aumenta l’incidenza generale delle trombosi (che anzi è leggermente inferiore tra i vaccinati), ma può rischiare di aumentare la probabilità di trombosi dei seni venosi cerebrali, un tipo molto raro e specifico di trombosi. Nei casi sospettati di essere associati al vaccino si riscontra anche trombocitopenia, un disturbo della coagulazione del sangue. Le trombosi messe a confronto nell’infografica sono in realtà condizioni mediche piuttosto differenti.
Come ha scritto il 9 aprile 2021 il professor Adam Taylor della Lancaster University sul sito di divulgazione in lingua inglese The Conversation, le trombosi legate alla pillola anticoncezionale e quelle possibilmente correlate al vaccino hanno origini molto diverse. La pillola causa trombosi principalmente nelle gambe e nelle braccia e non è nemmeno chiaro se il contraccettivo sia un fattore ulteriore da tenere in conto per il rischio da trombosi dovuto ai vaccini. Allo stesso modo, il rischio di trombosi legato al fumo include soprattutto trombosi agli arti o ai polmoni e al momento non è chiaro se (e quanto) il fumo aumenti il rischio del tipo di trombosi venosa cerebrale osservato in relazione ai vaccini. Si tratta quindi di un confronto che solo apparentemente è omogeneo, ma che in realtà riguarda patologie piuttosto diverse.
In secondo luogo, è fuorviante parlare del rischio medio quando sappiamo che il rischio sia da vaccini sia da altre possibili cause cambia a seconda dell’età, del genere e di altri fattori. A parte il fatto che non c’è alcuna garanzia che i campioni di pazienti valutati nei quattro studi citati siano omogenei per età, genere, condizioni socioeconomiche e simili, un rischio medio generico può dirci molto poco.
Un paragone più dettagliato e informativo è stato fatto dal Winton Centre for Risk and Evidence Communication dell’Università di Cambridge (Regno Unito) e confronta il rischio potenziale di trombosi correlate al vaccino AstraZeneca con quello di ricovero in terapia intensiva per Covid-19: un confronto diretto costi-benefici, quindi, rispetto a un confronto tra costi diversi. Questo confronto è diviso su due dimensioni: da un lato, l’incidenza del virus nella popolazione che cambia la probabilità di contrarre la malattia e quindi di ricovero, e dall’altro la fascia d’età. Abbiamo riassunto il risultato nella grafica qui sotto.
L’analisi conferma che il bilancio rischi-benefici è quasi sempre nettamente a favore del vaccino anche in fasce d’età di norma considerate scarsamente a rischio per la Covid-19. Per esempio, scorrendo la seconda riga (fascia d’età da 30 a 39 anni) il rischio potenzialmente correlato al vaccino è di meno di 1 trombosi ogni 100.000 persone, ma previene 3, 8 o addirittura 25 ricoveri in terapia intensiva a seconda della circolazione del virus. Da questo punto di vista quindi è confermato che vaccinarsi è una scelta sicura e che previene un rischio serio e concreto. Per le fasce d’età più giovani però il rapporto costi-benefici diventa quantomeno paragonabile e può addirittura invertirsi: ad esempio, nella fascia tra 20 e 29 anni, in caso di bassa circolazione del virus il rischio di trombosi correlato al vaccino è analogo o addirittura superiore a quello di ricovero in terapia intensiva dovuto alla Covid-19.
Questa grafica aiuta a comprendere la complessità del problema, ma da sola non la esaurisce. Per esempio: il confronto sopra riportato e redatto dall’Università di Cambridge (così come quello diventato virale da cui siamo partiti) non tiene conto di altri possibili danni seri dovuti alla Covid-19, come danni permanenti al cuore. Inoltre non si tiene conto di come il vaccino possa contribuire a ridurre la trasmissione dell’infezione, diminuendo quindi ulteriormente i ricoveri e i decessi anche in altre fasce d’età. È chiaro però che un confronto rischi-benefici che non tenga conto di vari fattori non dà un quadro corretto della situazione, né aiuta a prendere scelte corrette, sia politiche sia personali.
La percezione del rischio: non solo statistiche
Allargando lo sguardo, c’è un problema di fondo quando riduciamo il rischio a una questione di sole cifre. Le statistiche sui costi e benefici di un trattamento medico sono dati fondamentali per valutarlo, ma la nostra percezione del rischio dipende da molti altri fattori.
Come ha spiegato a FactaGiancarlo Sturloni, comunicatore scientifico e docente in Comunicazione del rischio alla Scuola Internazionale di Studi Superiori Avanzati (Sissa) di Trieste, all’Università di Udine e all’Università dell’Insubria, «chi si occupa di comunicazione del rischio dissuade sempre dal fare paragoni di questo genere. Se confronto un vaccino con un farmaco, per esempio, non tengo conto del fatto che il vaccino agisce su un corpo sano mentre il farmaco agisce mentre sto male. La percezione del rischio quindi viene soppesata con la percezione dell’utilità immediata».
Ancora più difficile, secondo Sturloni, confrontare rischi che vengono assunti volontariamente, come quello di fumare, rispetto a rischi che ci vengono imposti, o ancora a rischi a noi familiari, come quelli dovuti ai mezzi di trasporto, rispetto a rischi che non lo sono, come un vaccino distribuito da poco e le cui basi scientifiche non sono necessariamente chiare alla maggior parte di coloro che lo assumono. Al di là delle statistiche infatti tendiamo a percepire questi rischi in modo nettamente diverso.
Continua Sturloni: «Un rischio viene ritenuto accettabile o inaccettabile non solo perché oggettivamente grande o piccolo, ma perché, ad esempio, una persona non accetta che qualcosa di pericoloso le venga imposto. Questo va al di là dei numeri: diventa una questione di giustizia, di equità». Si tratta, secondo Sturloni, di aspetti che hanno sempre pesato sulla politica e la percezione vaccinale, fin dalle prime campagne di vaccinazione obbligatoria nel XIX secolo.
La percezione del rischio è in realtà la somma di una valutazione del pericolo e di quello che viene chiamato outrage, ovvero la componente emozionale, che è l’elemento chiave che le persone utilizzano per stimare il rischio. Per comunicare il rischio correttamente ai cittadini non è possibile ignorare questo fattore: come spiegato da Sturloni «le preoccupazioni possono anche essere infondate, ma sono preoccupazioni, e come tali hanno bisogno di una risposta». Quello che sarebbe importante fare quindi è, secondo le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, considerare il punto di vista del pubblico, favorendo uno scambio di informazione tra i cittadini e le istituzioni che faccia riguadagnare fiducia in queste ultime, con la maggior apertura e trasparenza possibile.
Guardando a quanto accaduto nel recente passato questi aspetti sono mancati con il vaccino AstraZeneca a marzo 2021, quando l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha prima seccamente negato il rischio, per poi ritirare il vaccino il giorno successivo. Atteggiamento che per Sturloni è stato un «doppio errore»: prima si sono ignorate le preoccupazioni anziché informare in modo trasparente i cittadini su quanto stava accadendo, e poi non sono state date spiegazioni di un comportamento apparentemente incoerente, danneggiando la fiducia nell’istituzione. La campagna vaccinale del resto, come fa notare Sturloni, è fortemente spinta dalle istituzioni ed è quindi indissolubilmente legata ad aspetti politici e perfino geopolitici, tutti fattori di cui va tenuto conto per comprendere la percezione dei vaccini e dei loro rischi.
In conclusione
Grafiche come quella diventata virale ad aprile 2021 vogliono fornire un messaggio di fondo corretto e condivisibile, ovvero la sostanziale sicurezza dei vaccini contro la Covid-19 nonostante la possibilità di rare reazioni avverse, come sospettato al momento per il vaccino AstraZeneca e quello Johnson&Johnson. Il confronto con altri farmaci o altre azioni che hanno un effetto sulla salute è comune nel discorso su rischi e benefici di terapie e vaccini, anche da parte di esperti; lo stesso professor Silvio Garattini, fondatore e fino al 2018 direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, in un’intervista a Il Messaggeropubblicata il 13 aprile 2021 ha detto «Ma lei lo sa che volare in aereo è cento volte più pericoloso rispetto ad assumere un vaccino testato e autorizzato dagli organi preposti? Lo sa che è più facile morire cadendo dal letto che prendendo un siero anti-Covid?»
Questo genere di paragoni, per quanto immediati, non sono però il modo migliore di condurre la comunicazione del rischio, come confermato dal docente di comunicazione del rischio Giancarlo Sturloni e anche da altre linee guida. Sono una strategia retorica che può essere più fuorviante che rassicurante o convincente.
Non solo nascondono o semplificano eccessivamente aspetti che devono essere tenuti in considerazione (come i diversi rischi a seconda delle fasce di popolazione), ma ignorano anche una serie di aspetti emotivi, psicologici, valoriali e culturali che influenzano la nostra percezione del rischio e quindi, nel caso specifico che stiamo analizzando, la nostra fiducia o avversione nei confronti di un vaccino
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