- Su X circola la foto di una ragazzina con le braccia legate da quattro uomini intorno a lei, uno dei quali ha un fucile in mano. Si tratterebbe di Giuseppina Ghersi, «tredicenne violentata e uccisa dai partigiani italiani».
- La foto non mostra Ghersi, ma una donna non identificata che collaborava con i nazisti e portata via da un gruppo di insorti a Milano nel maggio 1945.
- Ghersi, di Savona, era una spia fascista uccisa intorno al 25 aprile 1945. Non ci sono documenti ufficiali che dimostrano sia stata opera dei partigiani.
Il 26 aprile 2025 è stata condivisa su X la foto in bianco e nero di una ragazza con la testa china e una “M” dipinta sulla fronte, tenuta con le braccia legate da quattro uomini intorno a lei, uno dei quali ha un fucile in mano. Secondo il post, si tratterebbe di Giuseppina Ghersi, una bambina di 13 anni «pestata a sangue», «violentata» e uccisa con un colpo di pistola tra il 25 e il 30 aprile 1945 dai partigiani italiani. Stando alla ricostruzione, per i partigiani Ghersi era «”colpevole” di aver ricevuto una lettera di plauso da Mussolini a seguito di un tema che aveva fatto a scuola».
Si tratta di un contenuto fuorviante.
La foto allegata al post non raffigura Giuseppina Ghersi. Come si legge sul sito dell’agenzia fotografica Getty Images, lo scatto mostra una donna che ha collaborato con i nazisti mentre viene portata via da un gruppo di insorti, ed è stata scattata a Milano il 26 maggio 1945, dopo la liberazione dell’Italia dal nazifascimo. Non esistono notizie ufficiali su presunti pestaggi e violenze ai danni della donna.
Giuseppina Ghersi, nata a Savona nel 1931, faceva parte invece di una famiglia che lavorava nel commercio ortofrutticolo, nota anche per commerciare nel mercato nero, come ricostruito tramite documenti d’archivio da “Nicoletta Bourbaki” – gruppo di lavoro sul revisionismo storiografico e autore del libro “La morte, la fanciulla e l’orco rosso. Il caso Ghersi: come si inventa una leggenda antipartigiana”.
Giuseppina si era attivata a favore della Repubblica sociale italiana, il regime collaborazionista con la Germania guidato da Benito Mussolini dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. «Non potendosi arruolare alle formazioni fasciste perché troppo giovane, svolge tuttavia attività delatoria e di provocazione», aveva chiarito Nicoletta Bourbaki, «gira per strada armata e in divisa, si mostra fortemente convinta verso la Repubblica sociale». Nel libro dedicato al caso Ghersi, il gruppo di lavoro ha mostrato che «Giuseppina Ghersi era una nota come spia fascista, e molto probabilmente le sue delazioni furono alla base di arresti, deportazioni e fucilazioni, cosa di cui lei stessa fu udita vantarsi».
Durante i giorni della Liberazione d’Italia, Giuseppina Ghersi venne arrestata vicino Savona, e il suo cadavere venne trovato fuori dal cimitero della città; la tredicenne fu uccisa da un colpo di pistola. Non esistono riscontri, invece, di uno stupro ai danni di Ghersi.
Negli anni successivi fu aperto un processo per il “caso Ghersi”, spiega sempre il gruppo di studiosi, e sul registro degli indagati figuravano i nomi di alcuni partigiani savonesi. Il processo terminò con l’applicazione dell’amnistia Togliatti «e una sentenza che riconosce nelle azioni commesse la lotta al fascismo e contro soggetti che hanno collaborato coi tedeschi e contro i partigiani». In nessun documento ufficiale del processo, e in nessuna testimonianza dei genitori di Giuseppina Ghersi però – precisa sempre Nicoletta Bourbaki – è scritto che i partigiani abbiano ucciso la ragazza di Savona. Questa tesi, dicono gli studiosi, è stata avanzata dalla narrazione nazifascista.
Non vi è traccia poi di alcun tema scolastico su Benito Mussolini scritto da Giuseppina Ghersi. La ragazza aveva invece scritto e inviato una lettera a Mussolini, una prassi che molti sostenitori del fascismo erano soliti a fare.
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