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L’autismo continua a essere una miniera d’oro per la disinformazione

La complessità che ancora avvolge questo tema ha alimentato miti, bufale e teorie screditate

24 aprile 2025
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A Oliver Sacks una persona autistica disse di sentirsi come “un antropologo su Marte”, da cui il titolo di uno dei libri del celebre neurologo scomparso nel 2015. La frase condensa, con una battuta, l’esperienza interiore che vivono le persone autistiche.

L’autismo è uno dei temi più complessi nell’ambito dello studio della mente umana. “Malattia”, “condizione”, “spettro”, la stessa ricerca di una etichetta è complicata. La sua definizione si è evoluta negli ultimi decenni, fino a includere uno spettro di condizioni eterogenee che possono presentarsi con manifestazioni differenti da persona a persona, in diverse fasi della vita, e che possono essere riconosciute anche in età adulta. All’interno dello spettro autistico oggi viene fatta rientrare anche la sindrome di Asperger.

Tipicamente, le persone autistiche presentano alcuni comportamenti peculiari: difficoltà nelle interazioni sociali, tendenza all’isolamento, ripetizione di parole o movimenti, un interesse focalizzato su oggetti, attività o argomenti specifici. Quest’ultima caratteristica viene spesso associata all’idea che gli autistici siano individui cognitivamente iperdotati o perfino geniali, ma questo è uno stereotipo. Anche il livello cognitivo degli autistici presenta un ampio spettro, che va da forme di disabilità intellettive fino a quozienti intellettivi superiori alla media.

Le cause dell’autismo non sono ancora del tutto comprese. Ciò che sappiamo è che c’è una significativa componente genetica (sono centinaia i geni potenzialmente coinvolti nel suo sviluppo) e che ci potrebbe essere qualche fattore ambientale, da infezioni o altre malattie contratte durante la gravidanza all’età dei genitori. Si è indagato anche il possibile ruolo di alcuni inquinanti, ma finora non ci sono evidenze convincenti. 

La complessità che ancora avvolge l’autismo ha alimentato diversi miti e bufale attorno a questa condizione, anche sulla sua stessa origine. Alcune di queste credenze sono piuttosto pericolose. Il ministro della salute dell’Amministrazione Trump, Robert Kennedy Jr., noto per aver diffuso molta disinformazione su questioni mediche, ha annunciato che entro settembre del 2025 uno studio dovrebbe scoprire le reali cause dell’autismo.

Proviamo a fare chiarezza su alcune delle tesi infondate più significative e persistenti sulla sua origine.

“L’autismo è causato dai vaccini”

Questo mito nasce nel 1998, quando la rivista scientifica The Lancet pubblicò un articolo che ipotizzava un collegamento tra disordini dello sviluppo comportamentale, tra cui l’autismo, e la comparsa di patologie intestinali. La tesi si basava sull’osservazione di appena 12 bambini. La comparsa dei sintomi, affermava lo stesso articolo, «era stata associata dai genitori alla vaccinazione contro morbillo, parotite e rosolia in 8 dei 12 bambini, all’infezione da morbillo in uno e all’otite media in un altro». Secondo gli autori dello studio, un fattore scatenante ambientale, probabilmente il vaccino, poteva essere alla base di alcune di queste manifestazioni che, in seguito, definirono “enterocolite autistica”.

In concomitanza con l’uscita dell’articolo, Andrew Wakefield, il medico inglese che aveva guidato lo studio, convocò una conferenza stampa durante la quale suggerì che sarebbe stato opportuno non somministrare il vaccino trivalente ai bambini. L’eco mediatica di questo evento ebbe un particolare impatto sull’opinione pubblica nel Regno Unito, dove negli anni successivi si registrò un significativo aumento dei casi di morbillo, una malattia infettiva molto contagiosa. Ma il mito ha iniziato a circolare anche altrove, diventando uno dei cavalli di battaglia dei contrari alle vaccinazioni.

Tra il 2004 e il 2010, il giornalista investigativo Brian Deer realizzò alcune inchieste e analisi sullo studio di Wakefield, pubblicate sul quotidiano The Sunday Times e sul British Medical Journal. Deer riuscì a documentare che il medico aveva ricevuto finanziamenti tramite un avvocato che stava tentando di fare causa alle aziende produttrici del vaccino per il morbillo.  Inoltre, scoprì che Wakefield aveva manipolato dati e storie cliniche dei bambini coinvolti nello studio: alcuni di loro non avevano ricevuto nessuna diagnosi di autismo, altri avevano manifestato i primi disturbi già prima della somministrazione del vaccino. Lo studio, dunque, non solo era viziato da un conflitto di interesse, ma anche da gravi errori metodologici. In sostanza, si trattava di una frode. 

In seguito a queste rivelazioni, nel 2010 Wakefield venne radiato dall’ordine dei medici britannico, ma negli anni successivi continuò a sostenere le tesi dello studio come attivista anti-vaccinista. Nello stesso anno The Lancet ritirò l’articolo, che è ancora oggi consultabile ma con un avviso che segnala che si tratta di uno studio ritrattato.

Negli anni successivi, l’ipotesi che l’autismo abbia qualcosa a che vedere con i vaccini ricevuti durante l’infanzia è stata indagata e smentita da numerosi studi che hanno esaminato campioni molto ampi di bambini. Tra questi, uno studio realizzato in Danimarca nel 2019 su un gruppo di più di 657mila bambini. Una revisione della letteratura scientifica pubblicata nel 2014 aveva già concluso che non c’era alcuna associazione tra l’autismo e i vaccini o i loro componenti.

“L’autismo è causato dalla mancanza di affetto dei genitori”

L’origine di questa tesi risale ai primordi delle ricerche sull’autismo. Nel 1943 lo psichiatra austriaco naturalizzato americano Leo Kanner pubblicò un articolo, intitolato “Autistic Disturbances of Affective Contact” (in italiano, “Disturbi autistici e contatto affettivo”), che riportava la storia di undici bambini con tratti comportamentali simili: avevano difficoltà nel parlare o ripetevano alcune parole, esibivano comportamenti ripetitivi e un interesse ristretto a specifici oggetti o attività, erano resistenti a cambiare abitudini quotidiane e mostravano un distacco emotivo e uno scarso interesse a interagire con le altre persone, preferendo rimanere soli e concentrati sulle proprie attività.

Anche se la parola “autismo” era già stata usata in precedenza, Kanner, uno dei fondatori della psichiatria infantile, fu il primo a trattarlo come una condizione distinta. Il suo lavoro fu la base per le definizioni dell’autismo adottate nei successivi manuali diagnostici sui disturbi mentali. Alcune osservazioni di Kenner riguardo al comportamento dei bambini autistici si concentravano sul loro ambiente familiare. Lo psichiatra osservò che molte delle loro madri mostravano una «genuina mancanza di calore materno».

Kanner non affermò direttamente che la mancanza di connessione emotiva tra genitori e figli fosse la causa dell’autismo, ma la sua insistenza sul comportamento dei genitori suggeriva che questa potesse essere una spiegazione plausibile. Scrisse che i bambini erano «tenuti in frigoriferi che non si scongelavano». Questa metafora di Kanner contribuì a coniare l’espressione “madri frigorifero”. 

In seguito, fu un altro austriaco, lo psicanalista Bruno Bettelheim, a sostenere apertamente, in un libro pubblicato nel 1967, che l’autismo fosse la conseguenza dall’atteggiamento di madri fredde e distanti. La teoria finì per essere abbracciata anche dall’establishment medico e divenne uno stigma per i genitori dei bambini autistici. Anche se lo stesso Kanner, alla fine degli anni ‘60, chiarì di non aver mai sostenuto che la responsabilità fosse dei genitori, la “teoria delle madri frigorifero” rimase in voga fino a quando non si iniziarono a comprendere le basi biologiche dell’autismo. 

Uno studio su 21 coppie di gemelli, pubblicato nel 1977, dimostrò che l’autismo è una condizione con una significativa base genetica. Da allora, la teoria delle madri frigorifero venne screditata, trasformandosi in una sorta di mito pseudoscientifico. La sua storia è stata raccontata nel 2002 in “Refrigerator Mothers”, un documentario che «esplora l’eredità di senso di colpa e insicurezza sofferta da un generazione di donne» madri di  autistici.

“C’è una epidemia di autismo”

L’idea che ci sia una epidemia di autismo è stata sostenuta di recente negli Stati Uniti da Robert Kennedy Jr., il ministro della salute dell’amministrazione Trump. Contraddicendo decenni di ricerche, Kennedy Jr. ha minimizzato la componente genetica dell’autismo e ha sostenuto che ci sia un’esplosione di casi negli Stati Uniti a causa di qualche, finora ignota, “tossina ambientale”. L’autismo sarebbe dunque una malattia prevenibile. Per questo motivo, Kennedy Jr. ha manifestato l’intenzione di affidare ai National Institutes of Health (NIH), la principale agenzia per la ricerca biomedica americana, uno studio per dimostrarlo.

Kennedy Jr. è intervenuto sulla questione proprio in concomitanza dell’uscita di un rapporto dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC), l’agenzia di sanità pubblica statunitense, che evidenzia un aumento dei casi, ma suggerisce che la spiegazione sia da ricercare nel miglioramento della capacità di diagnosi e della consapevolezza pubblica. Si trovano più bambini autistici, ma non c’è nessuna epidemia. 

Come ha osservato l’Autism Science Foundation, il rapporto dei CDC rileva che la prevalenza, cioè la proporzione di casi nella popolazione, varia ampiamente a seconda della località e che gli Stati americani con la più alta prevalenza dell’autismo sono quelli che dispongono anche di più mezzi per la sua identificazione precoce. Kennedy Jr. è noto per aver abbracciato la tesi infondata del rapporto tra autismo e vaccini e lo ha fatto perfino davanti la commissione del Senato che doveva confermare la sua nomina.

“L’autismo si può curare”

Come per altre condizioni mediche, anche per l’autismo si sono diffuse presunte cure basate su presupposti pseudoscientifici: terapie che dovrebbero rimuovere dal corpo metalli pesanti (che sarebbero la causa dell’autismo), l’impiego di camere iperbariche, uso improprio di farmaci, diete, vari rimedi che rientrano nel campo della naturopatia e della medicina alternativa.

Non essendo propriamente una patologia, ma uno spettro di caratteristiche e condizioni diverse, non si può parlare di una vera e propria terapia che possa portare a una guarigione. Alcuni movimenti per i diritti delle persone autistiche rifiutano infatti il concetto stesso di cura. In ogni caso, l’autismo accompagna per l’intera esistenza chi ne è affetto. L’approccio terapeutico si basa soprattutto su metodi di supporto cognitivo e comportamentale ed è ritagliato su ogni persona.

Al momento non esistono trattamenti farmacologici specifici per l’autismo, anche se si sono svolti alcuni trial per valutare l’efficacia di alcuni farmaci. Attualmente, si usano farmaci come antipsicotici, antidepressivi e stimolanti, per controllare alcuni sintomi e disturbi come l’epilessia, che si presenta in alcuni casi di autismo.

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