- Circola la notizia secondo cui Liliana Segre avrebbe sottolineato «la grande gratitudine per gli americani che l’hanno liberata dai campi di concentramento».
- In realtà, Segre non ha detto di essere stata liberata dall’esercito statunitense.
- La senatrice ricorda la gratitudine nei confronti dell’esercito americano per le cure ricevute dopo la liberazione dai campi nazisti.
Il 3 marzo 2025 è stato pubblicato un post su X in cui si legge che Liliana Segre avrebbe sottolineato «la grande gratitudine per gli americani che l’hanno liberata dai campi di concentramento».
L’autore commenta, ironicamente, che «probabilmente Segre stava nello stesso campo di concentramento di [Roberto, ndr] Benigni», il regista e protagonista del film sulla Shoah La vita è bella. Il film in questione termina infatti con la liberazione per mano dell’esercito americano del campo di concentramento in cui ambientato – e il cui nome non viene mai menzionato nella pellicola. Per questo motivo il film è stato a più riprese accusato in maniera infondata di revisionismo storico, partendo dal presupposto che il campo di concentramento mostrato fosse quello di Auschwitz, liberato alla fine del 1944 dall’Armata Rossa sovietica. Roberto Benigni ha sempre smentito tale ricostruzione, spiegando che il film non è stato ambientato ad Auschwitz.
Il post suggerisce dunque che il campo di concentramento dove si trovava Liliana Segre sia stato liberato dalle truppe sovietiche, e che quindi la sua «la grande gratitudine per gli americani che l’hanno liberata dai campi di concentramento» sia immotivata.
La notizia è presentata in maniera fuorviante.
Il tweet prende spunto da quanto riportato il 3 marzo 2025 dall’agenzia di stampa Ansa nell’articolo “Segre: ‘Atterrita da Trump, con lui l’invaso diventa invasore’”, in cui si legge il resoconto dell’intervento della senatrice a vita Liliana Segre al convegno”’Le vittime dell’odio” al Memoriale della Shoah di Milano, tenutosi lo stesso giorno.
Nell’articolo, si legge che Segre ha detto di aver «sempre avuto grande gratitudine verso gli americani», ricordando «la generosità d’intenti e l’atteggiamento fraterno» con cui avevano costruito piccoli ospedali da campo. Per Segre, «che proprio dagli americani è stata liberata dal campo di concentramento nel Nord della Germania, dove era stata spostata con la marcia della morte da Auschwitz», continua l’Ansa, è «”una cosa orrenda” lo spettacolo di come Donald Trump e il suo vice JD Vance hanno trattato il presidente ucraino Zelensky» nel loro confronto del 28 febbraio 2025.
Come si può ascoltare nel passaggio dell’intervista in questione, però, Segre non ha mai menzionato di essere stata liberata dall’esercito statunitense e quella della liberazione a opera degli americani è un’aggiunta della testata che non trova riscontro nelle sue parole.
«Ho avuto sempre una grande gratitudine per gli americani», dice invece Segre, «perché io mi ricordo, proprio nei giorni seguenti all’arrivo degli americani nella parte della Germania dove mi trovavo, che il primo pensiero era da parte degli americani […] di creare immediatamente dei piccoli ospedali da campo dove ognuno di noi entrava senza chiedere niente e veniva curato; io sono stata curata moltissimo».
In passato, come si legge nella trascrizione di un’intervista del 1991, Segre aveva spiegato che dopo essere stata internata nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau venne spostata (per via dell’incedere delle truppe sovietiche) nel campo di Malchow, in Germania, fino a quando i tedeschi cominciarono ad evacuarlo alla fine di aprile del 1945.
Dopo alcuni giorni di cammino, insieme ad altre ragazze, «raggiunse il comando alleato di stanza a Ludwigslust dove venne presa in custodia dagli Americani che le curarono l’infezione al braccio (che aveva sviluppato nel campo, ndr) con la penicillina e la nutrirono». Il campo di Malchow, sotto-campo di Ravensbrück, venne liberato negli stessi giorni dalle truppe dell’Armata Rossa sovietica.
La storia secondo cui Liliana Segre sarebbe stata liberata dalle truppe americane è quindi inesatta e nasce da un malinteso dovuto ad un articolo dell’Ansa.
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