A inizio giugno la giornalista di Fuori dal Coro Raffaella Regoli ha dichiarato in un video su Instagram che l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha siglato un accordo con l’Unione europea per rendere «perenne e globale» il green pass utilizzato durante la pandemia di Covid-19. Secondo Regoli, il provvedimento è stato preso «affinché il popolo possa circolare liberamente». Fosse vero, ciò significherebbe che senza le tre dosi di vaccino contro la Covid-19 non ci si potrà spostare. Ma come vedremo le cose non stanno così.
Secondo queste presunte informazioni l’azione rientrerebbe nel Pret, ossia le linee guida dettate dall’OMS agli Stati membri per prepararsi alla prossima pandemia, annunciata dal direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus «dopo appena due mesi» aver «dichiarato la fine della precedente pseudo pandemia».
Secondo Regoli, tra le raccomandazioni racchiuse nel Pret ci sarebbe anche l’invito a sconfiggere l’infodemia, ossia le notizie false in materia sanitaria, tramite una stretta sorveglianza.
Questa serie di informazioni, però, è riportata in maniera fuorviante ed errata.
Il green pass
Il green pass utilizzato durante la pandemia a cui si fa riferimento è la certificazione verde Covid-19 istituita dalla Commissione europea a partire dal 1° luglio 2021, con l’obiettivo di facilitare gli spostamenti interni dei cittadini UE. La certificazione verde Covid-19 veniva generata in automatico e messa a disposizione gratuitamente di chi aveva fatto la vaccinazione (a ogni dose di vaccino veniva rilasciata una nuova certificazione), era risultato negativo a un test molecolare nelle ultime 72 ore o antigenico rapido nelle 48 ore precedenti, o era guarito dalla Covid-19 da non più di sei mesi.
In Italia il governo Draghi aveva introdotto con il decreto-legge n. 44 del 1° aprile 2021 l’obbligo vaccinale anti-Covid per le professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario. Il 23 luglio, tramite il decreto-legge n. 105, il green pass era diventato obbligatorio per accedere a ristoranti al chiuso, palestre, piscine, cinema, stadi e spettacoli (anche all’aperto), mentre dal 1° settembre tale obbligo era stato esteso anche a chi intendeva viaggiare su traghetti, aerei, bus e treni a lunga percorrenza. A partire dal 15 ottobre 2021, invece, il green pass era diventato obbligatorio anche per accedere ai luoghi di lavoro pubblici e privati. Dal 1° gennaio 2023 la certificazione verde Covid-19 non è più richiesta per usufruire di attività o servizi in Italia, ma è ancora necessaria per viaggiare in alcuni Paesi.
Da giugno 2023 l’OMS adotterà il sistema UE di certificazione digitale Covid-19, ma ciò non significa che il green pass utilizzato durante l’emergenza sanitaria per la Covid-19 sarà esteso a tutti gli Stati e in misura permanente «dopo appena due mesi» aver «dichiarato la fine della precedente pseudo pandemia».
Lo scorso 5 maggio l’OMS non ha dichiarato la fine della pandemia da Covid-19, come sostenuto erroneamente da Regoli, bensì la fine dell’emergenza sanitaria mondiale causata dal nuovo coronavirus SARS-CoV-2.
Che cos’è il nuovo certificato sanitario digitale dell’OMS
Nata con l’obiettivo di rafforzare la sicurezza sanitaria globale, l’OMS e la Commissione europea hanno lanciato il 5 giugno 2023 una nuova certificazione sanitaria, il Global Digital Health Certification Network (Gdhcn), in italiano “Sistema globale della certificazione sanitaria digitale”. Secondo quanto riportato dall’OMS, questa è una certificazione sanitaria digitale che potrà essere usata e sarà utile, per esempio, per la digitalizzazione dei certificati internazionali di vaccinazioni o profilassi, la verifica di prescrizioni mediche a livello internazionale e il riassunto della scheda medica di un paziente.
Per creare questa nuova piattaforma l’OMS si baserà sul sistema di certificazione Covid-19 digitale, ossia adotterà il quadro tecnico e normativo di riferimento usato dall’Unione europea. A differenza di quanto diffuso sui social network, però, non vi è prova del fatto che l’OMS voglia estendere il green pass Covid-19 a livello mondiale, oppure che questo nuovo certificato sanitario digitale sarà obbligatorio per viaggiare nel mondo, o che serviranno tre dosi di vaccino per ottenerlo.
Inoltre l’OMS non avrà accesso a nessuna informazione personale, ma saranno i singoli Stati, che hanno aderito al sistema su base volontaria, a verificare l’autenticità dei dati digitali registrati e dei certificati sanitari.
Questo nuovo sistema rientra nella strategia globale dell’UE in materia di salute e all’interno della strategia globale degli Stati membri dell’OMS in materia di sanità digitale.
Che cosa è invece il Pret
Per non trovarsi impreparati alla prossima pandemia, l’OMS ha lanciato alla fine dello scorso aprile l’iniziativa Preparedness and Resilience for Emerging Threats (Pret), in italiano “Preparazione e resilienza per le minacce emergenti”. Il Pret non comprende il sistema del certificato sanitario digitale di cui abbiamo parlato sopra. Sono infatti due iniziative separate.
Come riportato dall’OMS nel comunicato ufficiale, «data la pandemia di Covid-19 in corso e la possibile minaccia dell’influenza aviaria», l’obiettivo del Pret è quello di consentire ai Paesi di rivedere e aggiornare la propria preparazione alle pandemie respiratorie.
Questa azione, si legge nel testo, è nata con l’obiettivo di aiutare i Paesi a «prevenire e a prepararsi contro qualsiasi agente patogeno delle vie respiratorie, come influenza o coronavirus». Il Pret non è semplicemente un elenco di linee guida, bensì incorpora approcci, strumenti e risorse appresi per affrontare la pandemia di Covid-19, e sviluppate secondo l’approccio one health, ossia preoccupandosi di tutti gli attori interessati: persone, animali ed ecosistemi. Questa iniziativa è il risultato dell’impegno previsto da due risoluzioni dell’OMS adottate rispettivamente nel 2005 e nel 2021 proprio per affrontare emergenze sanitarie.
Disinformazione e sorveglianza
Nel Pret non rientra inoltre alcuna azione di stretta sorveglianza per combattere le notizie false da parte dell’OMS, come sostenuto nei contenuti diffusi sui social network analizzati. Un documento che parla di sorveglianza e vigilanza, invece, è il policy brief – un dossier riassuntivo che riporta e spiega le decisioni e le politiche prese dalle istituzioni – intitolato “Strengthening pandemic preparedness planning for respiratory pathogens” (in italiano “Rafforzare la pianificazione della preparazione alle pandemie per i patogeni respiratori”).Pubblicato a luglio 2022, questo documento dell’OMS riporta alcune raccomandazioni e aggiornamenti per gli Stati membri volti al rafforzamento del lavoro di prevenzione alla pandemia respiratoria. In uno di questi punti, infatti, si parla di health intelligence, ossia il processo di monitoraggio delle minacce globali alla salute tramite la raccolta di informazioni in merito grazie a fonti open source e governative. In particolare vengono nominate diverse modalità di raccolta di informazioni, per esempio: sentinel surveillance systems, sistemi di vigilanza medica finalizzati alla prevenzione di malattie che permettono la raccolta di dati tramite il monitoraggio di un campione specifico della popolazione, e il risk communication and community engagement (Rcce), strumento progettato per favorire la comunicazione del rischio e costruire un piano comunicativo efficace per informare la comunità in materia di Covid-19.