A un anno dal naufragio di Cutro la disinformazione continua a condizionare il nostro sguardo sulle migrazioni - Facta
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A un anno dal naufragio di Cutro la disinformazione continua a condizionare il nostro sguardo sulle migrazioni

Nella notte tra il 25 e il 26 febbraio del 2023 un’imbarcazione partita dalla Turchia con a bordo circa 180 persone si è spezzata in due a pochi metri dalla riva del litorale di Steccato di Cutro, in provincia di Crotone. Nel naufragio hanno perso la vita almeno 94 persone, tra cui 35 minori.

A un anno di distanza da quei tragici eventi non esiste ancora una verità giudiziaria e sono al momento in corso due indagini parallele condotte dalla procura di Crotone: la prima vede imputate quattro persone, accusate di essere gli scafisti della traversata, mentre la seconda intende fare chiarezza sulla catena di responsabilità che ha portato al mancato soccorso dell’imbarcazione.

In seguito a quegli avvenimenti, il governo guidato da Giorgia Meloni aveva dichiarato di voler arginare le partenze per evitare il ripetersi di simili tragedie. Secondo l’OIM, Organizzazione internazionale per le migrazioni, nel 2023 hanno perso la vita nel Mediterraneo 3.100 persone (il 30 per cento in più rispetto all’anno precedente), di cui 2.300 solo sulle rotte che partono da Libia e Tunisia. Nelle prime settimane del 2024 si contano già oltre 160 morti. Ma l’azione della politica è solo uno dei fattori che condizionano il nostro sguardo sulle migrazioni: ancora oggi la disinformazione è uno strumento molto potente nelle mani delle frange xenofobe dell’opinione pubblica, che con bugie più o meno plateali sono in grado di alimentare odio e razzismo.

L’impatto della disinformazione sulle migrazioni

Alcune persone, ad esempio, continuano a sostenere che i rifugiati dovrebbero arrivare in Italia in aereo o attraverso vie meno pericolose rispetto a quelle che la maggior parte delle persone che decide di lasciare il proprio Paese d’origine oggi utilizza, spesso perdendo la vita lungo le rotte migratorie per raggiungere l’Europa. Ci sono vari motivi per cui la maggior parte dei rifugiati non arriva in aereo per fuggire dai loro Paesi di origine. Prima di tutto perché ottenere i documenti necessari per viaggiare legalmente, come passaporti e visti, può essere un processo complesso e costoso se non addirittura impossibile. 

Per capirne il motivo può essere utile consultare il Passport Index, una classifica globale elaborata dalla società canadese Arton Capital, che mostra il numero di Paesi in cui un determinato passaporto permette di viaggiare senza visto, con un visto all’arrivo o con un visto preventivo. In questa classifica, per esempio, l’Afghanistan – Paese da cui proveniva la maggior parte delle vittime di Cutro – occupa il penultimo posto. Il numero di Paesi a cui i cittadini afghani possono accedere senza visto è molto limitato. 

Spesso, per le persone che provengono dai Paesi del sud ovest asiatico o del continente africano, i requisiti per ottenere un visto per entrare regolarmente in un Paese europeo sono quasi insostenibili. A una persona con cittadinanza afgana, che risiede in Afghanistan e richiede un visto turistico della durata di 90 giorni per entrare in Italia, viene chiesta un’assicurazione sanitaria con una copertura minima di 30 mila euro che possa coprire le spese per il ricovero ospedaliero e le spese di rimpatrio, valida in tutta l’area Schengen. Ma non solo, è necessario comprovare di possedere mezzi economici di sostentamento adeguati per sostenere le spese di soggiorno, oltre che dimostrare la propria condizione socio-professionale e confermare di avere la disponibilità di un alloggio in Italia. Questo significa che spesso le persone che possono richiedere un visto turistico per l’Italia sono quelle benestanti e mediamente meno interessate a lasciare il proprio Paese d’origine. 

Un’altra strategia utilizzata per screditare i migranti è quella di associare queste persone a notizie false che le dipingono come truffatori, violenti, criminali e più in generale come apertamente contrari ai valori occidentali. La maggior parte delle storie false intercettate da Edmo,  l’osservatorio europeo dei media digitali, enfatizza le diversità etniche e culturali, e spesso anche la religione, per inasprire i sentimenti xenofobi. 

Per diffondere questi messaggi, i disinformatori usano diverse tecniche. La più comune è la pubblicazione di contenuti vecchi e non correlati, con didascalie fuorvianti che li collegano a eventi attuali. Tra le tante storie false di questo tipo c’è un video di tifosi di calcio in Francia, sottotitolato in modo ingannevole per suggerire che le persone nel filmato stessero dicendo «stupreremo tutte le donne bianche in Europa e decapiteremo tutti gli uomini».

Oltre alla pubblicazione di materiale decontestualizzato, spesso le storie sono semplicemente inventate e presentate come notizie reali, oppure si attribuiscono reati ai migranti senza alcuna prova fattuale. Queste tecniche sono usate da svariati attori pubblici: il senso di paura o addirittura panico che ne risulta è spesso sfruttato da account sui social che promuovono messaggi estremisti. In giro per l’Europa questo tipo di disinformazione è spesso utilizzata da esponenti politici di estrema destra per portare avanti un’agenda securitaria e di chiusura delle frontiere. Contenuti di questo tipo hanno inevitabilmente un riflesso su discorsi pubblici e processi elettorali, che finiscono per peggiorare le condizioni di chi attraversa il Mediterraneo

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