La pericolosa disinformazione che invita le donne ad avere gravidanze e parti liberi dai controlli medici
Contenuti sui social incoraggiano le persone incinte a evitare visite ginecologiche e assistenza medica durante il parto, mettendo però a rischio la salute della persona incinta e del nascituro
«Basta controlli medici in gravidanza! Finalmente la corrente Gravidanza libera è arrivata anche in Italia ragazze mie!». Sono le parole iniziali che compongono la caption di un post pubblicato su Instagram da una presunta guru della maternità, il cui obiettivo è quello di esortare le donne in gravidanza a sottrarsi ai controlli medici. E non si tratta di un caso isolato.
Questo post, infatti, è solo uno tra una vasta quantità di contenuti simili che incoraggiano le persone incinte ad allontanarsi da pratiche che vengono considerate dannose come ecografie e visite ginecologiche, e le spronano a partorire in modo “libero” da medici e ostetriche, seguendo quello che in diversi casi viene definito «parto fuori dal sistema».
Francesca Bubba, attivista e autrice di “Preparati a spingere”, libro inchiesta sulla maternità in Italia edito da Rizzoli, osserva da molto tempo questo fenomeno e sul suo profilo Instagram ha raccolto pareri di consulenti, doule – cioè figure che offrono supporto emotivo e guida, ma che non hanno una formazione medica – e ostetriche che stanno appoggiando e promuovendo questa narrazione in Italia. Una narrazione che ha tutte le caratteristiche della disinformazione e che si pone come un’alternativa pericolosa per chi sta vivendo una gravidanza o si appresta a partorire. La maggior parte delle pratiche promosse e incentivate, infatti, possono mettere a rischio la salute della persona incinta e del nascituro. Ecco perché imparare a riconoscere questo tipo di disinformazione e avere gli strumenti per contrastarla può risultare, letteralmente, vitale.
Gravidanza, controlli medici e disinformazione Francesca Bubba ha spiegato a Facta che questa narrazione rientra in un fenomeno chiamato free birth o gravidanza e parto liberi da ogni forma di medicalizzazione, persino dalle ecografie. Si tratta di una tendenza «nata negli Stati Uniti», attraverso «pratiche di appropriazione culturale miste a tesi antiscientifiche, per cui l’equazione naturale-sano è il dogma principale», ha continuato Bubba. Già nei primi anni Dieci del 2000 si parlava di parto “in solitaria”, senza personale medico, ma questa corrente ha preso piede e ha iniziato a diffondersi in maniera consistente circa una decina di anni fa, quando l’utilizzo dei social network è diventato estremamente diffuso. E dagli Stati Uniti questo fenomeno è arrivato anche in Italia, soprattutto grazie alle piattaforme social dove le “guru del materno” italiane, che arrivano a contare decine di migliaia di follower, traducono e importano i trend americani.
Oltre all’uso dei social media, uno dei fattori che ha influito sulla diffusione di questo fenomeno è stata la Covid-19 e i periodi di lockdown a essa connessi, che in molti Paesi, compresa l’Italia, hanno comportato restrizioni rispetto alla presenza dei partner durante il travaglio o alla possibilità di ricevere visite dopo il parto. Nell’aprile 2020, alcuni ricercatori inglesi hanno intervistato 1.700 persone che rientravano in tre campioni: erano incinte, avevano una partner incinta o erano genitori che avevano avuto un figlio dall’inizio del lockdown. I risultati si sono dimostrati sorprendenti. Dei 1.700 partecipanti, 72 (cioè il 4 per cento del totale) hanno dichiarato di aver preso seriamente in considerazione il parto libero senza la presenza di personale medico, e solo uno di questi aveva valutato il parto libero prima della pandemia da Covid-19.
Ad oggi, però, la narrazione che sprona questo tipo di gravidanza e di parto resta in vita e, anzi, sembra prendere sempre più vigore. «Si tratta di un filone della disinformazione», ha dichiarato Bubba, spiegando a Facta che «le caratteristiche seguono un vero e proprio pattern», individuando prima di tutto un nemico comune che di solito è incarnato dal Servizio sanitario nazionale (SSN). Ma non solo, si arriva addirittura alla proposta di soluzioni che vengono definite “ad personam”, ma che in realtà sono standard, «negando completamente la sistematicità di certe difficoltà di radice strutturale e responsabilità istituzionale» e facendo leva sul terrorismo psicologico.
Sempre Bubba ha chiarito che si tratta di un fenomeno pericoloso, perché le persone che entrano nel circolo di questi canali disinformativi «finiscono per maturare un grado di sfiducia nel sistema sanitario e nella collettività che le conduce alla solitudine e alla convinzione di poter farcela da sole e non aver bisogno dell’altro, né per quanto riguarda la gravidanza e il parto, né per l’accudimento dei figli». Persone che si convincono che l’amore e l’istinto siano sufficienti. Le guru danno a chi le segue la possibilità di accedere a community esclusive e in molti casi offrono corsi a pagamento che hanno come obiettivo quello di formare le donne a essere preparate e arrangiarsi al momento del parto.
Ciò su cui si basa questa narrazione è la «mistica del maternalismo, la maternità naturale», ha concluso Francesca Bubba, «dove la madre detiene il principale potere sul figlio e non ha bisogno della scienza» che viene vista, invece, come una forma patriarcale di controllo dei corpi.
Se ogni donna è libera di vivere la gravidanza e il parto nel modo che sente più affine a se stessa, è importante sottolineare che ci sono delle linee guida che devono essere rispettate per garantire alla donna e al bambino degli standard di sicurezza che riducono i rischi per entrambi.
Perché i controlli in gravidanza sono fondamentali In Italia il Sistema nazionale linee guida (Snlg) dell’Istituto superiore di sanità (ISS) ha elaborato una linea guida, attualmente in corso di aggiornamento, sulla gravidanza fisiologica, cioè una gravidanza in cui non vi sono patologie pregresse o rischi noti per mamma e bambino, che include un capitolo sull’organizzazione dell’assistenza alla persona in gestazione. Questo capitolo descrive anche la frequenza e la modalità delle visite suggerite. Secondo quanto riportato nel documento, il numero delle visite offerte alle donne in gravidanza non deve essere inferiore a quattro e devono essere condotti una serie di test e accertamenti, effettuati nel corso degli incontri previsti. L’ISS ha prodotto anche una versione divulgativa della linea guida, rivolta alle cittadine e ai cittadini che si approcciano alla gravidanza, i cui contenuti rispecchiano quanto raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS).
Il 22 dicembre 2023 l’ISS ha pubblicato la prima parte delle nuove linee guida sulla gravidanza fisiologica e questa include una serie di informazioni da offrire durante il percorso nascita «nel contesto attuale, definito di infodemia, nel quale le fonti di conoscenza valide e affidabili non sono sempre immediatamente riconoscibili», anche per fornire alle donne la possibilità di poter confrontare le informazioni ottenute dai professionisti con quelle trovate in rete. Nell’aggiornamento, inoltre, sono stati rivisti gli screening delle malattie infettive da offrire in gravidanza. Ad esempio, lo screening dell’infezione da Cytomegalovirus, non raccomandato nella precedente edizione della linea guida, sarà invece offerto a tutte le donne in gravidanza.
Serena Donati, responsabile scientifica del Sistema di sorveglianza della mortalità materna dell’Istituto superiore di sanità (ItOSS), ha spiegato a Facta che la linea guida sulla gravidanza fisiologica «definisce gli interventi appropriati di un percorso assistenziale antenatale di base ed è quindi rivolta a tutte le donne in gravidanza per facilitare il monitoraggio del benessere materno e fetale durante la gestazione», aggiungendo che questi interventi sono utili anche per «l’identificazione precoce e la presa in carico di eventuali problematiche di natura fisica o psico-sociale con la finalità di prevenire esiti sfavorevoli materni e perinatali».
Sempre Donati ha chiarito che «rinunciare a questa opportunità comporta maggiori rischi materni e perinatali» ed è la stessa letteratura scientifica a confermare che «l’assenza di controlli in gravidanza o il loro ritardo nel timing raccomandato è associato a peggiori esiti».
Diversa è, invece, la situazione per le gravidanze patologiche, cioè quelle in cui la madre o bambino, o entrambi, sono a rischio. Come ha spiegato a FactaElisabetta Canitano, ginecologa e presidente e fondatrice della onlus Vita di Donna, le gravidanze ad alto rischio devono essere seguite «da équipe ospedaliere specializzate, che sanno gestire quel tipo specifico di rischio o patologia».
Serena Donati ha poi concluso evidenziando come sia importante, comunque, distinguere il percorso di visite raccomandato dalle evidenze disponibili da quello distorto «promosso dalla medicalizzazione del percorso nascita». Già nel 2012 lo stesso ISS spiegava che il modello assistenziale che si è affermato nel nostro Paese è un modello di tipo biomedico e direttivo in cui le donne rischiano di perdere le loro competenze riguardo alla maternità. Questo, sempre secondo l’ISS, ha fatto sì che eventi naturali, come la gravidanza e il parto, subissero un eccesso di medicalizzazione esponendo le donne anche a pratiche assistenziali inappropriate. A questo processo di medicalizzazione ha concorso anche l’indebolimento progressivo dei consultori familiari e la promozione non adeguata del ruolo di figure professionali come le ostetriche.
Elisabetta Canitano ha precisato che, dal suo punto di vista, questo tipo di disinformazione, che promuove la gravidanza e il parto liberi da ogni tipo di controllo medico, nasce come effetto opposto all’eccessiva medicalizzazione del percorso nascita, del travaglio e del parto. «La gravidanza è stata trasformata in una malattia pericolosa» ha sottolineato la ginecologa, aggiungendo che probabilmente «se fossimo in grado di garantire alla donna con una gravidanza a basso rischio un’assistenza medica rispettosa, non ci sarebbe questo tentativo disperato di sottrarsi alle nostre cure».
Anche l’Organizzazione mondiale della sanità, fin dal 1996 nel testo “Care in Normal Birth: a Practical Guide” afferma che è importante che l’obiettivo dell’assistenza ostetrica sia quello di raggiungere una madre e un neonato in buona salute con il minor livello di interventi possibile compatibile con la sicurezza. Aggiungendo che ogni donna dovrebbe partorire nel luogo che sente più sicuro.
Partorire in ospedale, in casa o addirittura al lago? La disinformazione che promuove il free birth disprezza il parto in ospedale in ogni caso e promuove il parto in casa, fino ad arrivare a situazioni addirittura estreme. In uno dei post raccolti da Francesca Bubba su Instagram, uno degli account che incentiva questo tipo di narrazione racconta la storia di una donna che avrebbe partorito il figlio direttamente nelle acque del «lago in cui è cresciuta», raccontandolo come un «viaggio di liberazione» per «partorire lì dove tutto è iniziato».
Come per le narrazioni che esortano le donne a sottrarsi ai controlli medici, anche questa ossessione per il parto al di fuori delle strutture ospedaliere può, in alcuni casi, essere pericolosa. Durante il processo del parto, infatti, possono verificarsi diverse complicazioni che richiedono un intervento immediato da parte di personale sanitario al fine di proteggere la salute sia della madre che del nascituro.
Se da un lato è vero che la violenza ostetrica all’interno degli ospedali è reale ed è un problema nel nostro Paese – rendendo il travaglio e il parto un’esperienza traumatica per alcune donne – e la medicalizzazione di questo processo è molto elevata, dall’altro informazioni sbagliate e mancanza di figure professionali preparate possono rendere il parto al di fuori dell’ospedale un’esperienza pericolosa o addirittura fatale.
Questo non significa che free birth e parto extraospedaliero siano sinonimi.
Serena Donati ha chiarito che ad oggi, in Italia, non esistono linee guida evidence based, cioè basate sulle evidenze, sul parto extra-ospedaliero. Varie Regioni, però, come ad esempio l’Emilia-Romagna, hanno adottato delle linee di indirizzo per regolamentare l’assistenza al travaglio e al parto fisiologico in ambiente extraospedaliero che prevedono una serie di elementi volti a garantire la sicurezza della madre e del nascituro. Tra queste ci sono ad esempio la presa in carico della donna da parte della professionista abilitata in un tempo ben preciso, o ancora l’assenza di patologie materne, un determinato peso del feto e la presenza contemporanea di due ostetriche nell’assistenza al travaglio e al parto. Tra le controindicazioni, invece, rientrano alcune patologie o condizioni della madre che potrebbero mettere a rischio la sua salute o quella del bambino. Condizioni che devono essere diagnosticate ed eventualmente valutate dal personale medico.
Tuttavia, non tutte le Regioni offrono gratuitamente il parto extraospedaliero e lo regolamentano in modo chiaro. Questa carenza strutturale e di responsabilità istituzionale che coinvolge gli spazi per partorire fuori dall’ospedale, aumenta la probabilità che chi si affida al parto extraospedaliero lo faccia in modo non del tutto sicuro, mettendosi nelle mani di persone e strutture che potrebbero non essere effettivamente preparate ad affrontare eventuali complicazioni. Francesca Bubba ha raccontato a Facta che, insieme a un gruppo di professioniste e attiviste ha fondato “Anche a me”, un luogo digitale di incontro per denunciare la violenza ostetrica, oltre a lavorare a una proposta di legge «utile a regolamentare tutti gli spazi definiti a sostegno della maternità, proprio per limitare al massimo le interferenze di figure dai torbidi operati» e garantire realmente a chi partorisce il diritto di scelta e alla salute.
Secondo un rapporto del 2023 elaborato da varie agenzie delle Nazioni Unite, nel 2020 ogni giorno nel mondo 800 donne morivano durante la gravidanza o il parto, il che vuol dire una donna ogni due minuti. In Italia, nello stesso anno si sono verificate cinque morti materne su 100 mila bambini nati vivi, un tasso in diminuzione rispetto alle sette morti materne su 100 mila bambini nati vivi verificatesi nel 2015 e nel 2010 e alle 10 nel 2000. Questo tasso, però, non è altrettanto basso nelle aree più povere del mondo e nei Paesi colpiti da conflitti. Nel 2020, circa il 70 per cento di tutte le morti materne si è verificato nell’Africa subsahariana. Emorragie gravi, ipertensione, infezioni legate alla gravidanza, complicazioni da aborto non sicuro e condizioni sottostanti che possono essere aggravate dalla gravidanza, come l’HIV/AIDS e la malaria, sono le principali cause di morte materna. E questi sono tutti fattori in gran parte prevenibili e curabili con l’accesso a un’assistenza sanitaria di alta qualità e rispettosa.
Ecco perché è importante trovare un equilibrio che rispetti i desideri della persona che deve partorire, ma che si collochi anche a un livello intermedio e non sfoci né in un estremo né nell’altro, quindi né nell’eccessiva medicalizzazione del percorso nascita, del travaglio e del parto, né nella totale assenza di visite, controlli e presenza di personale medico che sia istruito e specializzato.